giovedì 29 aprile 2010

Elisir d'amore per ......la "pazza Inter"


......pazza Inter e pazzi gli interisti! Poesia e pazzia sono il sale della vita vissuta come una passione.....il calcio è un gioco e metafora della vita di passione,cuore e inteligenza...... piace ai bambini a tutti quelli che sanno invecchiare senza diventare adulti..... e non confondete mai un "interista" con le varie tipologie di "tifosi" sul mercato.......l' interista non si definisce sui difetti o i demeriti tecnici ed esistenziali degli altri ..... essere interista è vivere e pensare in un mondo a parte ... dove i sentimenti,i sogni e le passioni contano più delle fedi e dei ragionamenti......una 'categoria dello spirito' ..... un modo di essere .....uno stile di vita e tante altre cose assieme .....interista si nasce ma si può divetarlo ......a fatica e solo se si è capaci di amare......e soffrire di gioia


" Siccome le squadre di calcio,grosso modo, si rassomigliano tutte, ogni tifoso ama colorire la sua comunissima passione di sfumature eccezionali.Forse per giustificare la matrice infantile del tifo (si diventa tifoso da bambino, per mano al padre) per sdoganare la puerilità di questa simil-fede, la si orrobora con gli anni di pagine tempestose, drammatiche e dunque adulte.La frase fatta, e molto detta, è nessuno soffre come noi....(riempire i puntini).Quasi che l'indice di soffrenza, come nell'eros romantico ,fosse anche indice di intensità sublime, dell'amour fou, di invidiabile dissipazione.Però bisogna ammettere che noi interisti, nel campo delle coloriture romanzesche, possiamo davvero godere di una condizione privilegiata. La squadra, come certe bellissime dame tisiche o amanti perdute del melodramma, ha una indubbia vocazione alla disgrazia...."
Michele Serra


"Un amore nasce, ha un'intensita', sfiorisce, muore, puo' e non puo' dare un colore a tutto il resto. La storia sentimentale rimane invece anche dopo la fine, e l'uomo, il mondo, la parola, i vigili urbani, le prostitute, i sassi vivono in funzione di quella speranza prima, di quel ricordo poi; non solo, ma si trasformano. Ogni valore, ogni sensazione nascono, hanno un'intensita', muoiono nella speranza prima, nel ricordo poi."R. Vecchioni

sabato 24 aprile 2010

Elisir d'amore per .......il 25 Aprile.


.....per distruggere un popolo si comincia dalla sua memoria e dalle sue radici....

Elisir d'amore per .......un ricordo bello della propria patria: l'Italia e Cairano

La letteratura racconta non la Storia universale ma racconta 'le storie' particolari di uomini in carne ed ossa. Anche da quando ha narrato le vicende mitologiche degli eroi, "cantami , o diva,del pelide achille ,l'ira funesta.....,o nei spasmi lirici d'amore di Saffo per le sue alunne,fino ai grandi affreschi sociali del romanzo realista dell'Ottocento o ai racconti introversi e nihilisti del potmoderno novecentesco. Nella nostra epoca ai romanzi e alle poesie si sono aggiunti i film, con la loro capacità narrativa e la presa che hanno su un grande pubblico. Se letteratura e cinema riescono a raccontare anche la Storia attraverso le storie, non dipende però da ciò che essi descrivono ma anche dal sentimento ela passione con cui le scrivono. Forniscono dati e informazioni, ma ciò che li distingue dalla prosa storica, è la modalità della comunicazione e del racconto. Romanzi ,racconti e autobiografie sulla soffrenza e i disagi della emigrazione toutucourt e film provocano un turbamento e una partecipazione da cui sono in genere immuni i lettori delle opere di scienze sociali o dei politologi dei flussi o riflussi. Si può venire informati di molte cose circa le persone, i loro modi di vita e le circostanze sociali e pure mantenersi a distanza da tale conoscenza. Ma i romanzi e tutti gli scritti e i film favoriscono l'identificazione e ci costringono a reagire. Ci fanno entrare in un mondo emozionale, in cui i nostri stessi punti di vista, i nostri giudizi sono chiamati in causa e messi in discussione. Dickens intendeva il romanzo in questo modo, come un appello al cambiamento morale dei suoi lettori, e alla fine di "Tempi difficili" lo dichiara esplicitamente: "Caro lettore, dipende da te e da me se nei nostri due campi d'azione cose di questo genere accadranno o no". Film come "Amarcord" ,"C'eravamo tanto amati" in commedia o "La terra trema" o "Rocco e i suoi fratelli" incoraggiano una analoga partecipazione e riflessione morale e anche politca da parte del pubblico, che è chiamato a percepire intere possibilità di vita e di felicità e quindi anche di frustrazione e di sofferenza e a ritrovare la propria posizione nei confronti delle ingiustizie che sono rappresentate ed anche a ricordare agli "smemorati padani di Collegno" di "che lacrime grondi e di che sangue" la vera storia d'Italia.




“e cosi partimmo lasciando l’Italia e tutti i miei cari”
Introduzione a Ma la vita è fatta cosi (Such is Life), autobiografia di una donna emigrata tra Italia e America.

