sabato 16 novembre 2024

 



Sulla tua  tomba disadorna …la scritta : “Amavo certi  giorni! Ciascuno esattamene come tutti gli altri .” Mai pensato di doverla  augurare  … un giorno di riposo eterno di pace. Bisogna avvertire la minaccia alla vita per sentire la mancanza dei quieti giorni amati e perduti inutilmente. Bisogna aver perso la pace interiore ...eudaimonia ... per sentire tanto  la mancanza di quei giorni  a volte detestati perché troppo pacifici, troppo uguali gli uni agli altri e perciò noiosi. Quando la vita fallisce, quando si sente trascinata verso il basso, niente sembra più bello di una sfilza di giorni tutti uguali, quando basta una carezza a proteggerti e niente sembra più desiderabile di un enviable emptiness, un vuoto invidiabile. La vita è un peso ma la morte è un vuoto ancora più pesante. L’inverno è la stagione del tempo del morire .  La morte infondo è la proprietà delle cose naturali che si rinnovano solo nell’eternità. Solo ciò che non è naturale non muore. “Le foglie morte posavano sulle pietre; / non c’era vento che le sollevasse.” L’anima non è naturale  come pensava Democrito. Solo perché può pensarla chi resta dopo la morte del nostro corpo ….e sa che dopo l’inverno in natura c’è ancora la primavera e l’eterno ritorno degli eguali e dei diversi .


martedì 29 ottobre 2024

 



 erano parole di luce di sole di articolare dolcezza e colore che scuotevano la vista  e rischiaravano la lentezza di una quotidianeità intorbidita  e lenta ....la mente si muoveva  all'interno di insoliti  orizzonti di  curiose ricerche  della lingua che ricorda i suoi momenti di gloria  presso l'Essere che umanizzava le cose  e gli oggetti senza vita nei momenti di gratitudine  verso le parole e le cose in unione spirituale prima dell 'Arca....un Dio con particolare dedizione  all'esistenza  umana  nella sua fuga  dall'Olimbo verso la vita terrena ...parole riempite di saggezza consegnata ad una ragione senza il soffio vitale dello Spirito.....uno svelamento della verità nascosta con una penetrante fantasia poetica nella forza creatrice e trasformatrice della parola come rifugio  dopo il diluvio ...e col sole la luce e la parola rinnovata che confessa gli aspetti intimi di sè gettata in un mondo di voci differenti con uno sguardo interno agli eventi e le sue forme....unione indissolubile e encomiabile del tutto che la poesia propone al mondo intero...i misteri e i miracoli delle parole ...carezze nelle radure quando il mondo si speza e si perde  e ci assale la paura  del bosco e suoi sentieri  senza segnavie  e il mare si chiuse davanti a Mosè e si ritrasse dall'Arca ...

...ed io  ti guardavo nel sogno  e mi si apriva il mondo  nel tuo corpo turbato e desideravo straiarmi accanto a te ....essere in te ....essere te  come tante volte ....

 Una  specie  di introduzione

....dal quale eccezionalmente non si ricava nulla 

sull'Atlantico un minimo barometrico  avanzava in direzione orientale  incontro ad un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza  a schiavrlo  spostandosi verso Nord......le isoterme e e le isotere  si comportavano a dovere .....

ed io voglio parlare di te ...notte

senza veli e pudori 

notte di corolle lunari

di durezze ed arsure

promesse ed attese

e segreti sogni 

tra malie e risvegli 

e ricominciare a parlare 

di albe e tramonti

saturi e colmi di silenzi

sereni e caldi di futuro


domenica 8 maggio 2022

«un ritratto; ma questo ritratto non è psicologico,
bensì strutturale: esso presenta una collocazione della parola:
la collocazione di qualcuno che parla dentro di sé, amorosamente,
di fronte all’altro (l’oggetto amato), il quale invece non parla. »

Bisogna  comunque  distinguere l’immagine dall’immaginario e cioè la distinzione fra l’amato/a e l’amore asserendo che si ama più l’amore che l’amato stesso individuando come conseguenza la “fertilità” dell’attesa dell’amato e della sua assenza.
Mi fa pensare a Lacan e la sua concezione di desiderio secondo cui noi desiderando di amare una persona non facciamo altro che sostituire come oggetto del desiderio qualcosa che è assolutamente irraggiungibile ed inesistente (il paradiso) con qualcosa di tangibile ed a portata di mano e di sensi.


 

martedì 8 marzo 2022


 

Il sacro: esperienza e immanenza

Il sacro costituisce senz'altro uno dei temi la cui presenza è pervasiva nell'opera di Bataille e che continuamente riemerge anche là dove non è atteso. Si pensi ad esempio all'importanza che il sacro ha in una raccolta di saggi letterari qual è La letteratura e il male, uno tra gli ultimi libri da lui pubblicati1. Tuttavia il termine sacro deve essere assunto come una di quelle che egli indica, ne L'esperienza interiore, con l'espressione “parole scivolanti”2, così come ad esempio dépense, eterogeneo, sovranità ma anche poesia, silenzio, erotismo. Si tratta di parole che, nell'indicare quanto sempre di nuovo si sottrae alla presa oggettivante del linguaggio, devono continuamente sfuggire dal luogo in cui si pensava di fissarle in un significato definitivo, mantenendosi però su quel limite oltre il quale il processo della significazione si dissolverebbe nel silenzio di una totale assenza di comunicazione. Ne consegue che non è possibile ricavare, dalle numerose pagine che Bataille scrive nel corso degli anni su questo tema, una definizione univoca del sacro, come degli altri termini ad esso connessi, si tratta piuttosto, richiamandoci a quanto egli afferma introducendo la voce informe nel Dizionario della rivista Documents3, non di dare il senso delle parole ma di far emergere il loro compito. A condizione che ciò non vada inteso tuttavia come un'operazione di riduzione del linguaggio ad un insieme razionale di strumenti, ma, proprio al contrario, nel vedere nelle parole la risposta a impellenti bisogni affettivi dell'essere umano.

