martedì 27 settembre 2016


“oggi e sempre …paesologia!”

“ Orlo, bordo, confine, selve, monti, mare, alberi, zolla, cane, vigna, nuvole, vacca, panchina, sole, alba, tramonto, e vento, neve, pioggia, e altro vento, e altra neve, e aprile, e il verde di maggio, e il nero di settembre, silenzio senza opinioni, luce senza commenti, voglio solo che la vita sfili, se ne vada da dove è venuta, non la trattengo, non voglio trattenere niente, camminare, guardare gli alberi, prendere confidenza col cielo.”F. Arminio.


La paesologia predilige le pieghe, le crepe,le sfumature… e le diramazioni che le parole assumono nel corso del “vivere e pensare” nel loro uso e contesto materiale …. storico ed esistenziale. Sono le modalità del pensare che segano la differenza .Il nostro contesto classico-moderno aristotelico-cartesiano ci ha abituati a ad assegnare ad ogni ente umano o naturale una “sostanzialità unica” sinolo di “materia e forma” dove la “forma” assegna caratteristiche e senso ad ogni ente. Ogni ente “è e non può non essere …così come lo percepiamo o pensiamo”…..altro è pensare il reale come continuo, evanescente ,provvisorio processo che parte da una “propensione immanente” autonoma non eteronoma. Un ente umano o naturale “causa sui” con una sua volontà e capacità di pensare ma soprattutto “vivere”con pensieri e ideali provvisori da tradurre in azioni e realizzare volta per volta.Il mondo non è solo “esteso o gettato” per essere conosciuto….domenticando che lo stesso “zoòn politikon ekon legon” stabilisce un rapporto e il nesso tra l’io e l’altro è originario e che l’io è costitutivamente immerso in una situazione data di connivenza con l’altro-da-sé:invece di stabilire una distanza da costruire nel pensiero, presta attenzione all’«intesa» che si tesse inavvertita e trattiene nell’aderenza al paesaggio del mondo.Un “sapere arreso e provvisorio” che mi aiuta a vivere prima di conoscere un paese attraverso un disponibilità di “connivenza” come rapporto che si converte in tacita comunicazione…compassione …..senza per questo voler accedere a un altro piano immateriale….solo percettivo…intuitivo ….sentimentale o peggio “irrazionale”.Non ci sono “immacolate concezioni” ma neanche defatigati Sisifo o eroici Prometei che tengono!Semplicemente “I luoghi stanno sparendo. “Prendi un angolo del tuo paese e …..fallo sacro”.Ci sono vissuti che prestano attenzione all’«intesa» che si tesse inavvertita e trattiene nell’aderenza al paesaggio del mondo e in particolare ai “piccoli paesi” trascurati e abbandonati per nostra fortuna.”Il sapere arreso” trasforma la connivenza …la “koinonia” in tacita e silenziosa comunione oltre la comunicazione nella dimensione dello spirito e del “sacro” che si sente nello stato di “grazia” di andare “oltre” l’ente , le persone, le cose …..percependo e vivendo “l’evanescente” in una esperienza che va oltre la “mistica estraniante” ma che sente il fondo indifferenziato delle cose, che non rientra nel registro della presenza, ma del “nascosto” tenue e sottile non per definirlo ingabbiandolo nel “logos” ma mantenendosi nella fecondità del virtuale della “poiesis”.Quando Arminio visionariamente sulla rupe di Cairano parla di “costruire “un museo del vento o …delle nuvole ”mostra “l’anima folle …misterica ” della paesologia .Nulla meglio del vento la rappresenta: come per l’aria di un volto o l’atmosfera di un luogo, il vento è imponderabile e inconsistente, ma si propaga in modo insinuante e diffuso. A sua immagine si diffonde l’influenza che si spande silenziosa fra individui o la fiducia che sfugge alla presa di volontà o intelligenza e si annoda nella relazione tra uomini. La nostra lingua-pensiero, abile nell’eliminare l’equivoco, la confusione di aspetti che andrebbero distinti, fatica a cogliere l’ambiguo, le situazioni in cui ancora non è emersa l’opposizione tra l’uno e l’altro.:Noi non siamo “costruttori abili” di pensiero sul paesaggio sul sentimento e la passione di vivere un paesaggio…nella stabilità e nel fluire …tra forma compatta e trasparenza informe….sempre in una logica oppositiva o dialettica…..ma che sente la forza e l’attrazione della relazione. L’esperienza di una “intimità”tra l’io e la propria vita che superi anche la categoria dell’ amore che deraglia sempre nel possesso dell’altro o nella tomba del desiderio per diventare delusione o morte. Una “intimità…paesologica” non individualistica ma comunitaria che non smette di cambiare e rinnovarsi nella quotidianità e nel tempo verticale che scorre diverso come il fiume di Eraclito….che è sempre disponibile ad essere penetrato ma mai compreso una volta per tutto.”Un evanescente” naturale che stabilisce non poteri o autorità sul reale ma che cerca , sente e trova occasioni di “relazioni compassionevoli”
 mauro orlando

mercoledì 21 settembre 2016


L' occhio poetico e paesologico... 


