Tra esperienza mistica di Erri De Luca e la vita “paesologica” di Franco Arminio
Una lotta tra la terra che vuole smettere di attrarci nel vivere e il cielo che inizia nel miraggio del pensare. Tra il finito pensato e l’infinito sognato. Un infinito che avvolgendoti come vento ti arruffa i capelli…libera con le vertigini dell’altura la tua mente da tutte le zavorre e le polvere sottili della pianura evitando il rito mistico del girotondo dei dervisci. Sulle rupi e le vetti ti metti in ascolto del vento d’altura che allontana gli schiamazzi del mondo. Non si pensa all’origine del vento ma al suo suono che non è deviante come le sirene di Ulisse.Uno che va per i monti è un solitario,ascetico.mistico, uno che va per città è un vagabondo,un turista, un borderline,un emarginato…. uno che va per paesi è un viandante o pastore che vede lontano e in profondità perché non ha una meta ma un cammino da percorrere in avanti e all’indietro come gli animali selvatici che fiutano e percepiscono segni remoti e nascosti ai più. Il mistico cammina con la sua solitudine per lasciarsi alle spalle rumori di fondo e la babele dei non-luoghi. E a quelli che gli chiedono cosa aveva visto sulla vetta e sulla rupe risponde di aver sentito e pesato un senso di spaesamento e che non aveva parole per rispondere e usava le parole della poesia : un vuoto senza ali,una luce che si infiltra nel vento,la felicità di guadagnarsi il sole, un silenzio che si fa sinfonia, un ascolto dilatato del proprio cuore,un risentire il varco doloroso materno verso la luce della smemoratezza nel tuffo e nel vuoto della vita umana, e l’appoggiarsi delicatamente al bordo della rupe non per sperimentare il vuoto o il nulla ma per sentire dove finisce il mondo e comincia il tempo, sentire la tristezza dolorante e dolorosamente umana del getsemani dell’anima turbata dalla speranza per la resurrezione del corpo, il ricordo e la ricerca che lo stordivano, il cielo stellato sopra di noi che perdeva pezzetti di comete e non ti invogliava a cercare leggi morali dentro di te ma amare la solitudine spaziosa che non ti spaura ma alimenta la tua curiosa fantasia , il non andare a verificare se la terra smette e comincia il cielo o per riportare il cielo in terra, ma ad imparare a desiderare e apprezzare di abitare e vivere il dono della terra,lo sperimentare il precipizio nel vuoto che ci ricorda la solidità terrena della memoria, il vivere come la messa a fuoco tra la salita all’infinito e la discesa al finito senza fine di continuità. La discesa nel mondo dei “piccoli paesi dalla grande vita” non è la triste e forzata discesa tra gli uomini della esperienza solitaria di Zaratustra . Ciò che ognuno di noi ha vissuto, sentito,visto e pensato sulla rupe l’abbiamo chiamata “paesologia” come presupposto della ascesa mistica ma senza il miraggio della divinità . Paesologico è praticare la poesia che sa parlare della forza che hanno le stelle quando esplodono, le assurdità che passano per il mondo, il marciapiede su cui camminiamo, la sedia su cui stavamo seduti a cinque anni,il letto su cui dormiamo.,distinguere le emozioni delicatissime dalla vacua logorrea di calibratissmi congegni letterari e semplici eruzioni egotiche, evitare gli ipocriti, gli animali a sangue freddo, coccodrilli mummificati che all’improvviso si sciolgono e spalancano le loro fauci, gli estremisti parolai e moderati, il non farsi affliggere più di tanto dagli eroi dei luoghi comuni e della conservazione , il vivere la disponibilità di spazio e di terra sterilizzando i luoghi anche dalla puzza delle automobili, sapendo che siamo noi la cosa che manca e non risponde all’appello e alla sollecitazione,l’ imparare ad accudire con fervore e generosità il mondo e il luogo che ci ospita, mettersi al capezzale dei piccoli paesi , paesi della mancanza e del vento che scompiglia ed agita,il diffidare delle parole ma anche volergli bene per non farle assomigliare ad una truffa,lo smascherare i devoti del conformismo, i luminari dell’ipocrisia, i professionisti del calcolo costi/benefici,l’andare fuori a prendere aria e cercare instancabilmente spiragli,crepe e fessura come via di fuga per una esperienza autentica,l’ educarci agli sguardi lunghi e alle passioni e sentimenti caldi,lo scegliere di lasciare dietro di noi i miraggi e le distorsioni della modernità nella nostra risalita sul meteorita che guarda simbolicamente tutta l’Irpinia per far germogliare pensieri intorno all’altura degli appennini come luogo di transito che allontanano tutte le visioni statiche e separatiste, il vivere la penuria e la lentezza come occasione per guardarsi intorno e per guardarsi dentro, il fantasticare e immaginare un museo dell’aria senza arredi e custodi, senza cartelli segnaletici o guide sulla nuca del meteorita che spunta nella valle dell’Ofanto,tra il Formicoso e la Sella di Conza, anche nell’equivoco di chi vuole pensare a un Dio come l’aria e non come lògos, un Dio ha tanti fedeli inconsapevoli e tante chiese, una per ogni polmone, per ogni acquasantiera del respiro. Questo una volta il viaggio esistenziale verso Cairano 7X che si è voluto dividere nel tempo e nello spazio non nello spirito del sogno tra ascesi mistica e esperienza ‘paesologica’.