Coautrici: Ilaria Serra e Laura E. Ruberto
“il mio paese era piccolo 1500 abitanti, si chiamava Cairano prov. Avellino, cittadini, contadini tutti lavoravano la terra di loro proprietà, anche i cittadini pur avendo il mestiero coltivavano la loro terra, i contadini quando andavano alla loro terra a lavorare, e quando andavano a lavorare dai cittadini per guadagnare un po’ di soldi per le spese che avevano per loro, vi erano pochi signori ricchi di terra che avevano i coloni…”
Così cominciano le memorie che Leonilde Frieri Ruberto scrisse a quasi 70 anni. Il documento, recentemente pubblicato in edizione bilingue da Bordighera Press, narra semplicemente la vita dell’autrice, tra il villaggio meridionale di Cairano dove nacque e crebbe i suoi figli, e il quartiere italoamericano di Bloomfield (Pittsburgh, Pennsylvania) dove emigrò dopo la seconda guerra mondiale.
Si tratta di un documento insolito. Innanzitutto è la sola autobiografia pubblicata negli Stati Uniti scritta da una donna italoamericana di prima generazione. La memoria tratta inoltre di un periodo storico sottovalutato dai critici: l’ondata di emigrazione verso gli Stati Uniti avvenuta nel secondo dopoguerra. E il fatto che il punto di vista appartenga ad una donna umile, con la quarta elementare, che non parlò mai bene né italiano né inglese rende questo lavoro ancor più particolare.
Le storie di vita quotidiana si inseriscono nel più ampio quadro storico, descrivendo le dure conseguenze della guerra che portarono la famiglia ad emigrare ma anche la forza del mito americano. Esso si sviluppa tra il lusso dell’elettricità e i pacchi spediti per la ricostruzione, tra le vigne immuni da malattie e il marito che intreccia un costante andirivieni tra i due continenti. Leonilde non nasconde un rapporto ambivalente con i luoghi della sua vita: “il mio paese era povero ma bello, non credete che io lo volli lasciare con piacere, avevo vissuto fino a 43 anni, ma lo volle lasciare per i figli.”
Le circostanze della scrittura sono interessanti. L’autobiografia viene scritta di getto in un periodo di due settimane mentre il marito è in viaggio in Italia a controllare i danni subiti dal paese di Cairano dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980. Un’ottantina di pagine scritte a mano su un quaderno di scuola, chiaramente il lavoro di una donna non abituata a scrivere. Il racconto, diviso in appena una cinquantina di frasi, si srotola sulle pagine quasi in un unico respiro, rendendo la lettura difficile e le pause impossibili. E’ il racconto stremante di una vita sfuggita dalle mani.

L’autobiografia viene ora pubblicata in doppia versione: in traduzione inglese e in una trascrizione fedele all’originale, con tutti gli imbarazzi della scrittura degli illetterati e con un originale misto di italiano regionale ed influenze dialettali.

Laura E. Ruberto, traduttrice e nipote dell’autrice, e Ilaria Serra, autrice dell’introduzione, sono studiose di cultura italoamericana.

Il libro può essere ordinato on-line su spdbooks.org (Small Press Distribution), amazon.com, barneandnoble.com, o bordigherapress.org.

Such is Life, A Memoir / Ma la vita e’ fatta cosi’

(A bilingual edition, Bordighera Press/Crossings, 2010)

Written by: Leonilde Frieri Ruberto
Translation and Preface by: Laura E. Ruberto (Berkeley City College)
Introduction by: Ilaria Serra (Florida Atlantic University)

-per una versione inglese di questo articolo, visitate: http://www.i-italy.org/bloggers/14006/and-so-we-left-leaving-italy-and-all-my-dear-ones

Scritto da verderosa
24 aprile 2010 a 8:32 am
Pubblicato in Petizioni, Segnalazioni, Stampa,a Autori Comunitari,z

venerdì 23 aprile 2010

Elisir d'amore per ......la Comunità provviosria come associazione di promozione sociale.

“Non ci si arrende solo rispetto all’idea di inseguire il mito dello sviluppo, ci si arrende all’idea di essere qualcosa o qualcuno. Per uscire dall’autismo corale ci vogliono posture nuove. È tempo di tornare a una fisiologia meno velleitaria, a un quieto vagabondare nel mondo che gira, nell’aria che non sta mai ferma, nella polvere in cui luccichiamo ad occhi aperti insieme al sole e alle stelle”.
franco arminio







La forza di una intuizione,di un racconto,di una speranza, di un a sogno si misura sempre con le sue 'adiacenze naturali’ alle storie personali e su un atteggiamento mentale ispirato al popperiano principio di "confutazione" che non è il superficiale “vivi e lascia vivere”.La comunità provvisoria e Il blog che ne è nel bene nel male la vetrina delle idee originali, degli umori,delle passioni calde e fredde sono le forme e gli spazi tradizionali dell’esercizio democratiche di esigenze esistenziali,culturali e politche.Nello stesso tempo sono le occasioni e lo spazio per costruire nuovi paradigmi ,logiche e grammatiche per vivere e pensare un territorio in modo autentico e originale. Evitando il più possibile la "dannazione alla chiacchiera che alimenta la “postdemocrazia” non solo per implosione dei vecchi vizi e difetti della ‘politica politicata’ ma anche per un cattivo eccessivo uso delle sue libertà senza responsabilità.Questo spazio va curato al meglio delle sue possibilità tecniche ma salvaguardato nella sua libertà di espressione nella regola della responsabilità individuale e nella cornice valoriale e culturale della "paeoslogia". Il blog è anche l'accompagnamento organizzativo e informativo delle iniziative che come Comunità provvisoria formalmente organizzata sia delle esperienze di approfondimento conoscitivo (es Grottaminarda e S.Nicola) ma anche delle visite esistenziali , individuali e comunitarie , paesologiche e amicali nei piccoli paesi nello spirito che Franco ci suggerisce e ci racconta nei suoi scritti. Il Blog è anche l'espressione di un dialogo, un conflitto o un amore e una cura non ideologica e dottrinale per una "terra", l'Irpinia.L’irpinia ha una storia dignitosa e ricca letterariamente e culturalmente anche tra le contraddizioni,i sospetti e quant'altro la condiziona non solo in senso economico,sociale e politico. Anche questo aspetto ha una sua autenticità e originalità che ci dobbiamo autoriconoscere noin solo come difficoltà e complessità ma anche come merito e capacità di nuove intuizioni ed analisi.Per ultimo e non ultimo :Cairano 7X. E’ stato scelto “un piccolo paese” come simbolo e anche una possibile pratica di”grande vita” nascosta e da scoprire con una esperienza veramente innovativa e originale con alle spalle una grande esigenza o idea di Franco Dragone che Franco Arminio ha avuto il coraggio dei sognatori , la testardaggine dei poeti e la capacità del vero politico di rendere realizzabile al meglio di uomini e idee che circolano in Italia ed in Europa in cerca di esperienze coerenti di nuovi modi di abitare e pensare la terra che ci è data in comodato d’uso. Di tutto ciò dobbiamo sentirci non solo orgogliosi ma soprattutto attori e artefici ognuno con le sue capacità e le sue conoscenze.Siamo in una fase costituente ed abbiamo un estremo bisogno di convinte adesioni ma soprattutto di entusiasmo culturale , passione civile,sentimenti caldi e un impegno personale nella responsabilità concreta secondo le proprie conoscenze e abilità organizzative. La Comunità provvisoria come è una buona e bella idea coltiviamola al meglio delle nostre capacità e possibilità.

mauro orlando

mercoledì 21 aprile 2010

Elisir d'amore per ......la poesia e la paesologia.