venerdì 18 febbraio 2022




alla ricerca di Parmenide  e Zenone

una giornata   di attese  e curiosità con i piedi che calpestavano la terra  di Parmenide e Zenone a ricostruire  la quotidianeità  di due pensatori  essenziale   per  lo sviluppo  ulteriore della nostra cultura  mediterranea ed occidentale....due diversi modi di  usare il "logos"  uno alla ricerca dell' Essere  ...che non può non essere  e l'altro  a spaccare in quattro le parole e le idee  in nome del paradosso, dell'antinomia o dei paralogismi.....è il doppio della nostra cultura occidentale  che si costruisce in questa piccola polis  di greci rifugiati  dalle guerre che infestavano il mediterraneo in quegli anni  con i cartaginesi....una vita quotidiana vissuta dal popolo comune  tra riti e miti che ci parlano  dei modelli di accadimento archetipi, avvenuti in un passato originario che ci hanno permesso  in questo modo  di riappropriarcene, inserendoci  armoniosamente in un tempo  che si  ripeteva  in  un eterno e infinito  cosmo naturale . Phisis  e logos  in conflitto o in armonia . E' dai loro  dialoghi o conflitti  che nasce il pensare degli albori della nostra civiltà filosofica greca con una  frattura metafisica tra due ordini di realtà diversi: quello divino, archetipo, eterno, immutabile; e quello umano, transeunte, instabile e dipendente dal primo, che ne costituirebbe l’origine 
Sulla scorta di quanto osservato crediamo sia allora possibile cercare di leggere nella concezione parmenidea dell’essere un momento di raccordo e di formalizzazione tra i differenti e dispersi livelli e formazioni discorsive che hanno caratterizzato la fase arcaica del pensiero, e che fa al tempo stesso scaturire un sistema enunciativo estremamente forte ed efficace. E allora  si può affermare  che l'Essere parmenideo  come la base  del principio di non contraddizione e della logica astraente. La dottrina dell’essere – quale è ricostruibile dai frammenti pervenutici – fornisce, infatti, delle precise regole di formalizzazione di ogni discorso futuro, che voglia assurgere al carattere di discorso vero, tale in quanto fondato. Pensare è pensare l’essere: il dire è il dire l’essere nella forma del pensiero, poiché "(…) infatti lo stesso è pensare ed essere".
Partendo dall’oggetto del proprio discorso  Parmenide giunge a caratterizzare il modello del proprio argomentare: essere e pensiero sono omologhi e il disvelamento dei caratteri dell’uno coincide con il fondamento dei caratteri dell’altro.
I termini con i quali Parmenide tratteggia l’Essere sono oramai universalmente noti, ma su di un frammento in particolare crediamo sia doveroso soffermarsi nuovamente dove si  afferma, infatti
.....l’uno che è e che non è possibile che non sia,
....l’altra che non è e che è necessario che non sia

Normalmente il passo viene interpretato come la prima formulazione del principio di non contraddizione, che fonda la necessità del discorso logico, differenziandolo da ogni argomentazione di tipo non razionale, ovvero pre-logico, mitico. Se, tuttavia, lo riconduciamo allo sfondo dell’insegnamento orfico, risulta possibile una lettura tendente ad annullare la distanza tra logos e mythos.

La liceità di questa interpretazione si appoggia su due gruppi di testimonianze. Il primo gruppo insiste sull’attributo di pitagorico costantemente riferito a Parmenide: " Quivi nacquero i pitagorici Parmenide e Zenone" e ..." giunsero ad Atene Parmenide e Zenone, maestro il primo, scolaro il secondo, eleati l’uno e l’altro, non solo, ma facenti anche parte della scuola pitagorica" . "Zenone e Parmenide, gli eleati: anche costoro appartengono alla scuola pitagorica" .Stessa scuola di fondo  di ordine della phisis pitagorica esiti diversi  nell'uso della filosofia  come amore per il "logos".


lunedì 31 gennaio 2022


 

Franco Arminio, “una comunità è tale se è attenta al dolore di chi ne fa parte”

LETTERA AGLI STRONZI

 

Cari stronzi,

siete tanti e questo vi dà coraggio.

Girate col cartellino in tasca:

ammonire è il vostro passatempo.

Non avete faccende importanti

nella vostra vita,

date la caccia alle miserie degli altri

per dimenticare le vostre.

Io vi riconosco appena aprite la bocca,

vi sento anche quando non vi vedo,

siete registi falliti, creativi che non hanno mai creato niente, poeti

della cenere, fotografi dello sbadiglio,

militanti della purezza immaginaria.

Il vostro tempo è scaduto,

la fiamma della vostra candela

si allunga perché è alla fine.

Sta per venire il tempo dei silenziosi

dei gentili. Il rancore è un ferro vecchio,

Dio è tornato a farci compagnia,

e noi porteremo sulla punta delle dita

il suo chiarore.

