LETTERA AGLI STRONZI
Cari stronzi,
siete tanti e questo vi dà coraggio.
Girate col cartellino in tasca:
ammonire è il vostro passatempo.
Non avete faccende importanti
nella vostra vita,
date la caccia alle miserie degli altri
per dimenticare le vostre.
Io vi riconosco appena aprite la bocca,
vi sento anche quando non vi vedo,
siete registi falliti, creativi che non hanno mai creato
niente, poeti
della cenere, fotografi dello sbadiglio,
militanti della purezza immaginaria.
Il vostro tempo è scaduto,
la fiamma della vostra candela
si allunga perché è alla fine.
Sta per venire il tempo dei silenziosi
dei gentili. Il rancore è un ferro vecchio,
Dio è tornato a farci compagnia,
e noi porteremo sulla punta delle dita
il suo chiarore.
Proprio l’esperienza paesologica più che a una possibile e veritiera ermeneutica mi ha fatto capire quanto sono differenti i
due mondi che la hanno determinata e la
condizionata.Faccio riferimento comunque a quello della cultura tout court e quello della politica. In altri ambiti più
strettamente teoretici è necessario
riconoscere che hanno bisogno l’uno dell’altro anche se operano secondo logiche non sovrapponibili se
non in minima parte. Il recupero di un certo “preconcetto o sospetto ”
platonico verso la poesia e soprattutto “il linguaggio poetico” come strumento
di racconto e analisi della realtà concreta e effettuale in alternativa della
“sophia” e della “politeia” è avvenuto proprio nei confronti e dialoghi vissuti
nei “parlamenti comunitari” se pur
provvisori e mai prescrittivi. Questa comprensione, accettazione e piacere è stata un’opera di disincanto che mi ha
arricchito non solo a livello personale
ma soprattutto nell’esercizio comunitario della condivisione e il
riconoscimento dell’altro da sé . Ne esco più lucido emotivamente e consapevole anche scientificamente. Oggi ,ad
esempio, sono persuaso che la lingua della “poiesis” e la lingua di
“sophia” non sono di “sorelle nemiche “ ma di “sorelle diverse” e possono
incontrarsi nella “vita activa” , non
solo per comprendersi ma soprattutto per aprire un dialogo e una azione comune nella realtà effettuale materiale e
spirituale. I linguaggi diventano “il lievito magro” di qualsiasi esperienza
comunitaria che in genere nel “sapere” tradizionale divergono
condizionando anche le finalità degli
attori. Il “philosofos” teoretico vuole
arrivare alla radicalità e alla nettezza dei concetti, delle opinioni e delle
idee e dei loro movimenti, mentre quello “politikes” smussa gli angoli ,i conflitti e le asperità
perché il linguaggio gli serve per operare, per cercare consenso, non solo per capire e costruire la sua “turris
eburnea” senza porte e finestre. La
“poiesis” dal suo canto non ha vocazione elitaria e verticale e prefigura “saperi arresi” che amano la parola come
espressione delle cose, degli uomini e
della natura per rapporti di condivisioni comunitarie autentiche e vere. Le
nostre esperienze riflessive e consapevoli nel mondo nel suo complesso e del
mondo sociale organizzata dal pensare politico hanno esercitato e esibito
impegno politico, e qualche analisi intelligente, fino agli anni Settanta. La
grande trasformazione neoliberista ci ha
colti di sorpresa e non l’abbiamo capita per tempo scegliendo di guardare
come spettatori “il naufragio”
dalle rive del mare o immergendosi nella
tempesta senza i mezzi necessari e le finalità chiare e condivise. Abbiamo
rifiutato con leggerezza e superficialità e
rinunciato al pensiero critico e responsabile rifugiandosi semmai, in
certi casi, in compiaciuti sofismi, ideologismi retrogradi e di non avere contrastato l’ingresso del
neoliberismo nella cultura popolare e
specializzata con sensi di colpa
non richiesti e ritenuti irrilevanti. I cittadini non si riconoscono più
in ciò che avviene all’interno delle stanze della politica e neanche di quelle che si praticano a tentoni tra le pieghe della cosiddetta società civile
,pura e incontaminata . Il risultato di questo fenomeno è comunque una crisi
della democrazia rappresentativa ( il bambino della famosa acqua sporca) a cui
tutti in vario modo abbiamo contribuito
senza neanche il tentativo o la fantasia di avanzare
proposte alternative nella teoria o nella pratica della esperienza. E
intanto la “politica” continua a
prendere decisioni nonostante la mancanza di appoggio, o il disinteresse,
dell’elettorato. La diretta conseguenza di tale condizione è il populismo e il
sovranismo nostrano e strapaesano ?Il
fallimento del vecchio sistema di
potere politico lascia un enorme
scontento presso strati sempre più larghi delle popolazioni. A questo scontento
si dà il nome di “populismo ” e di “antipolitica”, e qualcuno è portata dalla disaffezione e dalla
confusione a pensare che si possa trattare
di esperienze che possono anche aiutare o provocare spinte politiche reali che
potrebbero aiutare la stessa democrazia.
E’ paradossalmente vero che una forma di coinvolgimento c’è stato e d è ancora potenzialmente in atto. Tutti i movimenti di
protesta e di resistenza che nascono nella società in risposta al peggioramento
della qualità della vita indotta dal neoliberismo sono il loro reale e concreto
crogiuolo. Oggi spesso sono spontanei, eterogenei e scomposti,
e spesso fuori bersaglio. Aspetto importante è che sono nel complesso minoritari,marginali e
inattuali perché il grosso dello
scontento, dell’anomia, si rifugia nella disperazione, nella passività,
nell’individualismo proprietario subalterno
di un paese in sviluppo senza progresso complessivo. I partiti sono nel
marasma, nel disagio e nella confusione
mentale senza alcun principio di
elaborazione e progetto di nessuna forma
politica alternativa o di possibile
continuità democratica. Così c’è il
rischio che la residua energia politica circolante nella società vada
semplicemente sprecata. È evidente che la sfida del presente è re-inventare
pensiero, esperienze e azioni perché realizzino istituzioni e stili di
pensare e soprattutto di vivere che
sappiano tradurre i conflitti ad armonia
sociale e a rapporti umani a comunitari
piuttosto che immunitari.
Mauro Orlando
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