"E così tocca sorprendere se stessi in preda allo stupore davanti all’evidenza del segno naturale: la figura impressa nelle ali di una farfalla, nella foglia di una pianta, nel guscio di un insetto e persino nella pelle di quel qualcosa che si trascina fra tutti gli esseri viventi, giacché qui tutto il vivente in qualche modo si trascina o viene trascinato nella vita… Guidati soltanto nell’ottica di tale sentire, questi segni ci consegnano, o piuttosto ci riconsegnano, a una pace singolare, a una calma che proviene dall’aver fatto pace in quell’istante con l’universo, e che ci restituisce alla nostra primaria condizione di abitanti di un universo in atto di offrirci la sua presenza timidamente, adesso, come un ricordo di qualcosa ormai trascorso; il luogo nel quale si visse senza pretese di possesso”.
(Maria Zambrano, Chiari del bosco)


Per vivere in un paese devi dismettere ogni arroganza. Non importa se la nascondi o la fai fluire. L’arroganza si sente, agisce come un acido che corrode i tuoi legami con gli altri. Il paese è una creatura che ti chiede misericordia. Devi sentirti come un cane bastonato. Non devi sentirti uno che ha qualcosa da insegnare, uno che vuole cambiare la sua vita e quella degli altri. Il paese ti chiede di amare quello che sei e quello che il paese è. Non devi fare altro.

Sono infinitamente stupidi i cittadini che quando arrivano in un paese fanno sempre la solita domanda: ma qui di cosa si vive? È la domanda di chi pensa di essere in piedi, in sella al cavallo del mondo e di poter andare alla conquista di chissà che. Il paese, se accogli la sua lingua, ti dice che sei un cane, che devi dismettere l’arroganza di chi pensa di essere il padrone della terra.

Il paese è una creatura che sgretola qualunque narcisismo, per questo le vetrine sono sempre un po’ fuori posto (il paese è una creatura intimamente puberale e se gli metti il doppiopetto diventa ridicolo).

L’uomo che va in giro per i paesi, il paesologo, in realtà è un cane, ha il punto di vista del cane. La sua è una scrittura sgretolata, ha la postura accasciata di chi è stato colpito da un male fraternamente incurabile e non può che congedarsi dalla letteratura come prova titanica di un autore che pretende di spiegare il mondo.

Non ci si arrende solo rispetto all’idea di inseguire il mito dello sviluppo, ci si arrende all’idea di essere qualcosa o qualcuno. Per uscire dall’autismo corale ci vogliono posture nuove. È tempo di tornare a una fisiologia meno velleitaria, a un quieto vagabondare nel mondo che gira, nell’aria che non sta mai ferma, nella polvere in cui luccichiamo ad occhi aperti insieme al sole e alle stelle.
di franco arminio



Elisir d'amore per ......Grottaminarda


..... il mio paese di nascita dalle radici medioevali e contadine dal borgo "fratta" alla lettura di un "paesologo" che non ama le sue evoluzioni da 'modernariato' su un criterio errato e disordinato di sviluppo che cancella l'anima contadina e commerciale finalizzate ad un progresso identitario e armonioso.....


.....un viaggio particolare a Grottaminarda
di franco arminio


Oggi niente paese, niente casa, niente libri, niente piccoli giri in bicicletta, niente computer. Un giro nei paesi, ma non quelli lontani, un giro vicino, sempre a mezz’ora da casa.
Pensavo di fermarmi a Guardia e invece scendo sull’Ufita e poi mi allungo fino a Grottaminarda. C’è traffico, è il paese coi commerci, con l’autostrada e il suo indotto. Fa anche caldo. Mi viene l’idea di andare al cimitero. Ci sono passato tante volte e non ci sono mai entrato. La scritta in latino è molto bella: ti sia lieve la terra, dice. È una frase esemplare che i vivi possono dire ai morti. E forse c’è una frase che i morti possono dire ai vivi. Forse è per ascoltarla che entro nel cimitero, è una frase che non può avere parole, è un qualcosa che ti entra dentro senza la furia che hanno i vivi. La faccia di un morto su una lapide è come un albero, come un gatto. È qualcosa di irrimediabilmente innocente, qualcosa che ha dismesso la fosca battaglia per stare in mezzo agli altri. Ho voglia di vedere facce. Un cimitero è anche una grande mostra fotografica. Qui a Grotta non c’è nessun visitatore. Il parcheggio era affollato, ma sono andati tutti al mercato. Mi segno nomi e date, guardo specialmente quelli che sono nati dopo il sessanta. Camminando nel cimitero sento che il cuore si è rimesso a battere con precisione, prima sembrava disordinato, impaurito. Adesso cammino e faccio attenzione a quello che vedo. Il cimitero di Grottaminarda non ha marmi scintillanti e lapidi di forme strambe, non somiglia per niente all’orrenda piazza da poco realizzata. Insomma, c’è molto più ordine di quello che c’è fuori.
Adesso che sono qui a casa, adesso che sono passate molte ore, non so dire di preciso come mi sentivo stamattina, non so dire come la morte educava i miei passi e i miei pensieri. La nostra testa è fatta di lampi deboli e lontani oppure di un cielo basso e grigio e inerte. Basta poco e non sappiamo dove siamo, cosa pensiamo. E allora arrivano le parole da cui sfiliamo altre parole e altre ancora per non trovarci di fronte all’esatta insensatezza di appartenere a una specie che ha perso il filo del suo viaggio nel mondo. Stamattina non pensavo alle cose che sto scrivendo. Pensavo solo di mettere sul computer i nomi e le date che andavo trascrivendo sul taccuino. Villanova Antonio (1963-1998), De Paolo Concettina (1965- 2005), Michele Iacoviello (1972-2009)Palumbo Pasqualantonio (1958-1995), Maurizio Grillo (1970-1994) Romano Generoso (1962-1991), Romano Massimo (1970-1991), Carla Formato (1947.1997), Del Viscovo Michele (1960-1992), Dario Bottino (1963-1984), Amalia Minichiello (1984-2001), Blasi Guido (1968-1983), Di Vito Giulio (1977-1996). Stamattina ognuna di queste persone mi ha consegnato una sua frase, ognuna delle loro facce mi ha fatto compagnia per qualche attimo. Di più non è possibile.
Non sono mai stato così bene a Grotta come in questa ora passata al cimitero. Quel filo di dolce mestizia che mi ha accompagnato adesso si è dissolto. Oggi mi sono preso tutto il vento della vita, me lo sono preso anche io che sto sempre al riparo, incredulo di poter veramente partecipare a questa vicenda di stare al mondo, questa vicenda appartenuta anche alle persone di cui ho appena trascritto i nomi.......