 

 

 

Proprio l’esperienza  paesologica  più che  a una possibile e veritiera ermeneutica  mi ha fatto capire quanto sono differenti i due mondi che la hanno  determinata e  condizionata. Faccio riferimento comunque a quello della cultura tout court  e quello della politica. In altri ambiti più strettamente teoretici  è necessario riconoscere  che  hanno bisogno l’uno dell’altro anche se  operano secondo logiche non sovrapponibili se non in minima parte. Il recupero di un certo “preconcetto o sospetto ” platonico verso la poesia e soprattutto “il linguaggio poetico” come strumento di racconto e analisi della realtà concreta e effettuale in alternativa della “sophia” e della “politeia” è avvenuto proprio nei confronti e dialoghi vissuti  nei “parlamenti comunitari” se pur provvisori e mai prescrittivi. Questa comprensione, accettazione e piacere  è stata un’opera di disincanto che mi ha arricchito non solo a livello personale  ma soprattutto nell’esercizio comunitario della condivisione e il riconoscimento dell’altro da sé . Ne esco più lucido emotivamente  e consapevole anche scientificamente. Oggi ,ad esempio,  sono persuaso  che la lingua della “poiesis” e la lingua di “sophia” non sono di “sorelle nemiche “ ma di “sorelle diverse” e possono incontrarsi  nella “vita activa” , non solo  per comprendersi  ma soprattutto per aprire un dialogo  e una azione comune  nella realtà effettuale materiale e spirituale. I linguaggi diventano “il lievito magro” di qualsiasi esperienza comunitaria che  in genere  nel “sapere” tradizionale divergono condizionando  anche le finalità degli attori. Il “philosofos”  teoretico vuole arrivare alla radicalità e alla nettezza dei concetti, delle opinioni e delle idee e dei loro movimenti, mentre quello “politikes”  smussa gli angoli ,i conflitti e le asperità perché il linguaggio gli serve per operare, per cercare consenso, non solo  per capire e costruire la sua “turris eburnea”  senza porte e finestre. La “poiesis” dal suo canto non ha vocazione elitaria e verticale e prefigura  “saperi arresi” che amano la parola come espressione  delle cose, degli uomini e della natura per rapporti di condivisioni comunitarie autentiche e vere. Le nostre esperienze riflessive e consapevoli nel mondo nel suo complesso e del mondo sociale organizzata dal pensare politico hanno esercitato e esibito impegno politico, e qualche analisi intelligente, fino agli anni Settanta. La grande trasformazione neoliberista ci  ha colti di sorpresa e non l’abbiamo capita per tempo scegliendo di  guardare  come spettatori  “il naufragio” dalle rive del mare  o immergendosi nella tempesta senza i mezzi necessari e le finalità chiare e condivise. Abbiamo rifiutato con leggerezza e superficialità e  rinunciato al pensiero critico e responsabile rifugiandosi semmai, in certi casi, in compiaciuti sofismi, ideologismi retrogradi  e di non avere contrastato l’ingresso del neoliberismo  nella cultura  popolare e  specializzata con sensi di colpa  non richiesti e ritenuti irrilevanti. I cittadini non si riconoscono più in ciò che avviene all’interno delle stanze della politica e neanche  di quelle che si  praticano a tentoni tra  le pieghe della cosiddetta società civile ,pura e incontaminata . Il risultato di questo fenomeno è comunque una crisi della democrazia rappresentativa ( il bambino della famosa acqua sporca) a cui tutti in vario modo abbiamo contribuito  senza neanche il tentativo o la fantasia di  avanzare  proposte alternative nella teoria o nella pratica della esperienza. E intanto la  “politica” continua a prendere decisioni nonostante la mancanza di appoggio, o il disinteresse, dell’elettorato. La diretta conseguenza di tale condizione è il populismo e il sovranismo nostrano e strapaesano ?Il  fallimento del vecchio sistema  di potere politico  lascia un enorme scontento presso strati sempre più larghi delle popolazioni. A questo scontento si dà il nome di “populismo ” e di “antipolitica”, e qualcuno  è portata dalla disaffezione e dalla confusione  a pensare che si possa trattare di esperienze  che possono anche  aiutare o provocare spinte politiche reali che potrebbero aiutare la stessa  democrazia. E’ paradossalmente  vero  che una forma di coinvolgimento  c’è stato e d è ancora  potenzialmente in atto. Tutti i movimenti di protesta e di resistenza che nascono nella società in risposta al peggioramento della qualità della vita indotta dal neoliberismo sono il loro reale e concreto crogiuolo. Oggi spesso  sono spontanei, eterogenei  e scomposti,  e spesso fuori bersaglio. Aspetto importante è  che sono nel complesso minoritari,marginali e inattuali  perché il grosso dello scontento, dell’anomia, si rifugia nella disperazione, nella passività, nell’individualismo proprietario subalterno  di un paese in sviluppo senza progresso complessivo. I partiti sono nel marasma, nel disagio   e nella confusione mentale  senza alcun principio di elaborazione e progetto di  nessuna forma politica alternativa o di  possibile continuità democratica.  Così c’è il rischio che la residua energia politica circolante nella società vada semplicemente sprecata. È evidente che la sfida del presente è re-inventare pensiero, esperienze  e azioni  perché realizzino istituzioni e stili di pensare e soprattutto di vivere  che sappiano tradurre  i conflitti ad armonia sociale e a rapporti umani a  comunitari piuttosto che immunitari.

