martedì 18 gennaio 2011

Elisir d'amore ........per la politica......




...la politica del rancore
di franco arminio


Sarebbe una buona cosa uscire in piazza e sentire gente che muove alti pensieri e scalpita e si appassiona a progettare il futuro. E invece dobbiamo spendere il nostro tempo per cincischiare sulle nostre miserie. Ormai qui siamo tutti operai della vasta e ineffabile fabbrica del lamento. Il dispetto, il rancore, la diffidenza verso tutti e tutto sembrano l’unico modo rimasto per tenersi a galla. Litigano quelli che si oppongono alle pale, litigano i ferventi di padre Pio sull’ubicazione della statua, litigano quelli che hanno sostenuto l’amministrazione e quelli che l’avversano. L’unica cosa che è diminuita sono i litigi tra i vicini di casa, per il semplice motivo che ora la gente è tutta sparpagliata.
Qui la passione dominante è l’interdizione, l’idea di stoppare gli entusiasmi, le aggregazioni. Se costruisci un gruppo che produce qualcosa di buono subito viene fuori il dissenso, il ronzio di chi avanza riserve, cavilli. E chi non si mette di traverso in modo palese lo fa, vigliaccamente, in maniera obliqua, criptica. Più che il conflitto, l’irpino preferisce agire con l’indifferenza, il diniego, il far finta che il bene che fanno gli altri non esiste. Io sono rimasto qui per registrare questi movimenti. Ci sono delle giornate in cui certi atteggiamenti mi feriscono profondamente, poi però mi riprendo, in fondo questa avversione è il tonico che mi fa andare avanti, che mi impedisce di addormentarmi. Il sud dei paesi sta morendo proprio perché è in mano alla lobby dei vigliacchi. Perché sono loro a tenere in mano le piazze, sono loro a decidere a chi dare la pensione, a chi togliere la multa, a chi consentire questo o quell’abuso. La loro abilità maggiore è nel far credere che siamo tutti uguali, che la vigliaccheria è nel cuore di tutti e invece è solo un’anomalia della maggioranza. Ci sono ancora i coraggiosi, gli eroi, a volte ci vengono vicino ma non sempre riusciamo a riconoscerli, magari proprio perché distratti a occuparci delle vigliaccherie che subiamo.
Questa è un’epoca che ha disperatamente bisogno del nostro amore, della nostra speranza, ha bisogno del coraggio di opporsi, di lottare contro la meschinità imperante. Il segreto per una giornata lietamente rivoluzionaria è riuscire a vedere che le montagne sono ancora piene di alberi e che ci sono cuori clementi agli angoli delle strade e ci sono albe e tramonti, c’è l’acqua del mare e il grano che cresce. Tuttavia, questa affezione per il mondo va sempre incrociata con una fortissima allergia al compromesso, all’intrallazzo. Bisogna unire la capacità di percepire la bellezza del mondo e di lottare contro chi ogni giorno tenta di impoverirla, di svilirla. È ora di tenere insieme la tensione politica e quella poetica, la contemplazione e il conflitto. I luminari del rancore ci vorrebbero rassegnati alle misere finzioni della vita sociale oppure chiusi nei freddi loculi del nostro io. No, questa è un’epoca da attraversare ad occhi aperti, con sguardi spericolati, mossi in ogni direzione. Il rancore alla lunga rende sterili, ci allena alla conservazione di ciò che non abbiamo. I rancorosi non conoscono la cordialità, la mitezza, non sanno usare il metro della clemenza. Infervorati come sono nelle loro accidie, nelle loro pretese, hanno interiorizzato il disagio, la disaffezione. La loro postura è fatta per claudicare, non per il passo spedito, il gesto aperto. La loro giornata è tutta trapuntata di inadempienze, di incomprensioni. Ognuno è scambiato per un altro, e in genere lo scambio avviene al ribasso. La vita dei rancorosi consiste in una perenne edificazioni di muri, di cancelli. La loro poetica è stare lontani dagli stati estremi, accucciati a scambiarsi una pappina psichica che non serve a niente. Vivono tenendosi costantemente al riparo dalla vita. Rimangono contratti, sospettosi, come se l’universo fosse un cane che li punta e sta per morderli da un momento all’altro. Tutt’al più procedono al piccolo trotto, in un traccheggio prolungato. Prevalgono le posizioni difensive, gli slanci millimetrati. Spendere il proprio tempo per gli altri è considerato quasi un segno di malattia, un gesto folle, sconsiderato, incomprensibile. Si lamentano per conformismo, per appartenere al gregge oppure per fingersi pastori. Forse quello che noi chiamiamo sud avrà una speranza di salvezza se saprà mettere questa gente con le spalle al muro, se saprà amare i bizzarri, gli inventori, gli estrosi, i poeti e i cuori affamati di amore.