martedì 20 aprile 2010

Elisir d'amore per ......la "Comunità provvisoria".

.....che bello il nostro tempo e....che bella compagnia!



Verifichiamo quotidianamente limiti e difficoltà operative a pensare e promuovere una comunità vivibile tra gli uomini che non sia solo una richiesta ma un'esigenza e un bisogno fondamentali. Non ci basta più una corretta analisi sulla avvenuta dissoluzione delle "vere" comunità (contadine, artigianali, di commercianti, ecc.) e il tormento e supplizio (alla maniera di Tantalo) di dover vivere attanagliati dall'insicurezza, anelando però sempre, come i discendenti di Adamo ed Eva, alla comunità ideale, sognata. Sul campo scopriamo che non ci basta creare dei surrogati della comunità. Le comunità non sono più naturali nel momento, cioè, in cui delle comunità "se ne parla", esse rischiano di diventare artificiali. La categoria della identità legato alla lingua,al territorio o all'etnos rischia di diventare un surrogato della comunità, in quanto divide e separa. L'individualismo moderno ci rende sempre più insicuri, proprio perché offre (e non a tutti) libertà in cambio di sicurezza. E la stessa insicurezza di cui soffre l'individuo nell'era della globalizzazione genera assenza di comunità. Il problema potrebbe essere affrontato ripensando sociologicamente o antropologicamente agli "sradicamenti" degli individui dalle comunità naturali e dei "reimpiantamenti" in comunità fittizie (non luoghi) all'insegna del disimpegno, della flessibilità Non ci sono più, infatti, punti di orientamento che indichino un ambiente sociale "stabile", e avanza così la tendenza a non mettere le radici in nessun dove: una strana forma moderna di "cosmopolitismo" che nega a priori la comunità e che produce l'"élite globale. In realtà anche i nuovi cosmopoliti (glocali) avvertono l'esigenza di "comunità tendendo o a ricreare comunità flessibili e "a tempo", che si possano smontare facilmente e che facciano leva unicamente sui loro sogni e desideri sulle quali appendere le proprie preoccupazioni altrimenti vissute individualmente. Mai, però, figureranno, in tutte queste forme comunitarie, delle responsabilità etiche e degli impegni a lungo termine, necessari invece per un ripensamento del "discorso comunitario". Il pericolo è infatti quello del "settarismo": creare le differenze, scavare trincee, moltiplicare i confini al fine di costruire comunità iperprotette. La comunità diventa lo strumento preferito di quanti credono che "identicità" significhi solo esclusione dell'altro in quanto diverso. La "comunità sicura" può diventa perciò un "ghetto volontario". Tutto questo non fa altro che alimentare meccanismi di segregazione e di esclusione che si autoperpetuano e si autoalimentano. Lo stesso "multiculturalismo" sembra essere,una soluzione-non soluzione a tutti questi problemi; una sorta di rassegnazione e indifferenza .Gli intellettuali scelgono la strada del disimpegno dopo la disillusione a coadiuvare i legislatori e a "illuminare la gente" nell'opera di costruzione di una 'società ordinata'. La società civile si è ormai "ritirata" e il riconoscimento del diritto alla differenza rischia di degenerare nel riconoscimento del diritto all'indifferenza. Il riconoscimento di una varietà culturale potrebbe essere riconsiderato l'inizio, e non come la fine, della questione, come "il punto di partenza” per il giusto recupero delle’esigenza di “comunità”.
mauro orlando

lunedì 19 aprile 2010

Elisir d'amore per ......la poesia anche qaundo cerca di scansare DIO



conversazioni
di franco arminio

era molto che non parlavano di dio.
forse a parlarne c’erano altri
e c’ero io, forse eravamo
umanamente comprensivi
del nostro non comprendere
e in tutto questo eravamo compresi
da qualcuno, forse dalla sedie
su cui stavamo seduti,
dai quadri alle pareti, fermi più di noi
e
muti.