Mauro Orlando

 


venerdì 26 novembre 2021





 Sembra che affrontare l'opera di ricerca  filosofica  oggi  porti, quasi inevitabilmente, a sentirsi in dovere di avanzare una serie di giustificazioni preliminari; in effetti, se si scorre l'ormai vasta bibliografia di un qualsiasi autore di riferimento , ci si imbatte in studi che, molto spesso, sono introdotti dall'esigenza di dar conto della loro stessa esistenza, un'esistenza che, a rigore, dovrebbe essere resa impossibile da quello che è il loro oggetto di studio.Pensiamo ad un autore intrigante eprofondo di questo nostro fine-iniziosecolo George Bataille verifichiamo  un problema con cui Bataille stesso si è incessantemente confrontato, basti ricordare i diversi interventi dedicati al non-sapere, o l'introduzione a La parte maledetta, nei quali si afferma che questi non avrebbero mai potuto concretizzarsi nella forma positiva di un dire o di una scrittura se l'autore fosse stato coerente con le teorie che vi vengono esposte e che portano verso la dissipazione di ogni possibile sapere e di ogni sua utilizzabilità. Non potendo quindi sottrarci a quest'obbligo, ci sembra efficace farlo richiamando una delle immagini che ricorrono con maggior frequenza nella scrittura batailleana: quella del labirinto. Il confronto con il pensiero di Bataille ci chiede, in effetti, di inoltrarci in un labirinto dove le continue biforcazioni impongono la scelta di tracciare dei percorsi, ma con la consapevolezza che, nella molteplicità dei tracciati possibili, non esiste quello corretto che ci porti all'uscita. Anzi, ciò verso cui siamo portati è, invece, l'incontro, al cuore del labirinto, con quel mostruoso Minotauro che nel pensiero di Bataille assume, di volta in volta, i nomi sempre sfuggenti di non-sapere, sacro, dépense, sovranità, e così via. Qualsiasi sia dunque la linea di lettura adottata si deve essere sempre consapevoli dell'impossibilità di giungere a produrre un'immagine soddisfacente del pensiero batailleano, qualcosa che possa sembrare ad una soluzione dell'enigma di fronte a cui il labirinto ci pone. Tutto ciò perché è questo stesso pensiero ad essere un pensiero dell'impossibilità dell'uscita. E, anzi, inoltrarsi in un tale percorso labirintico sembra portarci verso la progressiva consumazione dell'idea di una possibile soluzione, dell'esistenza di un fuori che si configuri anche come salvezza o, in termini politici, del pensiero di una rivoluzione come redenzione, visto che proprio il ripensamento del concetto e della pratica della rivoluzione emergerà, dalla nostra lettura, come l'esigenza politica da cui è mosso, dall'inizio alla fine, il pensiero di batailleano.Il filo conduttore che abbiamo adottato in questo nostro percorso sarà costituito dal rapporto di Bataille con le scienze sociali, nella convinzione che sia proprio nel costante confronto con questo ambito di studi, al quale egli riconosce una posizione privilegiata rispetto a tutti gli altri settori del sapere, che si viene a delineare la riflessione, e la pratica, batailleana del soggetto inteso come ciò che si colloca, in un movimento ostinatamente reiterato, sempre sul limite di un rovesciamento delle forme dell'utile, del sapere e del potere nelle quali esso è stato assoggettato dall'immagine che la modernità ne ha prodotto facendone il soggetto dell'economia, del sapere e della politica

giovedì 25 novembre 2021


 Care amiche e cari amici, queste poche righe per farvi partecipi di un viaggio che vorrei intraprendere nella solitudine della politica. Una proposta che nasce dalla condizione di “esilio” che sto vivendo ma che immagino possa in una qualche misura riflettere una condizione di crescente estraneità verso una politica incapace di quel cambiamento profondo di pensiero di cui si avverte il bisogno.

Nella fatica di cogliere i segni del tempo come nell’indagare la profondità delle trasformazioni in corso, emerge l’inadeguatezza delle vecchie categorie interpretative, l’effetto degenerativo di un marketing politico che ha trasformato i partiti in macchine elettorali, il venir meno di una dimensione collettiva in grado di leggere i processi sociali e l’incapacità di elaborare nuovi orizzonti di liberazione umana in un mondo che reagisce all’insostenibilità con l’esclusione.

Una solitudine che avverto ancor più profonda nel cercare di sottrarsi alla verticalità di una politica nazionale che riduce il territorio a terminale eterodiretto, frustrandone ogni ricerca e sperimentazione originale, senza comprendere che nell’interdipendenza non ci sono più centri e periferie, ma sguardi insieme territoriali e sovranazionali. E che l’infrastrutturazione politica nazionale è sempre più fuori dal tempo.

Ciò nonostante sono convinto che vi sia un’antropologia politica e forme di “pensiero laterale” che potrebbero costituire una possibile traccia di lavoro alternativa al populismo “dentro e contro” che oggi sembra occupare l’intero scenario politico. Le cui espressioni sono spesso sotto traccia e non fanno notizia, dalle “terre alte” alle istanze della cittadinanza europea e mediterranea, dalla ricerca sociale alla formazione politica, ma che varrebbe la pena raccontare e annodare. Che forse contano poco o nulla nel mercato politico/mediatico ma è proprio da questa solitudine che forse occorre ripartire.

Non si parte mai da zero, ma nel passaggio “fra il non più e il non ancora” lo scarto di pensiero richiede radicalità, come avvenne in matematica con l’introduzione dello sifr, lo zero arabo. Uno sguardo nuovo, capace di strabismo (e dunque di profondità), una ricerca disposta alla curiosità, al sincretismo e alla meraviglia. E proprio “sifr” sarà il nome del blog che di questo viaggio curerà il racconto.