Prima c'e lo sguardo poi venne la parola e il canto....affrontando per paradosso il tema della "cecità" ( anche della sordità o della sensibilità in genere) ci si trova in un fitto reticolo compositivo delle varie e possibili forme della "comunicazione" dell'homo sapiens sapiens.Karen Blixen ci racconta di un inconsapevole "cicogna" disegnata da uno sventurato nell'affannoso tentativo di tappare le falle di uno straripante temporale notturno nel proprio giardino.C'è una inconsapevole luce nelle tenebre che ci attrae e avviluppa percettivamente in una "visione interiore" chiara e distinta a cui partecipano i poeti e i visionari in genere.A volte ...ripercorrendo un cammino retrospettivo....proustiano...negli abissi piacevoli della memoria....dove il disegno di ogni coscienza ed esistenza si traccia oscuratamente.Gli eventi ...i fatti...i sentimenti...le idee emergono da argomentazioni in forme espressive diverse...come le atmosfere oniriche di Kafka...quelle allucinanti e spettrali di Dostoevskij...quelle intimamente liriche di Saffo....quelle sofferenti per i naufragi della ragione di Leopardi e su di lì. "Scrivo senza vedere....dove nulla ci vedete....leggete che vi amo" ....Così paradossalmentee "scriveva" Diderot per scrivere il suo amore nascosto.Il sapere in gebere ha a che fare con i mezzi conoscitivi che utilizza per mostrarsi....farsi....vedere...credere...intravedere prima che intervenga il dubbio e il sospetto per evitare il sistema e il vizio metafisico ....per precauzione di assolutiuzzazione ... il "sapere ....dichiara una resa provvisoria" non come atto definitivo e conclusivo. La "paesologia" intende la sua "resa" e si da una "tregua" verso il mondo...la filosofia...la teologia e sceglie la strada visionaria e autentica della "poesia" ( Omero si accecò per rimaner nel sogno) per intraprendere un nuovo e diverso viaggio nel mondo...tra gli uomini e la natura non seguendo servilmente la strada del "logos"..E allora si riparte dallo "sguardo" che è quello immediatamente più inquinato e condizionato da "una modernità incivile" che ha colpito l'io nella sua essenza lirica, profonda e esistenziale. La "skèpsis" è cosa immediata dell'occhio....la parola in origine designa una percezione visiva...l'osservazione...la anonimia....la atopia....la vigilanza...l'attenzione dello sguardo che esamina...sceglie....divide e ricompone.Si spia intimamente e si riflette pubblicamente e poi "si significa ciò che ditta dentro" come scrive Dante.....ritardando il momento delle conclusioni...nel parlato, cantato e infine .nella scrittura.Il giudizio si sospende in una ipotesi provvisoria di ritenzione scritta.Il tutto precedentemente vissuto nello sguardo e nel silenzio.... guardando e ascoltando.Scegliendo per consapevolezza il tempo verticale della coscienza e lo spazio non dei "luoghi non luoghi" della urbanizzazione antiumanistica....ma il margine....la periferia....le frane..."gli spazi interminati e gli infiniti silenzi" oltre la siepe......i piccoli paesi del terremoto e dell'abbandono per ritornare a "rivedere ...le stelle" della "grande vita" preservata e autentica...Sull'orlo del precipizio e dell'accidente si può scrivere anche ad occhi chiusi ..."gli occhi dlle dita scrivono " estraneandosi del mondo anche perché disorientati e distratti dalla notte della civiltà antiumanistica..... "Sono nato nella bocca di un lupo- scrive il poeta-paesologo Franco Arminio- un lupo sperduto in un’altura senza boschi, era febbraio del sessanta, c’erano nel paese una decina di macchine e un migliaio di muli, le rondini muovevano il cielo, i porci tenevano ferma la terra, camminavano i giorni verso il futuro. Poi tutto si è fermato, siamo entrati nel mondo, i vecchi sulle panchine hanno preso la via del cimitero, il cimitero ha preso la via delle case. È andata così, più o meno, il tempo alla lunga si rivela la forma tranquilla del veleno." La “paesologia “ potrebbe essere questa via poetica-esistenziale dove ognuno cerca di imparare a "guardare" per sé e per gli altri con l'occhio incontamnato e selvatico del lupo ..... un animale molto umano.Non ama la debolezza ,preferisce l’astuzia e la leggerezza de “ la mètis”…greca alla furbizia e superficialità della modernità dello sviluppo a tutti i costi .Prova speranza ,paura ,orgoglio, disgusto,rabbia.Il upo con le sue azioni ci mostra e offre descrizioni e racconti del suo mondo interiore....in rapporto agli altri e alla terra che ci è data vivere..
mercuzio