La poesia ha il privilegio e lo schermo di essere intellettualmente apolide e libera e non abita la contraddizione ” umana,troppo umana” della scelta tra l’ideale della Bellezza e del significato del Reale , tra la centralità dell'uomo o della sovranità di Dio. Il poeta vive l’esperienza della possibilità dell’estraneità o sudditanza dell’uomo alla Terra fidando e usando il potere del linguaggio e si permette di irridere la ragione quando si fà atratta ed autoritaria e di portare pur il silenzio della natura e della morte alla trasparenza della parola e al formalismo mortuario del significato. La poesia di oggi, resa esperta, dalla più recente storia, della catastrofe dell’umano e dallo scacco della ragione, cerca altro nelle macerie del linguaggio ,del sentimento,delle passioni e delle idee: non nuovi ‘significati’, ma un più antico suono,non l'armonia dell'universo ma il silenzio dello spirito e il respiro del corpo. Accostandosi premurosamente alla natura e driblando con estro la Verità, questa poesia ridà alla parola significante il peso e l’umore della terra, delle erbe, delle pietre, degli animali e anche dell'uomo. Una “ragione poetante” , alleggerita dalla egemonia della logica pura , dello scientismo dissacrante e matrialistico o delle metafisiche camuffate da fedi militanti, ha appreso, e ci ha appreso che, oltre lo stare-insieme nella 'polis', v’è, anche per l’uomo, la possibilità di un più
aperto, ospitale stare-accanto nella 'comunità', anche nell’esperienza del sacro e non adagiarsi comodamente seduta su “sedie” immobili e ‘ferme’ o peggio “mute” e appese decorative come “quadri alle pareti” .

giovedì 15 aprile 2010

Elisir d'amore per .......CAIRANO 7x


“…….stare qui, animarsi, rianimare l’amore, la bellezza…. stare qui mentre nel mondo accadono tante cose…”
La condizione umana generalmente è saper stare al mondo e saperci stare bene .....da soli o in gruppi umani…per necessità o per caso poco importa…..ma stare al mondo è anche muoversi in esso,vivere in esso in uno spazio-tempo particolare , limitato, essendo figli e padri della sua e propria cultura .Noi vogliamo stare in questo modo nel nostro spazio-tempo che determina il territorio chiamato Irpinia ognuno con la proria disposizione percorrendo curiosi le vie che ci hanno tracciato gli altri e inventandone dubbiosi di nuove per inesplorati sentieri …nel presente che si radica continuamente e proviene dalle radici di un passato che fa fatica a passare e sempre per costruire un futuro che comunque inquieta ma carica il presente di dubbi ma sopratutto di responsabilità……che sia questo un pensare “paesologico”?




comunità paesologica per una regione del sud interno, dal Pollino alla Maiella

la testa squarciata


mail, blog, facebook…..nascondersi o apparire….nascondersi da chi? apparire a chi? siamo vivi o siamo morti? siamo qui per passare il tempo o per infiammarlo?
ieri sera una persona di cui ho molto stiama mi sconsigliava di espormi eccessivamente, non vedeva di buon occhio il fatto che qjalche giorno fa ho aperto una pagina fan su facebook.
stamattina scorrendo i nomi dei cinquecento e passa fan vedevo con piacere le facce di molti ragazzi e notavo con un lievissimo dispiacere l’assenza di alcuni amici. è tutto un gioco o stiamo facendo sul serio? e se è un gioco che gioco è?
siamo esseri umani o vetrine? siamo merce esposta o emozioni che cercano altre emozioni? vogliamo ancora essere amati o ci accontentiamo di essere riconosciuti?
ieri ho pubblicato un articolo e l’ho messo qui e poi su fb. devo essere contento dei commenti? sono tanti o pochi? devo occuparmi di chi mi gratifica o di chi mi ignora?
la realtà e la rete sono due facce della stessa moneta ma ho la sensazione che è una moneta fuori corso, almeno nel caso della letteratura.

la paesologia è un andare solitario per i luoghi a raccoglierne gli ultimi respiri o è un nuovo umanesimo?
se a qualcuno racconti un tuo dolore cosa ti devi aspettare? che se ne scordi o che ogni tanto ti chieda come stai?

chi comanda in irpinia? de mita o gli accidiosi?
mille persone al giorno che passano su questo blog sono poche o tante?

cairano 7x è un cantiere della lietezza, ma i nostri umori sono troppo spesso rugginosi. lo slancio delle liti pare sempre più grande rispetto allo slancio delle intese.
dovrei lavorare a un libro da consegnare a fine maggio e mi sono messo qui a scrivere queste note inutile. Lo spreco, il dispendio, l’errore,vecchie tentazioni……
non sappiamo bene come affrontare le nostre giornate, non sappiamo se ci conviene partecipare o astenerci, convenire o dissentire.
forse ogni tanto dovremmo passare per un ospedale, il reparto giusto è oncologia pediatrica. stare lì un’oretta e poi tornare a casa, andare in un posto del genere anche se non conosciamo nessuno.
ecco due buone cose: andare a cairano e andare a vedere un bambino di sei anni con un tumore alla bocca

stare qui, animarsi, rianimare l’amore, la bellezza…. stare qui mentre nel mondo accadono tante cose…. una mia cugina di 53 anni qualche giorno fa si era appena svegliata e si è squarciata una vena nella testa.

armin

lunedì 12 aprile 2010

Elisir d'amore per .......le emozioni della memoria.

La memoria è immersa nel tempo,nasce dal passato anche se vicino, e si alimenta e vive del passato.La memoria se vissuta fino in fondo diventa memoria interiore che trasforma i ricordi anche di Cairano 7x di stao d'animo in stato d'animo,di situazione in situazione, e che si intrecciano senza fine con i modi con cui... riviviamo, o ci è possibile rivivere, lavvenire:il futuro.Cairano 7x è memoria vissuta come luogo di esperienze interiori,emozionali e intellettive provate nel passato,non raffreddate nel mito, ma riattualizzate nel presente.........