Un viaggio è un viaggio. Servisse anche soltanto a sentirsi meno soli, ad operare una ricognizione di quello che la politica nazionale non sa e non vuole osservare nei territori di questa nostra porzione di Europa, penso ne varrebbe comunque la pena.
A proposito di solitudine, questo viaggio lo vorrei compiere insieme a voi.

mercoledì 24 novembre 2021


 ex  captivitate salus

Covid 19 e  "stato di eccezione" politico.

di mauro orlando


Quello di "stato di eccezione" è uno dei concetti chiave nella dottrina politica di Carl Schmitt. Partendo da concetti primordiali come terra, mare, amico, nemico, Schmitt giunge a teorizzare la differenza tra "legalità" e "legittimità", e quindi a correlare strettamente la sovranità con la possibilità di decidere sullo stato di eccezioneDa alcuni punti di vista lo stato di eccezione si contrappone allo stato di diritto, perché si configura come una situazione in cui il diritto è sospeso. D'altro canto esso tende a situarsi in una posizione intermedia tra lo stato di natura e lo stato di diritto, assumendo un aspetto pre-giuridico.Questa situazione in cui il potere costituito sospende il diritto è sotto certi aspetti speculare al diritto di resistenza altra situazione in cui legalità e legittimità si differenziano, però a favore del popolo e non del potere costituito.Lo Stato d'eccezione si configura come soggetto politico che deve avere e pretendere per sé il controllo totale di ogni ambito della società  in un periodo che può essere di grave o irrisolvibile crisi economica, in un periodo di ricostruzione postguerra  o in casa di calamità fisica o sanitaria .Nella storia con lo Stato che Schmitt vedrà realizzato nel Terzo Reich.. Lo Stato d'eccezione, definibile anche come "Stato totale per energia", si contrappone perciò allo "Stato totale per debolezza", come Schmitt definiva lo Stato creato dal compromesso liberal-democratico, ritenuto incapace di decisione politica e di sovranità, per quanto si occupi di ogni ambito della società.Lo "Stato totale per energia", secondo Schmitt, deve basarsi su tre punti: Popolo (diviso per ordine razziale); Partito (manifestazione dell'energia politica vitale del popolo appartenente a quello Stato); Stato (ambito formale in cui si dà l'ordine concreto)....Quanto oggi nel  attuale "nostro stato  di eccezione" per motivi medico-sanitario da Covid 19  si possa applicare questo schema  dottrinario alla nostra situazione concreta ...è tutto da definire  e contrastare ....

lunedì 22 novembre 2021

pensare alla Edda  nel terrazzo a santa maria  di Castellabate  è come  una ricerca  del  principio di tutte le cose  per  i Grec del V sec avanti ch.
 

il mio caro angelo

 

lunedì 18 novembre 2019



..volevo cambiare il mondo..Paul Nizan ha scritto una famosa frase: “Avevo vent’anni. Non permetterò più a nessuno di dire che è l’età più bella della vita”. Si fa fatica a non sottoscrivere questa frase e , in generale,la gioventù con il "senno del poi" è una "età" contrassegnata da quella deliziosa " stupidera" che ti permetteva sciocchezze e irresponsabili leggerezze che comunque ti costringevano a crescere e fare nuovi e buoni incontri..poetici,letterari e filosofici.Ci vuole un po di cu… ma spesso la mia diffidenze e curiosità irpina appenninica mi ha aiutato.Da giovane copiavo su un quaderno con copertina nera i pensieri migliori "florilegio" tra il poetico ..letterario ...filosofico e religioso.Montale ad esempio aveva definito la gioventù “l’età più stupida della vita”. Non so se e quanto potrei sottoscrivere questa definizione.Oggi come oggi mi puzza troppo di quella " falsa saggezza " che oggi riscopro in quello che io cerco di evitare in questa mia età " prematura" che io chiamerei "cinismo senile".Oggi mi riconosco nella intrigante saggezza gaddiana e ritengo che "le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l'effetto che dir si voglia d'un unico motivo, d'una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero...."Anche quella di Nizan ci gioca molto nello stesso ambito di ambiguitàCi sono troppe variabili individuali e territoriali . Io stesso mi sono distribuito in varie esperienze con ambiti diversi...fanciullezza irpina medioevale...adolescenza genovese cattomoderna….gioventù veneta sessantottina e maturità (sic!) bresciana filosofica e politichese….nella ruota degli " eterni ritorni nell' eguale".In queste parentesi epocali ho avuto un motivo...un aura molto potente (di cuore, ovvio) per essere, e a lungo, turbato e infelice e cinicamente materialista nei problemi di sessualità: ma posso dire che ero sempre e comunque infelice vincente ? La dichiarazione di Nizan mi sembra giusta almeno nel senso che a quell’età si è molto, molto esposti, e si può essere così facilmente feriti, addirittura umiliati che è ancora peggio….ma con la grande esperienza infantile di un ambiente naturalmente difficile e socialmente competitivo a livello di sopravvivenza.Fin da piccoli " gettati nel mondo" come ha detto Heidegger...abbiamo imparato ad indossare, nel male e nel bene, la corazza, e abbiamo necessariamente rimandata la capacità che distingue l’adulto (e che lo rende così spesso, agli occhi del giovane, detestabile) di non mettersi mai interamente in questione. Forse oggi possiamo sempre con una sopportabile retorica della sopravvivenza dire che il giovane è colui che tende a far tutto come quando si è innamorati. Ma questi e altri che si potrebbero intavolare sono discorsi che al massimo valgono statisticamente, o sono appena variazioni personali sulla questione. Parecchi miei coetanei avevano già la corazza, in genere perché la vita gli aveva rifilato più botte in testa che a me.Ed io complessivamente mi sento fortunato e contento di tutti i cicli della mia esistenza nomade e della mia forma di " perenne immaturità" che mi dà buone speranze per una " bella-buona- giusta" vecchiaia....a rincorrere con la " esperienza paesologica" nel mio piccolo paese e in tutti i paesi dell' appennino appartato italiano...il filo rosso dello " gnuòmmere " della mia vita piccola e grande che sia....