Sono comunque un insegnante di filosofia abituato a sentirsi tirato per la giacca o preso in giro dai cosidetti “pratici” per la necessaria o presunta astrattezza dei cosidetti Filosofi .Esempio storico è il famoso “riso della servetta di Tracia “ nei confronti di Talete che cadde in una cloaca perché distratto ad ammirare le stelle e non guardare la strada che percorreva.Tant’è …non è così semplice parlare ai sordi che non voglio sentire…..come cercare di spiegare con i propri argomenti che tra il pensare e ii fare non necessariamente c’ contrasto ….anzi. Io spero che ci sia la stessa libertà e spazio di esprimersi per l’esperienza di Agostino,delle esigenze di Giovanni, degli scritti di Franco, delle opere di Angelo, dei pensieri poetanti di Elda, dei sofismi intelligenti di Paolo, di Mario, Savatore, i due Enzo sognatori pratici o pratici sognatori, delle poesie di Gaetano,delle provocazioni non sempre benevolo di Rocco e di tutti gli altri che non cito per non annoiarvi.Io lavoro con la filosofia e la presunzioni di poter elaborare idee e voglio essere libero di fare la mia esperienza comunitaria con la mia identità e le mie idiosincrasie mentali e anche con le mie ossessioni complesse,arzigogolate, barocche eccc.. Un mio maestro di altri tempi scriveva:
« Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l’addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui. »
(Aristotele, Protreptico o Esortazione alla filosofia) Io per la mia vita mentale ed attiva del presente e del futuro che mi resta di vivere cerco di dare alle cose un grande peso, il peso della filosofia stessa, il peso delle idee. Vuol dire passare la realtà che ci circonda al vaglio del pensiero, della ragione, come esercizio di intelligenza e libertà, che sono poi le caratteristiche fondamentali dell’essere umano. Platone era uno che davvero la prendeva con filosofia. Non certo nel senso, come pensano quelli che vedono in lui il prototipo del filosofo con la testa fra le nuvole, troppo immerso nell’Iperuranio per vedere le cose così come sono, che davanti alla realtà egli chiudesse gli occhi; anzi, il suo sguardo sul mondo era lucido e si avvaleva del metro del pensiero, che è “l’occhio dell’anima”. È davvero difficile far passare questa idea, tanto più oggi che ci troviamo in un contesto in cui sembra che il pensiero sia roba vecchia e inutile, una perdita di tempo a cui anteporre, senza se e senza ma, l’agire. In Italia, oggi, va di moda il “governo del fare”. Ma fare che cosa? Come si può fare senza prima aver pensato con serietà cosa fare? Un fare svincolato dal pensare porta direttamente in un vicolo cieco. Chi fa senza pensare rischia di fare – anzi, senza dubbio fa – male. Questo i filosofi lo sanno bene e Platone sopra tutti. Ed io immeritatamente sempre con curiosità cerco di seguire queste semplici verità. Sbaglio ….sicuramente ma fa parte della mia vita e non ci rinuncio oggi come non ci ho rinunciato nel passato.Perciò ho voluto iniziare da lui e dalla Repubblica in particolare. Quando nel bel mezzo della sua opera, egli si spinge a dire che “ci sarà un buon governo solo quando i filosofi diventeranno re o i re diventeranno filosofi”, non si lascia andare certo ad una boutade, come pure viene recepita dai suoi interlocutori dialogici e da buona parte dei lettori disincantati. Con questa frase, destinata ad avere lunga eco nei secoli successivi, Platone, per bocca di Socrate, vuole indicare come la politica possa adempiere al suo mandato solo se poggia sulla solida base delle idee, della ragione e della cultura, che le diano un orientamento. Come l’utopia mette le ali alla storia permettendole di volare alto, così sono le idee a fare della politica qualcosa di alto e nobile. Il mio motto-guida sarà sempre “Amicus Plato sed magis amica veritas”….per ripetto di me stesso oltre che degli altri.
mauro orlando

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