domenica 11 settembre 2016


Al mio paese la terra trema sempre 
Franco Arminio 

Al mio paese la terra trema sempre, terremoto a oltranza. Ora abbiamo un paese nuovo e un paese vecchio. Il paese nuovo è brutto, come tutti i paesi nuovi. Il paese vecchio è bello, perché il brutto è tutto concentrato nel nuovo. Allora il mio consiglio è di non fare paesi nuovi. Bisogna rifare il paese dov’era. Rifare il paese, non solo le case, un paese non è una somma di case. Rifare un paese dunque non è questione solo di architetti e urbanisti. Spesso i paesi nuovi danno la sensazione di essere un catalogo di materiali edili.Torniamo indietro. Prima del paese nuovo ci sono le tende, poi i prefabbricati. Ci sono gli articoli dei giornali e i servizi televisivi, c’è la commozione delle prime ore, ci sono gli aiuti e le polemiche. I terremoti un poco si somigliano. I terremoti fanno cose strane, una casa cade e un’altra no. C’è chi muore sul colpo e chi resta incastrato con una trave sulla pancia, c’è chi ascolta gli aiuti, ma non ha la forza di farsi sentire. Mai bisogna dimenticare che il terremoto è un’irruzione improvvisa. E la tragedia nelle sue prime ore e nei primi giorni ha anche un effetto un poco euforizzante, almeno in chi non ha avuto lutti. Il terremoto è anche una faccenda di ruspe che fanno gli abbattimenti e poi di betoniere. Ci sono i ponteggi per le case pericolanti e poi le impalcature dei cantieri. Ci sono i piani di recupero, i piani di zona, insomma le carte dei tecnici. E poi ci sono gli stanziamenti, ci sono i governanti che nominano un commissario. C’è sempre una fase in cui arrivano i soldi ma i lavori ancora non cominciano. Poi c’è una fase in cui i lavori vanno a rilento perché gli stanziamenti sono finiti. Il terremoto apre anche spiragli, le persone non hanno più i loro divani, chi dorme in macchina sembra avere un tremore buono, l’arroganza è un poco dismessa.In Italia nessuno ha mai pensato veramente alla prevenzione. I morti causati dai terremoti li mettiamo nel conto. In Italia ci sono due milioni di persone che vivono alle falde di un vulcano attivo. L’economia della catastrofe fa parte dei nostri giochi. Al mio paese molti pensano che solo un terremoto può riaccendere l’economia. È come se si riuscisse a credere solo nella sventura. La sventura è l’unica forma che hanno i paesi per farsi riconoscere. La loro vita ordinaria sembra non esistere. Il paese interessa quando cade, quando frana. E allora il centro finalmente si muove verso i margini. Bisogna coinvolgere nel racconto dei terremoti un po’ di persone speciali. Bravi registi, bravi poeti, bravi fotografi. Per raccontare un luogo terremotato non basta il lavoro usuale dei giornalisti. Ci vuole qualcosa di più. E così anche per la ricostruzione: se c’è l’urbanista perché non deve esserci anche il paesologo?La cosa importante è ragionare sui paesi italiani. E invece questo non accade. E quando subiscono un terremoto ci troviamo impreparati anche dal punto di vista culturale. È come se non avessimo le lenti per guardarli, per capire cosa sono adesso. Ecco che diventa difficile salvarli senza manometterli più di tanto. Lavorare sui paesi senza espanderli, tenendo conto che tendono a perdere abitanti. Ma i paesi non muoiono, ci vuole poco per tenerli in vita. Nella ricostruzione bastano poche idee: fare le case prima ai residenti nei centri storici, poi ai residenti che si sono fatti la casa in periferia e in ultimo a quelli che le case le tenevano chiuse. Bisogna fare anche cose nuove, se servono a determinate attività economiche. Magari un ristorante che era in periferia può essere ricostruito in centro: piccole azioni centripete, in contrasto con la forza centrifuga che sempre agisce in questi casi. Si può pensare anche a una ricostruzione che diventi attrattiva. Per esempio, si scelgono cinquanta case di campagna e si affidano a cinquanta grandi archittetti di tutto il mondo. I contadini non solo restano dov’erano, ma le loro case diventano punti di un grande museo diffuso dell’architettura contemporanea. Sarebbe un’operazione senza grandi costi. E ovviamente deve essere fatta su case di campagna manomesse dalla modernizzazione incivile, prima che dal terremoto. Insomma, nel ricostruire i paesi non si tratta solo di sbloccare i fondi, ma anche l’immaginazione. E allora se al paese erano scomparse le fontanelle pubbliche si possono rimettere. Se c’era un edificio incongruo che è caduto non è detto che bisogna ricostruirlo dov’era: la proprietà deve essere considerata sotto l’aspetto dell’uso sociale (articolo 42 della Costituzione). È molto importante ricostruire pensando alla connessione tra paese e paesaggio, bisogna pensare alla terra più che al cemento.La terra trema e non possiamo farci niente. Possiamo far tremare consuetudini, rendite di posizione, grettezze provinciali ben saldate con gli interessi degli intrallazzatori sempre all’opera in questi casi. Il terremoto dovrebbe aiutarci a buttare giù l’Italia degli imbrogli e a far salire quella dell’attenzione e della bellezza.