giovedì 25 aprile 2019


domenica 4 settembre 2016

Quando comincia l'inverno...ricomincia il ritorno nei nostri scontenti.. caro....amico Eitan.... mi mancano i tuoi abbracci fragorosi.... ....i morti reincontrano i vivi lasciati sugli altari e sui muri di casa o negli angoli sempre più bui del nostro cuore inquieto ...i libri muti di polvere riprendono a sperare di non finire ingloriosi e arresi sulle bancarelle della Caritas e noi .....rientriamo nella casa-prigione delle città-non -luogo dove il tempo lo scandisce il lavoro nella sua frenesia produttiva .Torniamo a parlare ai nostri spettri personali e segreti di notte sulle mura solitarie della sempre più "marcia Danimarca" e lasciamo agli alberi perdere le foglie sulle colline magiche delle nostre speranze senza paura del ciclo naturale delle cose ..de rerum natura. ....panta rei.... nell'eterno ritorno del diverso negli orizzoni infiniti del mare .... .....restituiamo il silenzio a Trevico ...ce lo ridarà ....non temere...con gli interessi alla primavera che verrà ... e avrà i nostri occhi vivi come " la morte".... ora....conserviamo nel cuore poeta i colori del buio.. la luce diversa di albe e tramonti .....i furori e i tremori dei chiari di bosco. ...il rumore di passi invecchiati nell' amore e il fruscio lento di foglie morte ....in una bella canzone francese. .....la panchina e l'ombra del tiglio della libertà .. un libro abbandonato in cerca di un segreto d' amore.... nei nostri piccoli paesi abbiamo saggi e inoperosi contadini e artigiani della bellezza.... nei nostri piccoli paesi dalla grande vita... uomini antichi e donne silenziose lavorano e aspettano l'assenza... i ritorni ....la lontananza dei suoi figlioli prodighi amanti d'avventure e di obblighi di lavoro ....ogni anno...ritorniamo nelle case di bambole in un universo senz'amore per una necessità imposta nel tempo e nello spazio del ciclo innaturale e civile delle cose .... torniamo vittime di un destino cinico e baro a intrattenere fantasmi che ci aspettano ... nella dolorante solitudine urbana.... .....la malinconia dolorosa fa male ma lascia il mondo come e dove è ....e poi lo riprende in primavera con il desiderio e torniamo a farci guardare dalle crepe sui muri del tempo perduto .. ....in fondo alle crepe ...sai c'è un vento dolce di morte e di passato consumato che soffia leggero e piano a primavera e fa germogliare una primula vagante nel seme ....sui muri scalcinati di fresco ... lasciamo che i morti ci guardino dalle crepe anche all'aperto nei prati e nei boschi... tra i sentieri interrotti da radure sognanti ....la vita in fondo è solo una anomalia della morte .....è una frana...un precipizio...un dirupo ....un terremoto ....un paese che chiude in casa la vita... nella casa in città -non luoghi di ricordi muti attaccati ai muri ....o chiusi nell'armadio e nel cassetto segreto dello scrittoio abbandonato... imbavagliati con la vita tra caotici passaggi sentimentali tra un sesso freddo e varipinte bugie e un bicchiere sempre vuoto bevuto troppo in fretta ...aspettando che finisca l'inverno ....di questo ti parlavo in sogno questa notte ...mio caro amico Eitan.... su quella panchina deserta di Aliano mettevi il dito sulla bocca per avventori distratti e sibilavi il silenzio e....premuroso di affetti e prodigo di carezze alle mie balorde e incomprensibili parole rispondevi con un fragoroso.... ....No No No No ! e mi sorridevi abbracciandomi.... di spalla.... cercando con gli occhi la tua cara Silvia....