.......la nostalgia
La “nostalgia” ( nostos-algos) è di diritto, una qualità o uno stato d’animo benvenuto nella “comunità provvisoria”.E come essa non è uno stato patologico ed eccezionale,una malattia del corpo e dello spirito, non la si definisce solo per “mancanza” .Non è un “ospite inquietante” della comunità ma ne rappresenta la parte più intima, nascosta, appartata e meditativa.
Come la malinconia non è asociale ma ha con la società un rapporto selettivo,biunivoco ed aristocratico anche se possono sembrare fattualmente e concettualmente incompatibili.
La comunità ha bisogno come l’aria che respira di questi momenti appartati, meditativi e silenziosi per scoprire la profondità del suo essere un insieme di “io” singolari-plurali lontano dai rumori di fondo della superficialità insidiosa e omologante della società .E’ “ lo scarto originario che separa l’esistenza della comunità dalla sua essenza”.E’ un limite che la comunità stessa si pone da non dover varcare per non perdersi .La malinconia ci aiuta a tenere assieme con dolore e sofferenza l’essere e il niente della nostra esistenza individuale che mina dall’interno l’appartenenza e la condivisione ad una comunità né riduttiva né semplificata.
La malinconia da sempre ci insegna in questa nostra esigenza di comunità che il limite non è eliminabile e che la comunità non è identificabile con se stessa , con tutta se stessa o se stessa come un tutto, con il rischio di una forma di tipo totalitaria come ideologicamente abbiamo sperimentato per tutto il Novecento.
Dobbiamo evitare alla comunità di annientarsi nel tentativo di preservarsi o di liberarsi dal suo ‘niente’ ma aiutarla a scoprire in questi momenti di intimità che l’assale il suo carattere costitutivamente e costituzionalmente malinconico.Il nostro pensare non può liberarsi mai del tutto dalle sue sue tonalità malinconiche pena la sua immobilità e afasia .Ha la necessità di riconoscere la sua duplice declinazione – quella , negativa , della ‘tristizia’, dell’acedia e quella ,positiva, della consapevolezza profonda della finitezza, situandole una nella sfera dello ’inautentico’ , dell’improprio e l’altra in quella dell’esistenza ‘autentica e propria’.
Recuperare ed attivare al sua esigenza e il suo senso di “quiete”, “silenzio”, “gioia” di assumere e riconoscere il limite , la finitezza come la nostra condizione più propria anche se nella sofferenza e nel dolore.
Scriveva Heidegger“ ogni agire creativo ha luogo nella malinconia….” .questo ci porta a pensare che l’incompiutezza e la finitezza non è il limite del pensare comunitario ma esattamente il suo senso, essendo “l’essere-solo un modo difettivo “ delle esistenza umana.
La comunità non è né un origine ,né un fine né una fine, né un presupposto, né una destinazione, ma la condizione, insieme singolare e plurale, della nostra esistenza finita.Non è solo un spazio liminare e definito da subire,da preservare o da allargare ma un luogo comune che ci è destinato e ci accomuna .E il pensiero della malinconia tocca il punto aldilà del quale non sappiamo e non dobbiamo andare ma anche lo spazio vitale in cui vivere nella “gioa e nel dolore” la nostra esistenza autentica .
Con queste ragioni e sentimenti prepariamo Cairano 7x anche quest'anno!

venerdì 9 aprile 2010

Elisir d'amore per ..........un poeta irpino......

“Forse il primo canto dell’uomo fu la parola o forse la prima parola dell’uomo fu il canto:
comunque, poiché “est autem in dicendo etiam cantus quidam obscurior” , in questo
misterioso rapporto espressivo tra vocale e suono vi è tutta la magia della natura e della
personalità umana.”
.......dal momento che l'uomo ha usato la "parola" non solo per comunicare i propri sentimenti e le sue passioni ma per vivere in modo profondo ed autentico ha cercato di avvinarsi alla natura immortale di Dio
e nei momenti di sconforto o di impotenza ha cercato nel suo cuore e nel suo pensiero di ammazzare il suo modello........


di donato salzarulo






La notizia del Dio che è morto è vecchia.

Prima che il filosofo l’annunciasse,

gli evangelisti con mirabile bravura e modestia

raccontarono l’evento qualche millennio fa.





Direte che il re dei Giudei non è Dio.

Può darsi. Ma un Dio senza sangue

e senza carne, senza pietra e linfa,

senza dolore e senza amore, che Dio è?

Non conosco miracolo più straordinario

dell’incarnazione.

Il problema, dunque, non è quello

della morte di Dio. E’ un altro:

l’uomo come sta? Come progetta la giornata

dopo questo lutto?

Ho risposte tutt’altro che tranquille.

Penso che anche l’uomo sia morto.

Purtroppo non se n’è per nulla accorto.

Elisir d'amore per ........l'Irpinia dentro di noi

La ‘nuova Irpinia ‘ dentro di noi.

