venerdì 26 novembre 2021





 Sembra che affrontare l'opera di ricerca  filosofica  oggi  porti, quasi inevitabilmente, a sentirsi in dovere di avanzare una serie di giustificazioni preliminari; in effetti, se si scorre l'ormai vasta bibliografia di un qualsiasi autore di riferimento , ci si imbatte in studi che, molto spesso, sono introdotti dall'esigenza di dar conto della loro stessa esistenza, un'esistenza che, a rigore, dovrebbe essere resa impossibile da quello che è il loro oggetto di studio.Pensiamo ad un autore intrigante eprofondo di questo nostro fine-iniziosecolo George Bataille verifichiamo  un problema con cui Bataille stesso si è incessantemente confrontato, basti ricordare i diversi interventi dedicati al non-sapere, o l'introduzione a La parte maledetta, nei quali si afferma che questi non avrebbero mai potuto concretizzarsi nella forma positiva di un dire o di una scrittura se l'autore fosse stato coerente con le teorie che vi vengono esposte e che portano verso la dissipazione di ogni possibile sapere e di ogni sua utilizzabilità. Non potendo quindi sottrarci a quest'obbligo, ci sembra efficace farlo richiamando una delle immagini che ricorrono con maggior frequenza nella scrittura batailleana: quella del labirinto. Il confronto con il pensiero di Bataille ci chiede, in effetti, di inoltrarci in un labirinto dove le continue biforcazioni impongono la scelta di tracciare dei percorsi, ma con la consapevolezza che, nella molteplicità dei tracciati possibili, non esiste quello corretto che ci porti all'uscita. Anzi, ciò verso cui siamo portati è, invece, l'incontro, al cuore del labirinto, con quel mostruoso Minotauro che nel pensiero di Bataille assume, di volta in volta, i nomi sempre sfuggenti di non-sapere, sacro, dépense, sovranità, e così via. Qualsiasi sia dunque la linea di lettura adottata si deve essere sempre consapevoli dell'impossibilità di giungere a produrre un'immagine soddisfacente del pensiero batailleano, qualcosa che possa sembrare ad una soluzione dell'enigma di fronte a cui il labirinto ci pone. Tutto ciò perché è questo stesso pensiero ad essere un pensiero dell'impossibilità dell'uscita. E, anzi, inoltrarsi in un tale percorso labirintico sembra portarci verso la progressiva consumazione dell'idea di una possibile soluzione, dell'esistenza di un fuori che si configuri anche come salvezza o, in termini politici, del pensiero di una rivoluzione come redenzione, visto che proprio il ripensamento del concetto e della pratica della rivoluzione emergerà, dalla nostra lettura, come l'esigenza politica da cui è mosso, dall'inizio alla fine, il pensiero di batailleano.Il filo conduttore che abbiamo adottato in questo nostro percorso sarà costituito dal rapporto di Bataille con le scienze sociali, nella convinzione che sia proprio nel costante confronto con questo ambito di studi, al quale egli riconosce una posizione privilegiata rispetto a tutti gli altri settori del sapere, che si viene a delineare la riflessione, e la pratica, batailleana del soggetto inteso come ciò che si colloca, in un movimento ostinatamente reiterato, sempre sul limite di un rovesciamento delle forme dell'utile, del sapere e del potere nelle quali esso è stato assoggettato dall'immagine che la modernità ne ha prodotto facendone il soggetto dell'economia, del sapere e della politica

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