venerdì 29 marzo 2019


Ho visto… caro Nanos… che alla tua non tenera età e con tutte le tue complesse e controverse esperienze nelle terre dei bradisismi, vulcanismi e fuochi vari sei ancora colpito dal sentimento di paura degli orchi e dell’uomo nero o del “bau,bau” cattivo come per un bambino. La paura è la cifra connotativa della vostra umanità e della vostra mortalità ed è la fonte di tutta la vostra evoluzione naturale e culturale nel tempo e nello spazio del mondo occidentale che vi è stato assegnato geograficamente in comodato d’uso. Siete vissuti per millenni nello “stato di natura”…..il cosi detto Eden dei cattolici… Uno stato di natura “dove non c’era un potere comunemente temuto”.
Qui gli uomini vivevano “senz’altra sicurezza, se non quella che dà loro la propria forza e la propria sagacia. In tale condizione non v’ha luogo ad industrie, poiché il frutto di esse sarebbe incerto ; e per conseguenza non vi è agricoltura, non navigazione….né v’è conoscenza della superficie terrestre, né del tempo, né delle arti, delle lettere e del vivere sociale ; e , quel che è peggio di tutto, domina il continuo timore e il pericolo di una morte violenta ; e la vita dell’uomo è solitaria, povera, lurida, brutale e corta “ Queste sono la drammatiche considerazioni da cui partiva il grande filosofo T. Hobbes per giustificare come necessario per allontanare il sentimento della “ paura” che intrappolava l’uomo moderno intenzionato a organizzare la “modernità” con le sue gioie e dolori….con le sue croci e delizie!
Che cosa vuoi che sia lo stato e la funzione sociale e culturale di un povero diavolo come “un clown” negli epigoni e tramonto della stessa epoca che doveva essere di “magnifiche sorti e progressive”. Il sentimento e la cognizione dello “stato di paura” sono la vostra ultima ancora di salvezza cognitiva, artistica e politica per uscire dallo stato di minorità in cui vi siete cacciati dopo aver secolarizzato il sacro, irriso la religiosità e rottamato tutte le impalcature metafisiche dentro cui potervi baloccare per “secula seculorum”.
E adesso vi tocca ricominciare daccapo come sempre nella storia della vostra umanità indecisa a tutto! Tornare all’esperienza di paura come “sfida cognitiva e politica” in cui si è trovato il vostro fratello Hobbes ,oggi , è oltremodo difficile .Il suo fu un caso biograficamente drammatico. L’aneddoto di essere nato da un parto prematuro alla notizia dell’arrivo dell’invincibile armata di Filippo II, il 5 aprile 1588, sottolinea che il tema della paura non sarebbe stato solamente un motivo psicologico di peso rilevante della sua vita, ma sarebbe divenuto tema teorico centrale della sua filosofia materialistica dell’uomo e della politica vissuta nel contesto della storia drammatica del proprio tempo, travagliato da contese politiche e religiose gravissime. Per lui – e per voi- queste vicende drammatiche sono addirittura l’esemplificazione convincente di quella situazione di guerra generalizzata e permanente, ”omnium contra omnes”…. di tutti contro tutti, che costituisce lo stato prepolitico e premoderno dell’umanità.
Pensate di vivere oggi in una situazione culturale, sociale e politica meno drammatica e complessa di quella del ‘600? Siete obbligati a tornare al punto “quo ante” e scegliere se essere considerarsi esseri naturali o esseri razionali. Lascia stare tutte le tue fantasie sulla creatività, il sogno, l’immaginazione e lo stato di naturalezza perduta e balle varie. Una volta stabilito che la natura – e quindi anche l’uomo perché organismo naturale – va spiegata partendo dai fenomeni, e non dalle cause…. Hobbes punta alla variazione del metodo che da deduttivo puro, si fa parzialmente induttivo, mentre l’interpretazione materialistico-meccanicistica del reale permane in tutta la sua rigorosa pregnanza. Parlo “latino rum” per le persone semplici come quelli della tua banda clownesca “in interiore homini ”che cercano il “clown disarmato….fanciullino… dentro di voi”.
Qui il nostro “Mast” ….. come dicono a Napoli….ci ha insegnato che “per aspera ad astra” si va sulle stelle per sentieri difficili e faticosi! Cosa che per voi inoperosi e oziosi è ancora più difficile! Dopo aver considerato i fenomeni fisici riguardanti l’universo, la terra, i venti, le maree, ecc., Hobbes passa a esaminare la fisiologia della sensazione, mantenendo invariato il punto di vista e il tipo di spiegazione: la sensazione è prodotta dal moto, che si comunica dall’oggetto esterno al senso e che, proseguendo poi fino al cervello, provoca il costituirsi dell’immagine, non distinguendo l’immagine sensibile dal concetto o dall’idea.
La stessa teoria hobbesiana delle passioni è strettamente legata alla fisiologia meccanicistica : il movimento che nel cervello ha suscitato un’immagine, passa poi, al cuore, ove si incontra con il movimento vitale, cioè il movimento di conservazione del meccanismo umano ; se i due modi concordano si crea un sentimento di piacere, in caso contrario si ha un dolore, e questi sentimenti dopo ripetute esperienze, generano a loro volta sentimenti di appetito o di avversione nei confronti degli oggetti esterni.
Mi raccomando lascia stare tutte le astruserie neuro psicopatologiche che intasano la tua testa! Tutte le passioni si generano attraverso il contrasto o la combinazione di questi sentimenti, riducendo ogni moto dell’animo umano alla comune matrice egoistica della conservazione di sé, che trova nel sentimento della propria potenza la sua garanzia migliore. È chiaro ed evidente che la filo-antropologia hobbesiana, mettendo in evidenza i tratti di una concezione dell’uomo come meccanismo, in cui anche i pensieri e i moti dell’animo si riducono a movimenti di corpi estesi lascia ben poco campo al libero arbitrio, vale a dire alla libertà umana metafisicamente intesa come possibilità della volontà di autodeterminarsi nella scelta e meno che meno alle fanfaluche che confondono la testa dei “sognatori pratici”!
Questo nella modernità all’ultimo stadio della vostra ultima esperienza terrena ma è da molto lontano che dovreste partire per capire il vostro stato di perenne infermità , fragilità e confusione quando nell’ “età dell’oro” del sentire-pensare greco. Avete improvvidamente esorcizzato ed eliminato il senso del “tragico” della vostra vita mentale e fisica relegandolo allo spettacolo pubblico e al nascondimento delle maschere nel teatro.