sabato 10 settembre 2016

Il potere arreso del “fare”


di mauro orlando


  Da quando abbiamo dovuto rinunciare a piegare la critica sui limiti della conoscenza prima e del Potere poi….esercitando la mente tra paralogismi e antinomie e a frugare nei bauli degli arcana imperi….Foucault ci ha avvertiti una possibilità di “critica come l’arte di non essere esclusivamente governati” Oggi siamo alla nostra ricerca di una “attitudine a vivere la vita “ e non più il gesto elementare di “dire” e “fare” di NO. Il capitalismo …lo spettro inquietante della nostra adolescenza inquieta e movimentata ha dimostra una duttile e perversa capacità di “resilienza”….un’abilità particolare nel sussumere e neutralizzare, o addirittura mettere a profitto e restituire in forma di merce, ogni gesto critico, anche quello più radicale.E allora per non continuare a interpretare “senza se e senza ma” il ruolo di “mosche cocchiere…del capitale” o il ruolo del “povero soldato giapponese” dopo la seconda guerra mondiale…..o la cura nel proprio intimo di un sentimento apocalittico e malinconico di “poeti maledetti” in realtà complesse o a inseguire “le debolezze del pensare” come ultimo e decoroso rimedio allo scacco di una generazione genero di “ ingenui e disarmati guerrieri”. Oggi esercitiamo un “elogio della fuga “ nei luoghi possibili ed arresi nei “luoghi comuni di umanità” che vive la resilienza ai margini ….”nei piccoli paesi… colettivi di pesniero e di vita per fare e guardare altrimenti” E’ nei territori isolati dell’abbandoni …spina dorsale di una Italia delle pianure e delle coste postmodernizzata nella rivoluzione antropologica vaticinata da Pasolini…..che ritroviamo la “brace” di una vita autentica da rinfocolare e accendere.Lo strumento nobile della critica del dubbio e del sospetto ha fatto il suo tempo…il pensiero oggi ha la necessità di ricuperare i suoi comopagni di viaggio naturali che sono “sentimento e passione”…per fare altrimenti e costruire nuove e collettive forme di vita provvisorie e attive. Il sapere arreso non è “una resa incondizionata e rasseganata” ma è forma di esistenza dove modi semplici e amicali di territorio comune e amicale non si fanno rinuncia e autocommiserazione.Nessuna intenzione di costruire il comunismo con altri mezzi ma sicuramente scegliere la strada e il viaggio dentro la deminesione del comune non dell’individuale.Abbandonare il grande fiume della Storia per inventare e vivere “nuove e piccole storie” non di riscatto o di compassione ma ricche delle energie vitali per continuare la “vita activa”. E allora con modestia, perseveranza e radicalità recuperare lo sguardo profondo delle “idee del cuore” ( come i greci “eidein è guardare in profondità per «saper vedere» resistenza al reale complesso …all’ esodo dai non luoghi del capitalismo finanziario e commerciale…. e alla costruzione di alternative non utopiche ed universali …e incomininciare i racconti non di sconfitte, soprusi e sofferenze ma saoer raccontare una liberazione fatta di piccoli gesti, espressioni di sentimenti e passioni umante tutte umane. Si tratta, insomma, di esercitare la potenza del no nelle forme di vita che costruiamo, come già il Bartleby di Melville, ma anche e soprattutto di andare al di là della sola negazione puntando, in positivo, sulle capacità progettuali collettive degli uomini e donne in carne ed ossa incontriamo alle nostre “case e feste paesologiche”. 