Oggi tra gli analisti del territorio tradizionali o dei “paesologhi” in modo paradossale si parla di “non luoghi”riferendosi a spazi metropolitani privi di identità e di memoria ma soprattutto scarsi di relazioni. Dove vive una “collettività senza festa” e si soffre la “solitudine senza l’isolamento”. Si vive in un epoca del “tempo veloce, accelerato”.Il futuro è sempre più alle nostre spalle, in soggezione ad un presente che ci sommerge e ci virtualizza .E persino la storia è diventata un fatto mediatico.Il futuro non solo sembra senza senso e fine ma ci carica sopratutto di ‘paure’ e nel suo orizzonte esclude le categorie di ‘progetto’ e ‘speranza’.Paure economiche, sociali,ecologiche e perfino “metafisiche e religiose”.L’avvenire è rubato soprattutto ai più giovani. Una nuova rivoluzione scientifica e tecnologica toglie potere e crea esclusione in quelli che non si ritrovano in questi poli. La rivoluzione informatica aiuta e favorisce i meglio tecnologizzati e i già informati o i ‘giàformati’.
All’interno di questo quadro analitico e concettuale con originalità e profondità si sono poste le proposte e le provocazioni culturali di Franco Armino e il suo libro “Vento forte tra Lacedonia e Candela” (Ed Laterza).Un testo non solo originale letterariamente ma per la oggettiva ricchezza di categorie conoscitive, antropologiche e politiche che potevano essere utili non solo per capire il nostro territorio irpino ,ma sopratutto il nostro “io” schizofrenico e scisso e per un possibile e necessario progetto di cambiamento di noi e delle nostre comunità e le comunità dei “piccoli paesi” delgi appennini d’Italia e del mondo.Il nostro “io” occidentale e moderno svuotato di senso è costretto a cimentarsi con i pieni dei poteri economici e culturali a cui ci eravamo abituati dall’Illuminismo in poi. C’è oggi la necessità di coltivare una ragione che si fa “luce” e si fà ‘compassionevole’ e ‘fraterna’ in un colloquio doloroso e difficile con le “ombre”, con l’assenza, col mistero, con il sacro, con gli esclusi , gli sconfitti con i luoghi abbandonati economicamente e terremotati interiormente o lontani dai centri decisionali dei poteri. Il suo compito precipuo e costruttivo è non solo capire e dare un nome alle cose e alle persone ma di suggerire altro.Creare aspettative e possibilità è già costruire presente e precostituire futuro. Ripropone una caratura politica molto complicata,complessa e sottile che va al di là del sociologismo astratto e il meridionalismo politologico e di maniera se pur nobile.Tuttavia non è il suo “stile” poetico o letterario che ha creato un caso o aspettative.Insomma a me e ad altre persone irpine e non solo ha interessato una sorta di richiesta di superamento ,filosofico direi, dell’Illuminismo non ideologico e dottrinale dove il rifiuto delle “magnifiche sorti e progressive”, delle utopie astratte e ideologiche e delle speranze universali e necessarie nel futuro ci impone una idea più che di recupero o di salvezza delle persone ,delle cose e della natura, di amore di esse ma non più per indicare il loro possibile futuro ma perla vivibilità del loro presente reale e per un rispetto per il passato che non passa e non ritorna nello stesso tempo. Puntando soprattutto a far crescere una capacità personale di guardare le cose e amarle disinteressatamente in sè stesse e per sé stesse. Una riproposizione esistenziale ,vitale e attiva della ’modernità’ non necessariamente contrapposta alla ‘antichità’ ma nella sua capacità intellettuale ed umana di vivere l’antico, il tradizionale, il periferico,l’emarginato, l’escluso,l’altro da sé insomma come un possibile “inizio”,tutto autenticamente non tecnicamente “politico”, non mitico e meno che meno ideologico.Curando una massima consonanza,intimità con i luoghi, le cose e le persone insieme alla massima lontananza e alterità. Questo poteva e può dare inizio ad un processo per definire nuove categorie mentali per una possibile agenda culturale e politica dell’intera ’intera comunità nazionale e locale che di fatto escludono il vecchio nazionalismo e localismo appesantiti dalle ideologie e dai riscontri politicisti.E’ per questi motivi che mi sembra ingeneroso ,pigro , preconcetto e inutile costruire una “polemica” che racconta l’esperienza della Comunità provvisoria e la “paesologia” secondo clichè e luoghi comuni personalizzati già consumati con stile e qualità nella lunga storia della intellettualità meridionale da Gramsci , Dorso fino ai giorni nostri.

Mauro Orlando

giovedì 8 aprile 2010

http://www.youtube.com/watch?v=7J4GMY6I9x4&feature=player_embedded

mercoledì 7 aprile 2010

Elisir d'amore per ......"Nevica ed ho le prove"


comunità paesologica per una regione del sud interno, dal Pollino alla Maiella


nevica a grottaminarda


sabato 10 aprile alle 18.30 presentazione
di nevica e ho le prove (laterza editore)

presso l’atelier dello scultore egidio iovanna (antica dogana delle poste)

introduzione di mauro orlando

letture di elda martino.





A luglio i campi gialli delle stoppie,
il nero a settembre,
il verde stempiato e basso di novembre.
L’inverno a marzo finisce la prima volta
ma dovrà finire molte volte ancora
prima di finire veramente.
Il vento soffia ovunque sei,
il bianco della neve è ancora quello
del Cinquantasei.

NEVICA E HO LE PROVE
Cronache dal paese della cicuta

Al mio paese l’inverno dura migliaia di giornate.
Ho quarantanove anni e ne ho passati almeno quarantacinque nell’inverno. Quasi mezzo secolo in poche centinaia di metri, esposto come un lenzuolo abbandonato allo stesso vento, alla stessa neve. Quella che viene ogni tanto, sempre da un lato, sempre da oriente, una neve che non cade mai calma, mai lenta, la neve che non si posa sui tetti ma s’incolla alle finestre.
Sono rimasto per credere alle nuvole, alla luce, al grano che sale.
Ho provato e comincio a trovare scampo e sollievo nei dintorni, ma per lungo tempo ho visto anime inerti, cuori senza punta, pronti a rotolare in ogni direzione. Paesi senza popolo, dove i muti in genere sono i più generosi.
Questo mio paese ha nelle vene sangue di mulo, ma nessuno sa mettergli ai piedi il ferro che serve a camminare. E allora si sta fermi dentro un dolore cattivo, dentro una gioia piccola e sottile come gli asparagi di bosco.
Il paese di cui si parla in questo libro è un teatro. All’inizio c’è un solo attore, poi prendono la parola in tanti, parole che si accavallano, fiati che rubano altri fiati. Siamo al mormorio dell’autismo corale, all’agonia ciarliera di un’epoca che ha reso poco credibile perfino il suo disastro.
Non è un paese vero, se così fosse sarebbe finto, come tutti. Il paese della cicuta è il luogo dove dio, la morte e la poesia si danno convegno perché altrove non li vuole nessuno. Stanno qui, ospiti clandestini della piazza: alberi, lampioni e panchine a cui nessuno fa più caso.

martedì 6 aprile 2010

Elisir d'amore per.......un umanesimo delle montagne





per un umanesimo delle montagne

dal “il manifesto” del 4 aprile 2010

di franco arminio

In un piccola provincia la gente pensa che la storia si produca altrove. Si aspetta che arrivi una scossa da un centro che non c’è più. Il mondo è rotto e questa rottura ammala gli uomini. Gli uomini non sono mai stati tanto malati. A parte le affezioni diagnosticate dall’industria medica, gli uomini portano in faccia i segni di uno sfinimento che non si sa come lenire.