Ma gli scrittori-poeti tragici comunque vi servivano con semplicità la pappina da cui poter almeno riconoscere il suo senso attraverso racconti semplificati nelle scene. Diventa, oggi, molto difficile per voi post metafisici, postmoderni, postpolitca, postdemocratici…..post razionali ….insomma sempre postumi al tempo che vi è dato vivere…..rintracciare i semi e le radici antropologiche che avete perduto nel corso della vostra storia secolare: la forza dell’Eros con il dionisiaco in conflitto con il senso del tragico con l’apollineo.
Difficile oggi rinvenire nella “sanità” dei Greci l’accoglienza della visione dell’orrore e assurdità dell’esistenza, e l’inclusione dell’oscura ed abissale sapienza tragica nascosta nel mito della volontà di potenza titanico-barbarica… La cosiddetta “salute mentale e corporale” implica tutto questo e si fa carico d’una proprietà guaritrice, che le deriva dal binomio artistico (apollineo-dionisiaco), pura espressione di quella gioia metafisica del tragico, di quella teodicea dell’arte “ nella quale tutto l’esistente è reso divino, non importa se sia buono o cattivo ”.
Ma, c’è una buona notizia, per la vostra categoria “professionale” di portatori di gioia e sorrisi e insieme di “virtude e conoscenza”! Il rappresentante ideale di questa manifestazione artistica, che solo il Greco poteva creare, è il Satiro, un finto essere naturale inserito in un finto stato di natura, la tragedia, dove l’Olimpo degli dei ha trovato verosimilmente dimora. “ Il satiro – scrive Nietzsche…. un umano troppo umano finito per destino nella follia …. coreuta dionisiaco vive in una realtà religiosamente riconosciuta, sotto la sanzione del mito e del culto. Che con lui cominci la tragedia, che in lui parli la saggezza dionisiaca della tragedia, è per noi qui un fenomeno tanto sorprendente quanto lo è generalmente la nascita della tragedia dal coro.
Forse acquisiamo un punto di partenza per la nostra considerazione se pongo l’affermazione che il Satiro, il finto essere naturale, rispetto all’uomo civile sta nello stesso rapporto che la musica dionisiaca alla civiltà. ”Oggi viviamo un epoca in cui le stesse “tragedie possono ripetersi solo in farse” in cui avete a tal punto indebolito il vostro “io” da non sapere più come uscire dalle reti, dalle bottiglie e dai labirinti che vi siete costruiti in nome della vostra completa libertà.
Siete capaci di vivere e raccontare di voi solo in forme espressive e comunicative “in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti, ma ciascuno a suo luogo nelle parti diverse; in forma drammatica e non narrativa; la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni” Terapie senza pallottole….corpi ospedalizzati chimicamente sedotti e sedati. Seduzione e chimica ricetta esplosiva! Non vi resta che piangere …. Pietà e terrore sono sentimenti suscitati e concessi dalla “intrinseca composizione dei fatti” là dove non s’incontra più un personaggio nobile, mitico ed esemplare come Edipo o tragico per onore come Aiace….. che compiono un’azione colpevole inconsapevolmente, che costituisce per entrambi il nodo, ossia gli eventi che si prendono come principio della tragedia sino alla mutazione da uno stato di infelicità ad uno di felicità e viceversa.
Lo scioglimento, invece, è la parte della tragedia che intercorre dall’inizio della mutazione citata sopra fin verso la fine, o catarsi, intesa come reazione emotiva di coloro che, scossi da pietà e terrore, all’ascolto dei canti sacri del coro tragico “si trovano nelle condizioni di chi è stato risanato e purificato”. Niente catarsi e purificazione come esito salutare delle nostre terapie ma anche evitare il piangersi addosso di quest’ umanità prometeica che ha scelto perennemente la rupe per il sadico piacere di farsi mangiare il fegato dall’aquila divina!
Ha scritto Martin Heidegger: «Ogni grande cosa può avere solo un grande inizio. Il suo inizio è sempre la cosa più grande… Tale è la filosofia dei Greci». Parole suggestive, che non solo esprimono un ammirato riconoscimento dello straordinario valore del pensiero antico, ma offrono pure un’indicazione preziosa per chiunque desideri avvicinarsi alla ricerca filosofica, nella crisi e nel tramonto della nostra civiltà occidentale…. un’indicazione che potremmo sintetizzare così: chi vuole capire la filosofia studi innanzitutto e soprattutto il pensiero classico……la paura fa parte essenziale della “tragicità” della vita umana e mortale e può rappresentare un momento importante della vita mentale e fisica di un uomo. Altro problema si presenta sul proscenio della postmodernità e il tema del “fraintendimento” nella comunicazione individuale e sociale. Nella “babele” dei linguaggi, nella rete digitale o network sociali…. il fraintendimento può gettare una luce inattesa sulla natura della percezione. …la percezione del discorso…della comunicazione. Viviamo nel mondo delle percezioni non sempre controllatele percezioni sono spesse esatte pur sé veloci e istantanee nella loro costruzione.
Ciò che ci circonda ….i nostri desideri… esperienze. …aspettative ..consce o inconsce possono condeterminare il fraintendimento per motivi cerebrali nella pratica o nella decodifica fonologia selettiva o immediata . Nel discorso della comunicazione, più che nel linguaggio musicale che aprirebbe un discorso a parte. …il linguaggio verbale deve essere decodificato o interpretato anche attraverso altri sistemi fisiologici del cervello….compresi o oltre quelli che riguardano la memoria semantica ….la grammatica e la sintassi. La comunicazione è aperta….inventiva. .improvvisata…complessa ….ricca di ambiguità e significati. Possiede una libertà espressiva e fonetica che rende la comunicazione infinitamente flessibile e adattabile…. ed esposta e vulnerabile al fraintendimento non necessariamente di tipo auto selettivo.
Freud aveva intuito il senso dei lapsus e fraintendimenti. .. .ma aveva sottovalutato il fatto che i desideri .. le paure. ..i loro motivi…e cause …i conflitti di non sono sempre consapevoli o rimovibili dalla coscienza e spesso non dipendono solo da motivazioni inconsce. …sottovalutando i meccanismi neurali. ..come la natura aperta imprevedibile e personale del linguaggio stesso …di sabotare il significato quando . ..genera fraintendimenti irrilevanti sia per contesto che per motivazioni inconsce. E poi c’è un certo gusto personale per il fraintendimento quando riguardano i nostri interessi ed esperienze personali che ci creano piacere e divertimento nel gioco che non è necessariamente cinismo o misantropo. prendere fischi per fiaschi non sempre e riprovevoli eticamente o filosoficamente o furbizia interessata e strumentale come per il “polùtropos” multiforme Ulisse.
L’angelo Mercuzio, ….il facilitatore!