Mauro Orlando

giovedì 8 settembre 2016


...le "notti attiche" di Trevico... Clandestinità e decenza per un incontro controverso. …il memorabile ….l’effimero… il sublime ….la paccottiglia il puro kantiano nell’aria impura del tempo….dello spazio e ….le categorie e le idee !? ..forme a priori della mente ordinatrice… “tutto ciò che non è immediato è nullo” e giù una scrollatina di spalle e una sbuffata di …..Cioran …ha avuto il dono dell’immediatezza la capacità di lasciar filtrare parole e le sue scorie scorrono nella circolazione del sangue che sale alla testa senza toccare il cuore parole ...parole di chi le incontra e vi rimangono talvolta allo stato latente finchè un giorno ritornano a risonare intatte dolosorse e incantate….negli incubi poetici delle “notti attiche” di Trevico…. Diogene smarrito ….in pieno giorno “A bassa voce ora conversa con ciascuno di noi” è un tono che sorprende e che confonde sibila quasi parole senza suono come “una parola detta in un orecchio…. …. in un momento in cui non te l’aspettavi …una parola attesa e diventata un ospite inquietante ma indispensabile….. ….tutto il sensorio percettivo torbido ed arido viene costretto risvegliarsi dai suoi sogni dogmatici…. duro viaggio ed una presa in “cura” di una mente cangiante,disponibile…turbolenta e perennemente attiva…... …..guardare gli uomini negli occhi che sfuggono ….guardare le cose …di sbiego… frastagliato e turbolento oggetti a continue distrazioni,divagazioni,simulazioni da sempre i miei ritorni sul luogo dei simposi comunitari “Han dato impressione che il tempo e il modo di arrivare erano quelli di entrare a casa mia dove comando io” con una valigia piena di ragioni…concetti….e fantasie e sogni nel mercato libero della immaginazione al potere… ho sempre amato gli uomini che sanno coniugare sensibilità…sogni e fantasia a sottile ironia e anche a un cinismo purchè sia bizzarro e libero. INSOLENZ A …..IMPRONTITUDINE…. IMMEDIATEZZA ….temo gli scrittori perché abili nel celarsi…per mestiere difficile saperli scovare e smascherarli ….con amore… ermeneutica scaltra e sottile dei salotti parigini…. . dove ogni stile si forma per successive campagne intimidatorie e predatorie in territori destrutturati altrui….. oggi … “il bello non è la promessa o la speranza di felicità…. ma “ l’avidità degli occhi come lotta d’amore in un sogno… un pòlemos filosofico agonistico più che una guerra….. pensare è …..gettare una luce magica nell’oscurità naturale delle cose e elaborare il lutto della banalità superficiale delle azioni umane…. non più pensare o snidare l’Essere Pensare che ama nascondersi “un peccato infinito” d’orgoglio originato in Edipo….. interpretare infinitamente…senza un “inizio” e senza un “fine” …. in un moto incessante,abrupto, frantumato e ricorsivo….. “Zoòs èkon lègon” non più “politikòn” ….condannato di continuo all’umiliazione di nuove conversioni Interprete interpretabile di sempre diverse interpretazioni si rifugia nelle crepe delle sue corazze senza decisioni per sfuggire all’orrore di queste apostasie filosofiche si è orgogliosamente rassegnato alla modestia della debolezza contento di sentire il calore di un asilo dell’impeccabile ingenuità. Tirata giù d’imperio …l’antenna metafisica del’orgoglio razionale Ho educato una capacità folgorante di percepire la pura apprensione dell’istante La capacità a sorprendersi degli istanti in cui la vita rivela la profondità E la complessità multipla dei suoi i piani infiniti……. accontentadosi di sentire e percepire più che pensare mauro orlando

lunedì 5 settembre 2016

......totem e tabù....


