e affanni nelle tue giornate
e in quelle degli altri,
non chiedere altro che una gioia solenne,
le gioie piccole, i piccoli piaceri
richiedono troppa fatica,
è la gioia solenne che ti compete,
per quella sei qui e non altrove,
nella polvere cosmica o come mosca
nell’orecchio di un cavallo,
sei qui per non fermarti a ciò che sei
e non scansarti, non scansarti mai
da quello che potresti diventare......
Sia nella poesia scritta che nella poesia per musica l’ “io” ,nella sua libera e debole autenticità, insiste di restare alla base del comunicare, dell'eternare come per il lirici greci e per i trovatori medioevali. E’ un “io” espressionista, finalmente in linea con i grandi movimenti artistici del Novecento. E' la proposizione di un mondo come “si sente” e non solo come lo si vede", figlio tardivo della grande lezione pittorica, poetica, letteraria e filosofica dei Picasso,Chagal, Breton, Kafka, Montale Sartre ed Heidegger.
Questo “io” è inquadrato e "gettato" nella vita di tutti i giorni, nella relatà elementare, spicciola, nel disincanto, nella demitizzazione, nell’antiretorica, nel contingente e nel sogno.
L’amore cessa di essere eterno , universale e consolatorio, cessa di essere unico e immortale, diventa frammeto, espediente, lacerazione, noia, speranza,dolore : la sua durata si accorcia mentre la sua intensità si fa frenetica, altissima come una vampata, un incedio cosmico e momentaneo. Solo la poesia osa ancora servirsi di queste malie per aiutare gli uomini ,la filosofia ha giocato e perso tutte le scommesse ,la scienza si è fatta rinchiudere nei laboratori delle case farmaceutiche e cerca di scansare le saette intimidatorie delle Religioni.....
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