Io giro per i paesi per vedere i segni della peste ma anche quelli di una futura guarigione. Siamo in questo passaggio stretto che soffoca entusiasmi e passioni, ma il futuro arriva, arriva sempre, solo che non si sa mai quando e mai come. Il futuro è come un tumore. Ti svegli una mattina e senti una pallina nel collo. Il futuro è questa pallina che il tuo corpo ha fabbricato mentre tu facevi altre cose. Noi adesso siamo assonnati e stanchi e in questa stanchezza possiamo solo prenderci cura di chi ci capisce e di chi capiamo. Non è tempo di stare con tutti, non è tempo di fare ogni cosa. Possiamo fare solo poche cose, dobbiamo ridurre i nostri impegni, sgravare il carico che portiamo addosso. Non abbiamo bisogno di tanti amori e di mille amicizie, non abbiamo bisogno di tre lavori. Dobbiamo lasciare un po’ di vuoto nelle nostre giornate, dobbiamo lasciare che tra un impegno e l’altro non ci sia niente.

La nostra fortuna sono le giornate bianche e queste giornate nei paesi sono più facili. L’importante è starci senza dare confidenze ai guardiani del passato, senza stare dietro a quelli che pensano ai paesi come un vuoto da riempiere con materiale che viene da fuori. Adesso è il momento di alzarsi e fare le cose in cui crediamo rivolgendoci ai vicini e ai lontani. Non dobbiamo riempirci la testa dei pensieri degli altri, dobbiamo raccontare i nostri.

Il panorama è sconfortante. Viviamo in un continente fermo, la nostra particolare fortuna è che siamo ai margini di questo continente. Il veleno che ha bloccato il sistema nervoso dell’Europa non ci ha raggiunto del tutto. E allora possiamo fare ancora qualche scatto, muoverci in direzioni impensate.

La comunità che dobbiamo costruire non guarda alle comunità che ci sono altrove, ma è una comunità impensata. Non dobbiamo importare sempre nuove esperienze, ma sforzarci di capire perché falliscono le nostre, perché il bene che proviamo a fare non dura. Non abbiamo più la coperta della politica, non abbiamo più la coperta di un pensiero collettivo in cui accasarci. Dobbiamo procedere nei deserti dell’autismo corale con le persone che ci sono care, producendo ammirazione e riguardo più che rancore e lamenti.

Il futuro forse non arriverà da fuori, ma sbucherà dalle nostre vene. Dobbiamo immaginare che qui ed ora siamo in un luogo nevralgico, perché viviamo contemporaneamente il fallimento della modernità e quello della civiltà contadina. È da questo doppio fallimento che può uscire l’ idea per un nuovo umanesimo delle montagne. Qui dove non è mai riuscito niente può accadere l’impensato.

Di colpo la guerra delle parole si placherà e ci stupiremo del suo esaurirsi. Forse fra poco riprenderemo a tacere, torneremo a nascere e morire senza essere istigati dal turbine del volere sempre ricavare qualcosa. Vivremo finalmente in un tempo muto e piano piano tornerà il bisogno di parlare, ma sarà una lingua nuova, inaudita.

Elisir d'amore per ........un ricordo di tragedia.

....ma chi una buona volta potrà spiegare al Presidente B. che sotto quelle macerie ci sono delle vite spezzate,delle storie violentemente incompiute e che i figli superstiti non possono colmare queste perdite con prefabbricati con salottini in similpellle "stile aiazzone" ...un televisore per intrattenersi con gli "am...ici" della de Filippi e ....lo "spumante italiano" per festeggiare un finto ritorno a casa......Mentre i sacerdoti delle varie chiese sono impegnati in ben altre "guerre" e i politici nostrani ,consumato il loro momento di gloria o di sconfitta, riprendono il loro "lavoro usato" al teatrino delle poltrone edelle ipocrisie in nome della "democrazia rappresentativa".......che squallore e che schifo!!!!!!!


di franco arminio

guardala, la terra è più tenera del cielo.
non restare tutta la vita
con le unghie conficcate nella tua anima
o in quella degli altri.
porta il tuo paese in testa
come si porta l’immagine dell’amata.

giovedì 1 aprile 2010


......comunque.....BUONA PASQUA!




Istanti

Se potessi vivere nuovamente la mia vita
nella prossima cercherei di commettere più errori.
Non cercherei di essere tanto perfetto,
mi rilasserei di più.
Sarei più sciocco di quanto lo sono stato,
di fatto prenderei ben poche cose sul serio.
Sarei meno igienico.

Correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei in più fiumi.

Andrei in più posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.

Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente
e proficuamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia.

Ma se potessi tornare indietro cercherei
di avere soltanto buoni momenti.
Che se non lo sapete, di quello è fatta la vita,
solo di momenti; non ti perdere l'oggi.

Io ero uno di quelli che non
andava mai da nessuna parte senza un termometro,
una borsa d'acqua calda,
un ombrello e un paracadute;
se potessi tornare a vivere, vivrei più leggero.

Se potessi tornare a vivere
comincerei ad andare scalzo all'inizio
della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.

Farei più giri in calesse,
contemplerei più albe
e giocherei con più bambini,
se mi trovassi di nuovo la vita davanti.

Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo
L. Borges

Elisir d'amore per ..........la democrazia comunque....

.......... il termine democrazia, proprio nella sua origine semantica, ha una diversa articolazione di significato rispetto a termini quali monarchia e oligarchia. Questi ultimi si compongono della parola arché, che significa principio, mentre "democrazia", come del resto "aristocrazia", si avvale della parola kratos, che significa potere. ..... è emblematico di una tendenza a governare con la forza bruta,con le finzioni massmediologiche,con l'astuzia e le bugie....... anziché secondo regole.
E questo, in fondo, è il vero male della democrazia moderna, la sua propensione ad ignorare che le situazioni si assestano da sole, senza dover ricorrere a complicati congegni di ingegneria istituzionale ed a continui provvedimenti legislativi che aumentano il deficit di libertà nel quale già oggi viviamo anche in democrazia.
Per scongiurare il pericolo di un'involuzione totalitaria delle democrazie, dovremmo cominciare con il rinominarle: chiamarle demarchie.
«Questo sarebbe il nuovo nome di cui si ha necessità, se si vuole preservare l'ideale alla sua radice, in un'epoca in cui, dato il crescente abuso del termine democrazia, per designare sistemi che tendono alla crezione di nuovi privilegi attraverso coalizioni o interessi organizzati, un numero sempre crescente di persone si allontana dal sistema prevalente. » Hajek