Mauro orlando
Una lotta tra la terra che vuole smettere di attrarci nel vivere e il cielo che inizia nel miraggio del pensare. Tra il finito pensato e l’infinito sognato. Un infinito che avvolgendoti come vento ti arruffa i capelli…libera con le vertigini dell’altura la tua mente da tutte le zavorre e le polvere sottili della pianura evitando il rito mistico del girotondo dei dervisci. Sulle rupi e le vetti ti metti in ascolto del vento d’altura che allontana gli schiamazzi del mondo. Non si pensa all’origine del vento ma al suo suono che non è deviante come le sirene di Ulisse.Uno che va per i monti è un solitario,ascetico.mistico, uno che va per città è un vagabondo,un turista, un borderline,un emarginato…. uno che va per paesi è un viandante o pastore che vede lontano e in profondità perché non ha una meta ma un cammino da percorrere in avanti e all’indietro come gli animali selvatici che fiutano e percepiscono segni remoti e nascosti ai più. Il mistico cammina con la sua solitudine per lasciarsi alle spalle rumori di fondo e la babele dei non-luoghi. E a quelli che gli chiedono cosa aveva visto sulla vetta e sulla rupe risponde di aver sentito e pesato un senso di spaesamento e che non aveva parole per rispondere e usava le parole della poesia : un vuoto senza ali,una luce che si infiltra nel vento,la felicità di guadagnarsi il sole, un silenzio che si fa sinfonia, un ascolto dilatato del proprio cuore,un risentire il varco doloroso materno verso la luce della smemoratezza nel tuffo e nel vuoto della vita umana, e l’appoggiarsi delicatamente al bordo della rupe non per sperimentare il vuoto o il nulla ma per sentire dove finisce il mondo e comincia il tempo, sentire la tristezza dolorante e dolorosamente umana del getsemani dell’anima turbata dalla speranza per la resurrezione del corpo, il ricordo e la ricerca che lo stordivano, il cielo stellato sopra di noi che perdeva pezzetti di comete e non ti invogliava a cercare leggi morali dentro di te ma amare la solitudine spaziosa che non ti spaura ma alimenta la tua curiosa fantasia , il non andare a verificare se la terra smette e comincia il cielo o per riportare il cielo in terra, ma ad imparare a desiderare e apprezzare di abitare e vivere il dono della terra,lo sperimentare il precipizio nel vuoto che ci ricorda la solidità terrena della memoria, il vivere come la messa a fuoco tra la salita all’infinito e la discesa al finito senza fine di continuità. La discesa nel mondo dei “piccoli paesi dalla grande vita” non è la triste e forzata discesa tra gli uomini della esperienza solitaria di Zaratustra . Ciò che ognuno di noi ha vissuto, sentito,visto e pensato sulla rupe l’abbiamo chiamata “paesologia” come presupposto della ascesa mistica ma senza il miraggio della divinità . Paesologico è praticare la poesia che sa parlare della forza che hanno le stelle quando esplodono, le assurdità che passano per il mondo, il marciapiede su cui camminiamo, la sedia su cui stavamo seduti a cinque anni,il letto su cui dormiamo.,distinguere le emozioni delicatissime dalla vacua logorrea di calibratissmi congegni letterari e semplici eruzioni egotiche, evitare gli ipocriti, gli animali a sangue freddo, coccodrilli mummificati che all’improvviso si sciolgono e spalancano le loro fauci, gli estremisti parolai e moderati, il non farsi affliggere più di tanto dagli eroi dei luoghi comuni e della conservazione , il vivere la disponibilità di spazio e di terra sterilizzando i luoghi anche dalla puzza delle automobili, sapendo che siamo noi la cosa che manca e non risponde all’appello e alla sollecitazione,l’ imparare ad accudire con fervore e generosità il mondo e il luogo che ci ospita, mettersi al capezzale dei piccoli paesi , paesi della mancanza e del vento che scompiglia ed agita,il diffidare delle parole ma anche volergli bene per non farle assomigliare ad una truffa,lo smascherare i devoti del conformismo, i luminari dell’ipocrisia, i professionisti del calcolo costi/benefici,l’andare fuori a prendere aria e cercare instancabilmente spiragli,crepe e fessura come via di fuga per una esperienza autentica,l’ educarci agli sguardi lunghi e alle passioni e sentimenti caldi,lo scegliere di lasciare dietro di noi i miraggi e le distorsioni della modernità nella nostra risalita sul meteorita che guarda simbolicamente tutta l’Irpinia per far germogliare pensieri intorno all’altura degli appennini come luogo di transito che allontanano tutte le visioni statiche e separatiste, il vivere la penuria e la lentezza come occasione per guardarsi intorno e per guardarsi dentro, il fantasticare e immaginare un museo dell’aria senza arredi e custodi, senza cartelli segnaletici o guide sulla nuca del meteorita che spunta nella valle dell’Ofanto,tra il Formicoso e la Sella di Conza, anche nell’equivoco di chi vuole pensare a un Dio come l’aria e non come lògos, un Dio ha tanti fedeli inconsapevoli e tante chiese, una per ogni polmone, per ogni acquasantiera del respiro. Questo una volta il viaggio esistenziale verso Cairano 7X che si è voluto dividere nel tempo e nello spazio non nello spirito del sogno tra ascesi mistica e esperienza ‘paesologica’.
Mauro orlando
Nessun commento:
Posta un commento