ribelliamoci
è un freddo inutile
quello che adesso è nelle vie.
il paese è il nido più alto
della desolazione
e più sotto
il colore del mondo
è grigio.
affiggete fuori dalla porta
questo avviso:
ribelliamoci
e che non sia la nostra nuca
di tanto gelo il nido.
franco arminio, 27-01-2011
è un freddo inutile
quello che adesso è nelle vie.
il paese è il nido più alto
della desolazione
e più sotto
il colore del mondo
è grigio.
affiggete fuori dalla porta
questo avviso:
ribelliamoci
e che non sia la nostra nuca
di tanto gelo il nido.
franco arminio, 27-01-2011
La rivoluzione di F. Arminio
Voglio la rivoluzione, nient’altro che la rivoluzione. La voglio da me stesso, prima ancora che dal mondo. La voglio perché la furberia dolciastra e la scalmanata indifferenza hanno preso in mano i territori della parola e anche quelli del silenzio. Chi scrive viene tollerato a patto che rimanga nel recinto. Le sue ambizioni possono essere anche altissime, ma solo se vengono esercitate in luoghi millimetrici, invisibili. I fanatici della moderazione avanzano ovunque. In politica come in letteratura.
Io sono fuori da questo mondo e fuori da questa vita. Non è un merito e spero non diventi una colpa. È andata così e sono fatti miei. Dal luogo in cui parlo, con la morte che mi passa nel cuore molte volte al giorno, io sono costretto ad ambire alla rivoluzione, non ho altra scelta. E se guardo un albero, non gli chiedo soltanto di farmi ombra, e se vedo una donna non mi accontento delle solite cerimonie, voglio l’infinito e non mi basta neanche quello, dell’infinito voglio la radice, il luogo in cui inizia, voglio sentire come è cominciata questa infiammazione, questo delirio della materia che chiamiamo vita.
Che cos’è una rivoluzione? Chi è l’uomo “rivoluzionario”? Sono queste le domande che dovrebbero guidare la nostra ricerca e verso le quali condurre le nostre idee,azioni,sentimenti ,sogni,fantasie. Da dove iniziare per cercare le risposte? La via migliore, forse, è quella di osservare quel che accade attorno a noi, di partire dalla nostra esperienza quotidiana, da come nel mondo contemporaneo la politica in senso classico (zoòn politikòn) e l’uomo politico (teknè politikè) entrano nel nostro orizzonte, ci vengono incontro. La politica come” cura di sé e degli altri”, in primo luogo, ci appare un ambito che si colloca accanto e in antitesi critica ed esistenziale ad altri ambiti, e i suoi confini ci appaiono facilmente individuabili, tanto che non incontriamo difficoltà a stabilire quando il discorso verte sulla politica, o sullo sport, o sull’economia, o sulla scienza e così via. Se sentiamo parlare di partiti, di elezioni, di voto, di governo, di parlamento, di Stato, di istituzioni democratiche, non abbiamo dubbi: in gioco è la politica. Ci è così possibile nel corso di una discussione tra amici ‘iniziare’ liberamente a parlare di politica, e altrettanto liberamente di ‘smettere’ di parlarne, e di spostare il discorso su di un altro ambito. Ancor prima che nei discorsi, noi percorriamo ogni giorno i diversi ambiti, volontariamente entriamo e usciamo da essi; in un determinato momento della giornata entriamo nell’ambito del lavoro o dello studio, poi in quello della famiglia, del tempo libero, dello sport, dello spettacolo e anche, sempre se lo vogliamo, in quello della politica.Fare “rivoluzione” oltre che pensarla e programmarla è prima di tutto mettere il proprio “io” al centro della nostra vita nel “confronto-diaologo” con le vite degli “altri”.Il senso rivoluzionario è ll coraggio di esporsi nel racconto della propria “diversità” senza le zattere o le ciambelle di salvataggio di salvataggio dei vari saperi tradizionali …scientifico,filosofico, etico, antropologico e quant’altro.Questo coraggio per me è essenziale per cercare e dare un senso “rivoluzionario” ,possibile,e fattibile alla sfida paesologica…..Il tuo testo è un bello e buon esercizio ……..di libertà ed autonomia non di capi o messia…..
mauro
Io sono fuori da questo mondo e fuori da questa vita. Non è un merito e spero non diventi una colpa. È andata così e sono fatti miei. Dal luogo in cui parlo, con la morte che mi passa nel cuore molte volte al giorno, io sono costretto ad ambire alla rivoluzione, non ho altra scelta. E se guardo un albero, non gli chiedo soltanto di farmi ombra, e se vedo una donna non mi accontento delle solite cerimonie, voglio l’infinito e non mi basta neanche quello, dell’infinito voglio la radice, il luogo in cui inizia, voglio sentire come è cominciata questa infiammazione, questo delirio della materia che chiamiamo vita.
Che cos’è una rivoluzione? Chi è l’uomo “rivoluzionario”? Sono queste le domande che dovrebbero guidare la nostra ricerca e verso le quali condurre le nostre idee,azioni,sentimenti ,sogni,fantasie. Da dove iniziare per cercare le risposte? La via migliore, forse, è quella di osservare quel che accade attorno a noi, di partire dalla nostra esperienza quotidiana, da come nel mondo contemporaneo la politica in senso classico (zoòn politikòn) e l’uomo politico (teknè politikè) entrano nel nostro orizzonte, ci vengono incontro. La politica come” cura di sé e degli altri”, in primo luogo, ci appare un ambito che si colloca accanto e in antitesi critica ed esistenziale ad altri ambiti, e i suoi confini ci appaiono facilmente individuabili, tanto che non incontriamo difficoltà a stabilire quando il discorso verte sulla politica, o sullo sport, o sull’economia, o sulla scienza e così via. Se sentiamo parlare di partiti, di elezioni, di voto, di governo, di parlamento, di Stato, di istituzioni democratiche, non abbiamo dubbi: in gioco è la politica. Ci è così possibile nel corso di una discussione tra amici ‘iniziare’ liberamente a parlare di politica, e altrettanto liberamente di ‘smettere’ di parlarne, e di spostare il discorso su di un altro ambito. Ancor prima che nei discorsi, noi percorriamo ogni giorno i diversi ambiti, volontariamente entriamo e usciamo da essi; in un determinato momento della giornata entriamo nell’ambito del lavoro o dello studio, poi in quello della famiglia, del tempo libero, dello sport, dello spettacolo e anche, sempre se lo vogliamo, in quello della politica.Fare “rivoluzione” oltre che pensarla e programmarla è prima di tutto mettere il proprio “io” al centro della nostra vita nel “confronto-diaologo” con le vite degli “altri”.Il senso rivoluzionario è ll coraggio di esporsi nel racconto della propria “diversità” senza le zattere o le ciambelle di salvataggio di salvataggio dei vari saperi tradizionali …scientifico,filosofico, etico, antropologico e quant’altro.Questo coraggio per me è essenziale per cercare e dare un senso “rivoluzionario” ,possibile,e fattibile alla sfida paesologica…..Il tuo testo è un bello e buon esercizio ……..di libertà ed autonomia non di capi o messia…..
mauro
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