sabato 19 gennaio 2019


"……E subito riprendo
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare"

“Troppo da dire, e oggi non ne ho la forza….”. nell’aria  c’è il segno che la mia generazione  finisce. In questi ultimi tempi  avevo scelto di essere  “ un pensatore dell’avvenimento …non dell’attimo fuggente “. Una  differenza sempre nomade, anarchica e in eccesso, la folgorazione prodotta  da una parola, da due occhi di donna….una carezza non richiesta  e  ….si apriva la possibilità di un nuovo pensiero , una curiosità …un filo di nuove Arianne . Avevo maestri “genealogisti nietzschiano”…”adoratori heideggeriani”….”delusi   felici”.nelle  refrattarietà e diffidenze spesso mostrate dalla filosofia accademica, in particolare italiana, che invece di approfittare di quella “perversione del buon senso” inaugurata da “pensatori di riporto” che arrivavano dalla Francia :Deluze, Guattari, Foucault.... ha preferito in molti casi adoperarne la lezione come un quadro eccentrico e difficilmente sistemabile. I contributi disseminati e inaggirabili al pensiero di Spinoza, Leibniz, Kant, Nietzsche, Freud, Bergson, tra gli altri, corrispondono a una pratica da coltivare ancora con convinzione e generosità.Abbiamo con fatica trovato risposte sempre provvisorie  alle tante domande inevase  nei “labirinti illogici” del Novecento.Abbiamo scelto   non “la fuga e il suo elogio” dichiarandoci  “innocenti fino a prova contraria”  o  “i meno colpevoli” per il fatto di fare filosofia, come “vita activa” perché lo spazio frequentato è stato della massima ampiezza e occasione  di banalizzazione  e perdita. Dalla scienza al cinema e la letteratura, dalla psicoanalisi all’arte, la dirompenza  di un pensiero leggero …liquido  al massimo ci costringeva  a un ripensamento e a un’invenzione …per prova ed errori …di alcune categorie critiche con continui “ tagli” nella storia delle idee.Gli anni ’80  come residui ideologici dei “magnifici anni ‘70’ oltre la molteplicità sovversiva negli anni feroci e vitali dei movimenti, lo schizo e la macchina desiderante, e ancora il divenire stesso di «corpi senza organi», si puntellano di deterritorializzazioni e paradossi cercando  ossessivamente “una logica del senso”  come possibile risposta  allo scardinamento stesso della dialettica formale  e materiale  per assumere nuove coppie concettuali, radicali forme di rovesciamento simultaneo del senso comune. E restava sempre inevasa  la domanda “Che cos’è la filosofia?”  avendo anche esaurito la domanda “a cosa serve la filosofia ?”.  La filosofia  infatti  come “l’arte di formare, di inventare, di fabbricare concetti”  non bastava neanche se  le risposte si limitassero ad accogliere la domanda; era necessario anche che essa stabilisse un’ora, un’occasione, le circostanze, i paesaggi e i personaggi, le condizioni e le incognite della questione”. Alla fine  risultava sempre  un po’ stravagante porsi un quesito simile dopo anni di pratica filosofica  e arrivare alla conclusione  che che questo “mestiere  del pensare” poteva essere utile  solo quando la vecchiaia dona non un’eterna giovinezza ma al contrario “una libertà sovrana”, quando cioè si manifesta lo stato di grazia tra la vita e la morte.E alla fine …stravaganza delle stravaganze …. Abbiamo cominciato anche il “gioco” del “penultimo”  per non affrontare  il gioco dell’ “ultimo”  reale  che ci incalzava con “i suoi occhi cattivi”  e non riuscivamo neanche  a  richiedere una “ultima partita a scacchi” nelle fredde notti nordiche  di Bergman  o delle “poesie sapienziali “  sugli “inizi”  troppo lontani nel tempo che si stava esaurendo . E allora accettare  la realtà  tragica  di Edipo a Colono  con lo stato d’animo dell’Épuisè-esausto  che non è la fuga,la rinuncia, l’ipostasi e quant’altro. Una postura  per “Il viaggio finale” non ultimo in cui tempo e spazio si creano, si contraggono e si erodono.Una stanchezza di vivere …in cui l’esausto non può più realizzare ma  possibilizzare. Non una nuova maschera  ma una figura dell’esausto come ulteriore trama, affettiva e di significati, per un protagonismo   con un’andatura simile a una minuziosa macchina desiderante  in cui “tutto si divide, ma in se stesso”.E’ nell’esausto, in questa forma in cui ad esaurirsi non sono solo le forze ma il possibile, che si attraversa la penultima sovversione, quella per cui le idee, le cose, le immagini, non smettono di estenuarsi. Per arrivare ai corpi, alla chiusura di ogni immaginazione del possibile che è la propria morte. Si è stati stanchi di qualcosa, oggi invece,  è il presente a raccontarci che si è esausti di niente. Come durante una notte insonne, quando “le due mani e la testa fanno un mucchietto” per dire che forse non va bene eppure si resta così, insopportabilmente seduti “a spiare il colpo che ci raddrizzerà per l’ultima volta e ci stenderà per sempre”….come un personaggio di Samuel Beckett nel “penultimo spettacolo” della propria vita  nel reale…..
mauro orlando


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