domenica 13 luglio 2008

La satira, la filosofia, la politica e la religione

Il saggio mondo greco ci insegna che le commedie di Aristofane erano importanti ed utili , ma a teatro. Che Socrate preferiva le persone reali,piene di dubbi e piene di contraddizioni agli spettatori gregari, adulatori , superficiali e supponenti. E non amava neanche tanto il suo discepolo Platone che pensava che la "filosofia" dovesse "mettere le braghe" alla "politica" o al mondo. Apprezzava Pericle che non solo pensava alla democrazia ma che la praticava governando e riqualificando la "pòlis" ma sopratutto coinvolgendo attivamente e consapevolmente i suoi concittadini. Amava i poeti lirici nelle loro 'eterie' o 'thiasi' e i poeti tragici che ricordavano e rappresntavano "religiosamente" e con intensità catartica i sentimenti, le paure, i sogni degli spettatori-cittadini. Rispettavano e onoravano i sommi "sacerdoti" che si limitavano nei riti a creare o ristabilire un rapporto diretto ,corretto , speciale,di gratitudine e di grazie con le divinità ctonie senza discriminare le divinità straniere!
Come cambiano i tempi! E non sempre nella chiarezza e nella semplificazione.



"La satira è una ridicolizzazione , la demistificazione di una statua in posa carsmatica. Non funzione- cioè non fa ridere- se il comico non riconosce al potente da dissacrare la sua reale sacralità......non si crea satira se non "amando-odiando" il politco da fare a pezzi. I riti carnascialeschi rovesciano il mondo mettendo alla berlina i potenti, facendone la caricatura, con pupazzi ridicoli e dondolanti sui carri.Poi gli scostumati sudditi una volta che si sono sfogati,arriva la lunga quarantena quaresimale nella quale tutto rientra nella spietata normalità del vivere quotidino. La risata che scaturisce dalla satira non è altro che una ruffianeria travestita da ironia nei confronti del potere.....
Negli ultimi tempi assistiamo al fenomeno di comici che che non vogliono sottostare alla schiavitù del "format" satirico, che li costringe appunto ad un rapporto ambiguo con il potente. Un bravo comico che frequenta la satira politica sa benissimo che per far ridere deve comunque nutrire rispetto per l'autorità e riconoscere come carismatico l'obiettivo degli strali. E quando fa del tutto per sottrarsi a questo gioco, alla tacita complicità con chi si vuole ridicolizzare, scivola fatalmente verso l'invettiva, che è un genere di retorica diversa, di natura epigrammatica, aggressiva e rancorosa. Si rinuncia alla comicità per lavarsi l'anima, e si lascia spazio all'insulto senza più mediazioni comiche"
Vincenzo Cerami

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