Sono sempre più imbarazzato e reticente con vecchi e nuovi amici a parlare di Renzi e il succedaneo dispregiativo ”renzismo” …..della sua esperienza di governo e di guida del PD. Questo condizionamento non solo psicologico che si esercita carsico nei toalkschow per piaggeria succube….. comincia veramente a darmi fastidio specialmente tra amici e compagni per tacita obbedienza a meccanismi automatici di condizionamento che non partono mai dal merito del problema. Anzi il merito è una forma indiretta di omologazione al potere in corso.E’ politicamente e istituzionalmente pericoloso….e il peggio rappresenta la continuità del berlusconismo con altre forme ….altri mezzi e argomenti…..è superficiale e leggero ……è la tomba della storia della sinistra e giù di lì…..Cercare analisi e argomentazioni oltre i dubbi e i sospetti è non solo casa vana ma diventa discriminante per una condanna sommaria e per consumare amicizie superficiali e sospetti di comodo.Situazione tragica in altre epoche storiche “rivoluzionarie” che per fortuna in Italia si ripete in farsa ,parodia e commedia. E allora mi piacerebbe di affrontare il problema mettendo a confronto esperienze del paradigma democratico che toccano varie situazioni che in questi ultimi tempi stanno attaccando istituzionalmente e concretamente la esperienza della democrazia così come l’abbiamo vissuto e praticata in questi ultimi decenni.Avvertendo il lettore malcapitato che la lunghezza e l’articolazione del ragionamento non è l’incentivo all’abbandono della lettura. Il tema è lo svilupparsi di una tendenza verso “una democrazia dispotica” o un “despotismo democratico e leaderistico” in occidente ma anche in altri paesi geograficamente e culturalmente distanti .Tralasciamo le esperienze che riguardano territori dove il rapporto tra Stato e Chiesa non è regolato da nessuna forma di concordato e che pone il problema della “laicità” dello stato non confuso con la semplice “secolarizzazione”.Una involuzione di vario tipo verso un dispotismo di maggioranza nelle democrazie occidentali che agevola specialmente a sinistra l’assuefazione ad un “sonno dogmatico” o “ rifiuto pregiudiziale” che arriva al paradosso di accettare un dato di fatto :il consenso elettorale non è più il criterio per giudicare buono e liberale un governo. Problema aperto anche per le democrazie costituzionali.Non prendo in considerazione il giornalismo scritto e parlato che negli ultimi tempi ha dato di sé il peggio sia per professionalità e conoscenza .Gli stessi costituzionalisti sono prigionieri del loro sapere costruito nel complesso e sofistico panorama della politica italiana dalla egemonia democristiana attraversando supine le supplenze istituzionali della seconda repubblica e i disastri culturali del ventennio berlusconiano e i suoi epigoni imitatori o oppositori .Una normale espressione delle tre categorie della scienza politica (“polity”, “policy” and “politics”) sarebbe un strumento di correttezza e di lealtà e onestà intellettuale verso chi legge la politicata e ascolta la politicante. Questi termini – che non hanno un equivalente italiano – indicano tre diverse dimensioni della politica, rispettivamente: la politics, la sfera del potere, inteso come capacità di influire sulle decisioni prese dagli individui; la polity, che si riferisce alla definizione dell’identità e dei confini della comunità politica organizzata; la policy concerne invece i programmi d’azione e i processi decisionali, ossia l’insieme di leggi, provvedimenti, politiche pubbliche attuate per gestire la res publica.Queste precisazioni aiuterebbero anche a preparare lo spirito pubblico ad articolare giudizi politici utili per chi li reclama e per chi li gestisce bene o male . In questo contesto di “confusione consapevole e responsabile” si sono vericati dei mutamenti che tentano a farsi antropologici e culturali.Il primo mutamento è quello che viene definito “metamorfosi della politics”, in cui si considera la trasformazione, formale, della dimensione processuale della politica. Tale trasformazione riflette in maniera inequivocabile un mutamento di prospettiva e di rilevanza rispetto alla funzione della progettualità politica e dunque della politics. Questo nuovo tipo di consuetudine alla lamentazione e alla denuncia non tocca solo l’impoverimento del linguaggio “della transizione”, che sviluppa moduli linguistici e formule di opinione improntate al “nuovismo” vuoto e rituale . Il linguaggio della transizione è il linguaggio della crisi, della inesorabile cesura tra un “prima” e un “dopo”, tra un “ante” e un “post”; contrassegnato da una permanente “sospensione” tra ciò che è stato e ciò che invece sarà, o non sarà mai, è il linguaggio “populistico” della democrazia plebiscitaria che fa appello al popolo sovrano e al rapporto diretto tra leaders ed elettori. Questo tipo di linguaggio ha determinato un mutamento della “forma” politica, attraverso il lessico del “nuovismo”, ossia di un lessico che non si serve di parole nuove, piuttosto preferisce rovesciare il senso delle parole vecchie; un lessico enantiosemico,( dal greco ‘enantìos’ contrario e ‘sema’ segno ) per cui quando si dice una parola si deve intendere il suo contrario, come nel caso del “federalismo” che nel linguaggio leghista è servito ad indicare l’idea di separazione, di “secessione”, non di unione. Quando il mutamento del significato delle parole è indotto, allora ci troviamo in un quadro concettuale-politico diverso, in cui dobbiamo ridefinire tutta una galassia di significati. E’ un po’ quello che avviene in 1984 di Orwell, nella ridefinizione di un lessico politico che, in quel caso, riflette una mutazione irreversibile della natura della politica. Il secondo fenomeno è quello che viene definito “catarsi della polity”, un effetto dovuto al carattere performativo del nuovo codice linguistico adottato. Il linguaggio politico diventa il veicolo, il vettore di una catarsi della polity nel fenomeno del “ populismo”: uno sfogo che preannuncerebbe un nuovo equilibrio politico-istituzionale. I due tipi di linguaggio possono essere definiti “populisti”, sia per l’avversione esplicita nei confronti dei canali tradizionali della rappresentanza della dottrina giuridica e politica , la cui destrutturazione e trasformazione ha aperto la strada a nuove forme di mobilitazione sociale e di difesa degli interessi, sia per l’appello reiterato al popolo sovrano, che sovrano non è più, evidentemente. Il terzo momento è costituito definito “neutralizzazione della policy”, ossia l’impossibilità da parte dei politici di tradurre le issues politiche e sociali in coerenti formule politiche, in progetti politici, per cui il linguaggio populista finisce per esprimere la non traducibilità di queste issues, la non formulabilità di una concreta politica (policy) di governo nell’interesse generale del paese. Perché, se queste issues si traducessero, assumerebbero la forma di stridenti e forse insuperabili conflitti sociali o, nella peggiore delle ipotesi, della lotta civile. Accanto al linguaggio politico populista prevale poi il “linguaggio del’anticultura”, che minimizza o addirittura tende ad esautorare il ruolo della cultura nei processi di legittimazione democratica. Questo ci imporrebbe di interrogarci sul ruolo della cultura oggi, riprendendo la nota formula della “politica della cultura”, coniata oltre cinquant’anni fa da Bobbio in Italia e Popper nel mondo. Alla cultura spetta il compito di restituire alla politica la sua dimensione prospettica ed etica, senza la quale essa resta vittima del presente, della precarietà e della assoluta contingenza. mauro orlando
 

