giovedì 26 giugno 2014

le grandi radici della "paesologia"


Il nuovo anno il nostro viaggio riprenda la strada al ritrovamento degli uomini delle colline e degli appennini e dei piccoli paesi,dopo i nostri “ritorni” provvisori e brevi sui mari che lambiscono le coste del mare nostrum alla ricerca della libertà o delle isole felici….farneticando soltanto su un definitivo abbandono della terra per un viaggio nell’Oceano di un nulla eterno. Nella Gaia scienza, col titolo ‘Nell’orizzonte dell’infinito’ Nietzsche scrive :«Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e trasognamento della bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di più spaventevole dell’infinito. Oh, quel misero uccello che si è sentito libero e urta ora nella pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà – e non esiste più “terra” alcuna!».In questo sogno radicale siamo agli antipodi del ‘nóstos’ mediterraneo di Ulisse , di Enea….di Ercole; il viaggio cui pensa Nietzsche è davvero ‘éxodos’, un salpare senza ritorno nel cuore della crisi di tutto l’occidente europeo incomprensibili, disumano e freddo. D’altra parte, parliamo del filosofo che aveva dedicato una poesia a Cristoforo Colombo. Non più ‘póntos’, questo mare spinge piuttosto a tagliare tutti i ponti, a dimenticare perfino la terra ormai definitivamente alle spalle. La sua esperienza “triste ,solitaria y final” a Napoli e sulle nostre spiagge della magna grecia doveva diventare fatale alla sua “eccitata e affaticata ragione”.Anche ancora hic et nunc…. la nave resta unica e precaria dimora per chi sente d’essersi imbarcato, lasciandosi indietro solo un’incerta scia disegnata sull’acqua.L’immaginaria realtà ci ricorda che ovunque è oceano, smisurata distesa d’acque senza più terre all’orizzonte e lo sguardo è sempre confitto in avanti, nell’incessante avanzamento della prua che batte rotte sconosciute. Infinito è l’oceano, illimitato e senza riconoscibili confini, spazio sterminato e privo di misura, ma, proprio per questo, proprio perché omogeneo e vuoto, straordinariamente disposto ad accogliere le misure che l’uomo vorrà imporgli. Un horror vacui, uno sgomento di fronte al ‘Niente’ potrebbe allora sorprendere questi audaci naviganti, poiché non c’è nulla di più spaventoso che sentirsi scivolare in questa liscia distesa priva di ‘nómos’. Qui, nell’Aperto spalancato dal mare, potrebbe assalire i naviganti il dolore del ritorno, la nostalgia struggente per la terra cui hanno voltato le spalle, dalla quale hanno preso congedo. Ma sarebbe vano cedere a questa estrema, regressiva tentazione, come se la terra potesse ancora garantire con le sue leggi maggiore libertà di quanta non possa invece offrirne, adesso, lo spazio infinitamente libero del mare. Ci si sente in questo stato di precaria nullità e immobilismo in questa crisi epocale economica,finanziaria ,storica e culturale in cui siamo bandalzosamente imbarcati sospinti dai demoni del capitalismo dopo aver offeso e vituperato in noi stessi i demoni della utopia, dei sogni e delle speranze ….. nella storia effettuale e gli orrori del totalitarismo egualitario e elitario. Siamo impauriti ,smarriti e immobilizzati dalla convinzione di un impossibile tornare indietro a quella terra, sommersa dall’onda oceanica che investe ormai ogni dove. Essa, come l’oceano, è ormai soggetta ad una “dislocazione”, ad una delocalizzazione e ad una deterritorializzazione che non consente più radicamento e dimora o desiderio di un possibile ‘nuovo inizio o nuova nascita’ per continuare le piccole storie anche inutili e provvisorie. Come tornare a quella terra, come tornare a quel mare mediterraneo che la lambiva, se tutto ormai appare uniformarsi alla tabula rasa di una infinita distesa oceanica? Anche il nostro viaggio immaginario,onirico e reale a Cairano, a Nusco, a Bisaccia, a L’Aquilonia, a Rocca lo decliniamo al passato prossimo nel vocabolario della nostalgia e del ricordo. Riconoscendo ancora che esso corrispondeva e corrisponde al nostro “costume” irpino di “ umanità precaria delle montagne” provvisoria e terrestre anche quando sogna..Ricominciare dal piccole dal basso con sguardo acuto e verticale da collina….. Niente “Colonne d’ercole” , paradisi ed utopie ma un inizio di viaggio periferico, quotidiano,fragile e provvisorio alla ricerca non dei paradisi perduti profani o del Santo Graal divino ma “la grande vita nascosta nei piccoli paesi” delle nostre belle colline che muta di senso,di colori, di misteri, di storie e di espressione ogni giorno sempre ….nella forza della fragilità e nella sicurezza della provvisorietà. Il paese è il luogo del suo farsi male e più prova a scappare più lo agguanta. Qui la sua vita è sempre stata questa, una vibrante vita mesta”.F.Arminio, Circo dell’ipocondria. Con il pessimismo critico di Leopardi e con le sue domande realistiche “ …..Forse s'avess'io l'ale/Da volar su le nubi,/E noverar le stelle ad una ad una,/O come il tuono errar di giogo in giogo,/Più felice sarei”.Sapendo che …..al risveglio da sogni burrascosi, di amarezza e di avventure , belle o brutte , possiamo riprendiamo comunque il cammino tra le piccole cose che sono anche lavoro,vita, poesia e bellezza. mercuzio

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