“ Oggi la politica consiste in effetti nel pregiudizio verso la politica. Il rischio è che il politico scompaia del tutto dalla faccia della terra” H. Arendt
POLITICA
Da sempre è ricorrente …la cosidetta «tentazione di Siracusa» di Platone e la conseguente sindrome ricorrente degli intellettuali di voler modificare la storia, intervenire nel governo della città e consigliare la politica, alternandosi ciclicamente alla sindrome opposta, che potremmo battezzare «tentazione di San Casciano», ovvero la località, denominata l’«Albergaccio», in cui si rifugiò Machiavelli dopo le scottature della sua esperienza politica. Tutti gli intellettuali delusi dalla politica inseguono un loro” Albergaccio” ideale o necessitato in cui vivere, come la fine di un incubo o l’inizio di una sdegnosa solitudine, il loro disincanto politico e magari il loro operoso rientro nell’attività intellettuale fattuale.
Il dramma del filosofo o del poeta in politica, al servizio della città o di una comunità, è cadere in una insolubile contraddizione: scegliere come il fine del vero sapere il potere comunque o il perseguimento della personale realizzazione spirituale (l’eudaimonia) e “cura di sè e degli altri”, specificando il perché egli deve volgersi al governo della città oltre che al governo di sè o semplicemente come riscatto sociale e acquisizione di potere personale. E’ possibile governare bene la polis o la comunità sapendo che ci sono cose superiori che meritano le nostre energie e la nostra attenzione? E’ possibile usare con saggezza e mantenere con fermezza il potere, pur non nutrendo alcuna vera passione per il potere, anzi un sottile disprezzo e una sicura e benevole distanza? Si può insomma costringere il saggio a governare la città suo malgrado o perlomeno a consigliare chi governa cotringendolo al confronto nel conflitto? Il rischio ricorrente e possibile è l’aggravante che, spesso non si tratta nemmeno di governare e di produrre opere o idee per la città ma di spendere le proprie risorse mentali e pratiche in procedure insensate e avvilenti, dedicando gran parte del proprio tempo e dei propri buoni uffici e capacità per pararsi le spalle dai nemici e…… dagli amici. I mezzi divorano i fini. Un doppio scacco: rinunciare alla filosofia o alla poesia per governare e a governare per sopravvivere politicamente. C’è un altro modo di pensare e vivere la filosofia,la poesia ,la cultura in genere e soprattutto la POLITICA? Io penso di sì:lavorare,vivere e pensare sempre per il “meglio”.
Dobbiamo concretamente sperimentare di persona che la politica può esser in grado di esprimere la nostra ‘individualità’ solo nella comunità o sottraendoci alle appartenenze strumentali e identitarie quando diventano autoritarie e prescittive secondo il principio dell’”Immunitas” o rifugiandosi nel rifiuto, o nel nascondimento , sottraendosi alla visibilità e alla comunicazione con gli altri. Per questo ripeto: la politica esiste per quello che è, con tutta la sua potenza,fascino e i suoi limiti,a patto che in ogni momento possa mettere in gioco noi stessi e le nostre idee o opinioni , sempre e comunque.
mauro orlando
POLITICA
Da sempre è ricorrente …la cosidetta «tentazione di Siracusa» di Platone e la conseguente sindrome ricorrente degli intellettuali di voler modificare la storia, intervenire nel governo della città e consigliare la politica, alternandosi ciclicamente alla sindrome opposta, che potremmo battezzare «tentazione di San Casciano», ovvero la località, denominata l’«Albergaccio», in cui si rifugiò Machiavelli dopo le scottature della sua esperienza politica. Tutti gli intellettuali delusi dalla politica inseguono un loro” Albergaccio” ideale o necessitato in cui vivere, come la fine di un incubo o l’inizio di una sdegnosa solitudine, il loro disincanto politico e magari il loro operoso rientro nell’attività intellettuale fattuale.
Il dramma del filosofo o del poeta in politica, al servizio della città o di una comunità, è cadere in una insolubile contraddizione: scegliere come il fine del vero sapere il potere comunque o il perseguimento della personale realizzazione spirituale (l’eudaimonia) e “cura di sè e degli altri”, specificando il perché egli deve volgersi al governo della città oltre che al governo di sè o semplicemente come riscatto sociale e acquisizione di potere personale. E’ possibile governare bene la polis o la comunità sapendo che ci sono cose superiori che meritano le nostre energie e la nostra attenzione? E’ possibile usare con saggezza e mantenere con fermezza il potere, pur non nutrendo alcuna vera passione per il potere, anzi un sottile disprezzo e una sicura e benevole distanza? Si può insomma costringere il saggio a governare la città suo malgrado o perlomeno a consigliare chi governa cotringendolo al confronto nel conflitto? Il rischio ricorrente e possibile è l’aggravante che, spesso non si tratta nemmeno di governare e di produrre opere o idee per la città ma di spendere le proprie risorse mentali e pratiche in procedure insensate e avvilenti, dedicando gran parte del proprio tempo e dei propri buoni uffici e capacità per pararsi le spalle dai nemici e…… dagli amici. I mezzi divorano i fini. Un doppio scacco: rinunciare alla filosofia o alla poesia per governare e a governare per sopravvivere politicamente. C’è un altro modo di pensare e vivere la filosofia,la poesia ,la cultura in genere e soprattutto la POLITICA? Io penso di sì:lavorare,vivere e pensare sempre per il “meglio”.
Dobbiamo concretamente sperimentare di persona che la politica può esser in grado di esprimere la nostra ‘individualità’ solo nella comunità o sottraendoci alle appartenenze strumentali e identitarie quando diventano autoritarie e prescittive secondo il principio dell’”Immunitas” o rifugiandosi nel rifiuto, o nel nascondimento , sottraendosi alla visibilità e alla comunicazione con gli altri. Per questo ripeto: la politica esiste per quello che è, con tutta la sua potenza,fascino e i suoi limiti,a patto che in ogni momento possa mettere in gioco noi stessi e le nostre idee o opinioni , sempre e comunque.
mauro orlando
la domenica dell’attimo
poco alla volta imprigionarsi
all’anca, sbiadire in sé, dentro il tragitto
che ti sei assegnato, nessun occhio intanto
vola via dal corpo, tutto resta al suo posto,
poco alla volta consumarsi
fare insieme un chiasso inutile
limarsi
per rotolare più lontano dagli altri,
la vita è stata un tempo un vetro rotto,
è stata, così diciamo
e adesso?
io sento ormai uno strano silenzio ovunque
un silenzio che contiene tutto
il bacio, il centro commerciale, piazza di spagna
l’autostrada.
sento che non riesco a muovemi, dovrei
uscire dalle mie ossa
rifondare un me che sia
altro da me, altro dalla materia,
fiato, stella, notte,
altro, altro che sia altro
anche altro mondo
non dunque amore
paura o festa o nebbia
dunque non questo niente mal condiviso
che si chiama vita
che però quando la minaccia è vera
subito riprende vita
e non vorresti sciupare più niente
e pensi che ti sei irritato inutilmente
e vorresti fare festa all’attimo che arriva
vorresti andare in luna di miele col domani
ma intanto non sai chi sposare
non c’è un solo atomo del mondo
che a te si vuole
coniugare.
franco arminio, 16 gennaio 2011
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