venerdì 9 aprile 2010

Elisir d'amore per ........l'Irpinia dentro di noi

La ‘nuova Irpinia ‘ dentro di noi.

Oggi tra gli analisti del territorio tradizionali o dei “paesologhi” in modo paradossale si parla di “non luoghi”riferendosi a spazi metropolitani privi di identità e di memoria ma soprattutto scarsi di relazioni. Dove vive una “collettività senza festa” e si soffre la “solitudine senza l’isolamento”. Si vive in un epoca del “tempo veloce, accelerato”.Il futuro è sempre più alle nostre spalle, in soggezione ad un presente che ci sommerge e ci virtualizza .E persino la storia è diventata un fatto mediatico.Il futuro non solo sembra senza senso e fine ma ci carica sopratutto di ‘paure’ e nel suo orizzonte esclude le categorie di ‘progetto’ e ‘speranza’.Paure economiche, sociali,ecologiche e perfino “metafisiche e religiose”.L’avvenire è rubato soprattutto ai più giovani. Una nuova rivoluzione scientifica e tecnologica toglie potere e crea esclusione in quelli che non si ritrovano in questi poli. La rivoluzione informatica aiuta e favorisce i meglio tecnologizzati e i già informati o i ‘giàformati’.
All’interno di questo quadro analitico e concettuale con originalità e profondità si sono poste le proposte e le provocazioni culturali di Franco Armino e il suo libro “Vento forte tra Lacedonia e Candela” (Ed Laterza).Un testo non solo originale letterariamente ma per la oggettiva ricchezza di categorie conoscitive, antropologiche e politiche che potevano essere utili non solo per capire il nostro territorio irpino ,ma sopratutto il nostro “io” schizofrenico e scisso e per un possibile e necessario progetto di cambiamento di noi e delle nostre comunità e le comunità dei “piccoli paesi” delgi appennini d’Italia e del mondo.Il nostro “io” occidentale e moderno svuotato di senso è costretto a cimentarsi con i pieni dei poteri economici e culturali a cui ci eravamo abituati dall’Illuminismo in poi. C’è oggi la necessità di coltivare una ragione che si fa “luce” e si fà ‘compassionevole’ e ‘fraterna’ in un colloquio doloroso e difficile con le “ombre”, con l’assenza, col mistero, con il sacro, con gli esclusi , gli sconfitti con i luoghi abbandonati economicamente e terremotati interiormente o lontani dai centri decisionali dei poteri. Il suo compito precipuo e costruttivo è non solo capire e dare un nome alle cose e alle persone ma di suggerire altro.Creare aspettative e possibilità è già costruire presente e precostituire futuro. Ripropone una caratura politica molto complicata,complessa e sottile che va al di là del sociologismo astratto e il meridionalismo politologico e di maniera se pur nobile.Tuttavia non è il suo “stile” poetico o letterario che ha creato un caso o aspettative.Insomma a me e ad altre persone irpine e non solo ha interessato una sorta di richiesta di superamento ,filosofico direi, dell’Illuminismo non ideologico e dottrinale dove il rifiuto delle “magnifiche sorti e progressive”, delle utopie astratte e ideologiche e delle speranze universali e necessarie nel futuro ci impone una idea più che di recupero o di salvezza delle persone ,delle cose e della natura, di amore di esse ma non più per indicare il loro possibile futuro ma perla vivibilità del loro presente reale e per un rispetto per il passato che non passa e non ritorna nello stesso tempo. Puntando soprattutto a far crescere una capacità personale di guardare le cose e amarle disinteressatamente in sè stesse e per sé stesse. Una riproposizione esistenziale ,vitale e attiva della ’modernità’ non necessariamente contrapposta alla ‘antichità’ ma nella sua capacità intellettuale ed umana di vivere l’antico, il tradizionale, il periferico,l’emarginato, l’escluso,l’altro da sé insomma come un possibile “inizio”,tutto autenticamente non tecnicamente “politico”, non mitico e meno che meno ideologico.Curando una massima consonanza,intimità con i luoghi, le cose e le persone insieme alla massima lontananza e alterità. Questo poteva e può dare inizio ad un processo per definire nuove categorie mentali per una possibile agenda culturale e politica dell’intera ’intera comunità nazionale e locale che di fatto escludono il vecchio nazionalismo e localismo appesantiti dalle ideologie e dai riscontri politicisti.E’ per questi motivi che mi sembra ingeneroso ,pigro , preconcetto e inutile costruire una “polemica” che racconta l’esperienza della Comunità provvisoria e la “paesologia” secondo clichè e luoghi comuni personalizzati già consumati con stile e qualità nella lunga storia della intellettualità meridionale da Gramsci , Dorso fino ai giorni nostri.

Mauro Orlando

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