 Clandestinità e decenza per un incontro controverso. …il memorabile l’effimero il sublime la paccottiglia il puro kantiano nell’aria impura del tempo….dello spazio e ….e categorie!? forme a priori della mente labirinto… “tutto ciò che non è immediato è nullo” rispondeva infastidito Cioran …ha avuto il dono dell’immediatezza la capacità di lasciar filtrare parole e le sue scorie scorrono nella circolazione mentale di chi le incontra e vi rimangono talvolta allo stato latente finchè un giorno ritornano a risonare intatte dolosorse e incantate….negli incubi poetici delle “notti attiche” di Trevico…. Diogene smarrito …. “A bassa voce ora conversa con ciascuno di noi” E’ un tono che sorprende e confonde Sibila quasi parole senza suono come “una parola detta in un orecchio…. …. in un momento in cui non te l’aspettavi” …una parola attesa e diventata un ospite inquietante ma indispensabile….. ….tutto il sensorio percettivo torbido ed arido viene costretto risvegliarsi dai suoi sogni dogmatici…. duro viaggio eduna presa in “cura” di una mente cangiante,disponibile…turbolenta e perennemente attiva…... …..guardare gli uomini negli occhi che sfuggono ….guardare le cose …di sbiego… frastagliato e turbolento oggetti a continue distrazioni,divagazioni,simulazioni da sempre i miei ritorni sul luogo dei simposi comunitari “Han dato impressione che il tempo e il modo di arrivare erano quelli di entrare a casa mia dove comando io” con una valigia piena di ragioni…concetti….e fanatasie nel mercato libero della immaginazione al potere… ho sempre amato gli uomini che sanno coniugare sensibilità…sogni e fantasia a sottile ironia e anche a un cinismo purchè sia bizzarro e libero. INSOLENZA …..IMPRONTITUDINE…. IMMEDIATEZZA ….temo gli scrittori perché abili nel celarsi…per mestiere difficile saperli scovare e smascherarli ….con amore… ermeneutica scaltra e sottile dei salotti parigini…. . dove ogni stile si forma per successive campagne intimidatorie e predatorie in territori destrutturati altrui….. oggi … “il bello non è la promessa o la speranza di felicità…. ma “ l’avidità degli occhi come lotta d’amore in un sogno… un pòlemos filosofico agonistico più che una guerra….. pensare è …..gettare una luce magica nell’oscurità naturale delle cose e elaborare il lutto della banalità superficiale delle azioni umane…. non più pensare o snidare l’Essere Pensare che ama nascondersi “un peccato infinito” d’orgoglio originato in Edipo….. interpretare infinitamente…senza un “inizio” e senza un “fine” …. in un moto incessante,abrupto, frantumato e ricorsivo….. “Zoòs èkon lègon” non più “politikòn” ….condannato di continuo all’umiliazione di nuove conversioni Interprete interpretabile di sempre diverse interpretazioni si rifugia nelle crepe delle sue corazze senza decisioni per sfuggire all’orrore di queste apostasie filosofiche si è orgogliosamente rassegnato alla modestia della debolezza contento di sentire il calore di un asilo dell’impeccabile ingenuità. Tirata giù d’imperio …l’antenna metafisica del’orgoglio razionale Ho educato una capacità folgorante di percepire la pura apprensione dell’istante La capacità a sorprendersi degli istanti in cui la vita rivela la profondità E la complessità multipla dei suoi i piani infiniti……. accontentadosi di sentire e percepire più che pensare

