martedì 20 aprile 2010

Elisir d'amore per ......la "Comunità provvisoria".

.....che bello il nostro tempo e....che bella compagnia!



Verifichiamo quotidianamente limiti e difficoltà operative a pensare e promuovere una comunità vivibile tra gli uomini che non sia solo una richiesta ma un'esigenza e un bisogno fondamentali. Non ci basta più una corretta analisi sulla avvenuta dissoluzione delle "vere" comunità (contadine, artigianali, di commercianti, ecc.) e il tormento e supplizio (alla maniera di Tantalo) di dover vivere attanagliati dall'insicurezza, anelando però sempre, come i discendenti di Adamo ed Eva, alla comunità ideale, sognata. Sul campo scopriamo che non ci basta creare dei surrogati della comunità. Le comunità non sono più naturali nel momento, cioè, in cui delle comunità "se ne parla", esse rischiano di diventare artificiali. La categoria della identità legato alla lingua,al territorio o all'etnos rischia di diventare un surrogato della comunità, in quanto divide e separa. L'individualismo moderno ci rende sempre più insicuri, proprio perché offre (e non a tutti) libertà in cambio di sicurezza. E la stessa insicurezza di cui soffre l'individuo nell'era della globalizzazione genera assenza di comunità. Il problema potrebbe essere affrontato ripensando sociologicamente o antropologicamente agli "sradicamenti" degli individui dalle comunità naturali e dei "reimpiantamenti" in comunità fittizie (non luoghi) all'insegna del disimpegno, della flessibilità Non ci sono più, infatti, punti di orientamento che indichino un ambiente sociale "stabile", e avanza così la tendenza a non mettere le radici in nessun dove: una strana forma moderna di "cosmopolitismo" che nega a priori la comunità e che produce l'"élite globale. In realtà anche i nuovi cosmopoliti (glocali) avvertono l'esigenza di "comunità tendendo o a ricreare comunità flessibili e "a tempo", che si possano smontare facilmente e che facciano leva unicamente sui loro sogni e desideri sulle quali appendere le proprie preoccupazioni altrimenti vissute individualmente. Mai, però, figureranno, in tutte queste forme comunitarie, delle responsabilità etiche e degli impegni a lungo termine, necessari invece per un ripensamento del "discorso comunitario". Il pericolo è infatti quello del "settarismo": creare le differenze, scavare trincee, moltiplicare i confini al fine di costruire comunità iperprotette. La comunità diventa lo strumento preferito di quanti credono che "identicità" significhi solo esclusione dell'altro in quanto diverso. La "comunità sicura" può diventa perciò un "ghetto volontario". Tutto questo non fa altro che alimentare meccanismi di segregazione e di esclusione che si autoperpetuano e si autoalimentano. Lo stesso "multiculturalismo" sembra essere,una soluzione-non soluzione a tutti questi problemi; una sorta di rassegnazione e indifferenza .Gli intellettuali scelgono la strada del disimpegno dopo la disillusione a coadiuvare i legislatori e a "illuminare la gente" nell'opera di costruzione di una 'società ordinata'. La società civile si è ormai "ritirata" e il riconoscimento del diritto alla differenza rischia di degenerare nel riconoscimento del diritto all'indifferenza. Il riconoscimento di una varietà culturale potrebbe essere riconsiderato l'inizio, e non come la fine, della questione, come "il punto di partenza” per il giusto recupero delle’esigenza di “comunità”.
mauro orlando

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