domenica 4 settembre 2016

uando comincia l'inverno il ritorno nei nostri scontenti.. caro....amico Aitan mi mancano i tuoi abbracci fragorosi.... ....i morti reincontrano i vivi lasciati sugli altari e sui muri di casa o negli angoli sempre più bui ...i libri muti di polvere riprendono a sperare di non finire ingloriosi sulle bancarelle della Caritas e noi .....rientriamo nella casa-prigione delle città non -luogo dove il tempo lo scandisce il lavoro a parlare ai nostri spettri segreti sulle mura solitarie della sempre "marcia Danimarca" e lasciamo agli alberi perdere le foglie sulle colline magiche delle nostre speranze senza paura del ciclo naturale delle cose ... ....panta rei.... nell'eterno ritorno del diverso negli orizzoni infiniti del mare .... .....restituiamo il silenzio a Trevico ...ce lo ridarà ....non temere...con gli interessi alla primavera che verrà ... e avrà i nostri occhi ora....conserviamo nel cuore poeta i colori del buio.. la luce diversa di albe e tramonti i furori e i tremori dei chiari di bosco. il rumore di passi invecchiati e di foglie morte ..... .....la panchina e l'ombra del tiglio... un libro abbandonato in cerca di amore.... nei nostri piccoli paesi abbiamo saggi e inoperosi contadini della bellezza nei nostri piccoli paesi dalla garnde vita... uomini antichi e donne silenziose che lavorano e aspettano l'assenza... dei suoi figlioli prodighi amanti d'avventure ....ogni anno...ritorniamo nelle case di bambole in un universo senz'amore per una necessità imposta nel tempo e nello spazio del ciclo innaturale delle cose .... torniamo vittime di un desino cinico e baro a intrattenere fantasmi che ci aspettano ... nella dolorante solitudine urbana.... .....la malinconia fa male ma lascia il mondo come e dove ....è e poi lo riprende in primavera il desiderio e torniamo a farci guardare dalle crepe... ....in fondo alle crepe ...sai c'è un vento dolce di morte e di passato che soffia leggero e piano a primavera e fa germogliare una primula vagante nel seme .... lasciamo che i morti ci guardino dalle crepe anche all'aperto nei prati e nei boschi... tra i sentieri interrotti da radure sognanti ....la vita in fondo è solo una anomalia della morte è una frana...un precipizio...un terremoto un paese che chiude in casa la vita... nella casa in città non luoghi di ricordi attaccarli ai muri ....chiusi nell'armadio o nel cassetto segreto dello scrittoio abbandonato imbavagliati con la vita tra caotici passaggi sentimentali tra un sesso freddo e varipinte bugie e un bicchiere sempre vuoto bevuto troppo in fretta ...aspettando che finisca l'inverno ....di questo ti parlavo in sogno questa notte ...mio caro amico Aitan.... su quella panchina deserta di Aliano mettevi il dito sulla bocca e sibilavi il silenzio e....premuroso di affetti e prodigo di carezze alle mie balorde e incomprensibili parole rispondevi con un fragoroso.... ....No No No No ! e mi sorridevi abbracciandomi.... di spalla.... cercando con gli occhi la tua cara Silvia....
....Romagna mia....Romagna in fior tu sei la stella ...tu sei l'amor.....

Quando anche la Romagna...sì quella della piadina e del "ballo lisssio".....e le sue vacanze ruspanti e vere ..... entrano nella sfera degli "Archistars"...."la modernità incivile" ha vinto e allora ..... sì acceta per pigrizia e per resa una esistenza nella quotidianeità ....attimo per attimo .... il passaggio della nostra cultura del vivere...abitare...riposare dalla forma familiare a quella manageriale....finanziario-globale.....il futuro come idea si fa tecnologia....mezzi e manufatti usati come fini....comunicazione immateriale come ricerca di consenso e convinzione indotta delle moltitudini impaurite dlla morte ....costruzioni architettoniche rassicuranti e anonime..... non come critica del presente secolarizzato o presentizzato dove a nche i progetti ideali politici e sacri...diventano semplici manufatti abitativi generici e temporanei secondo progetti disegnati e realizzati senza anima...neanche da ricercare tra le suppellettili del grande consumo.....progetti divenuti prodotti commercializzabili...merce tra le merci ..... non da abitare e vivere per acquistare un senso personale ..... esistenziale e sociale.....senza una dialettica formale o concreta tra interno-esterno ...verticale-orizzontale ....solo immagine ammiccante,luminescente e superficiale come visibilità mercantile....ogni momento della vita ....anche quelli intimi e irripetibili....deve farsi evento con interessi legati ad un presente che non passa e non vuole passare ....sgangiato dalla pesantezza del passato e dalla fumosità del futuro.....manufatti unici e muolteplici per grandezza e forme .....come forza del potere "arcano-invisibile " finanziario e innaturale dalle molte maschere e canovacci ....spazi verdi disegnati da professionisti della bellezza per confezione da esibire in modo temporaneo nel periodo estivo....o di "vacanza" con piantumazione stagionale consumato nel ciclo provvisorio vita-morte.....coerenti al tempo della perdita di senso della identità comunitaria di nascita ....nel tempo immobile della postmodernità della rappresentazione e della finzione senza possibilità estetica o concreta in una vuota metafisica del presente eterno....gli Archistars hanno venduta l'anima a Mefistofele nello scambio di fama e denaro per un prodotto senza scopo se non materiale o tecnico ....uno scopo che è anche uso...fondamento...senso...intenzione...progetto di vita reale e vissuta....un ritorno ad una opera d'arte .....prima dell' avvento e signoria della "Tecnica" ...il ritorno come "nostos" sentiemntale ad .una pratica artistica e creativa con intenzioni "poietiche".....un sapere che sa riprendersi l'anima in autonomia oltre le eteronomie etiche del cliente e del committente....con Diogene ....con un po di cinismo in meno e di buon senso in più....qui a Milanomarittima... che cerca "en plei soleil" in qualche osteria tra piadine...cappelletti e tagliatelle e buon lambrusco...il vecchio architetto romagnolo che aveva pensato di andare oltre Cervia....il canale e i pescatori.... e la raccolta delle noci.....per un idea di sviluppo senza progresso del territorio costruito intorno all'anima romagnola e non viceversa....senza negare gli uomini come sono ma cercare incentivare nei cambiamenti sempre il dubbio e il sospetto verso il presente.....sempre e comunque... come "cura di sè e degli altri"......