CANTO NOTTURNO DI UN POETA ERRANTE
Ho sempre lo spavento,
il pensiero perenne che si muore.
Davvero altro non sento
se non questo tremore:
io vivo sulla punta del mio cuore.(F. Arminio)
di mauro orlando
La filosofia “sophia” da sempre è quella pratica di pensiero
che tende alla “universalità”….come ispirazione,vocazione,missione…professione.La
poesia “poiesis” è quella pratica di pensiero che ricerca i suoni, i colori,
gli odori delle cose che si sono perdute
col tempo. ”Dono dei vincoli “ la
filosofia …nel senso che il “logos”
dall’inizio dei tempi produce vincoli, ha vocazione di ordinare il
molteplice secondo “nomos-legge” e rapporti “ethoi” indefinibili e provvisori con il mondo delle cose e degli uomini . Il
molteplice…”polloi-molti”….diversi o contrari…sente la necessità di ritrovarsi in “un ordine” anche a livello di percezioni, intuizioni, visioni,
misteri con la “poiesis”. Gli atti percettivi non sono atti del pensare solo estemporaneo , caotico,
disordinato ,occasionale, provvisorio ma parti di strutture immanenti della realtà stessa non legati al caso o all’occasione o al sentimento e alle
passioni .Esse stesse sono strutture
particolari comunque di ordine noetico. La percezione ad esempio si
presenta comunque sotto l’ “ordine” di versi , strofe, parole
ispirate, particolari nella forma della “poesia”. Una esigenza “sintetica” delle forme della sensibilità…”spazio e
tempo” (Kant) di ordinarsi secondo forme apriori trascendentali non è solo una
esigenza di un ordine strutturato
,logico ed ontologico….comunque “a priori”. E’ una esigenza di “pensiero
poetante” da non disperdere nelle nebulosità dei sogni e dei desideri. Noi
apparteniamo a questa tradizione del
sentire, pensare ed agire che parte dalle origini-archè nella “sacra Grecia” alla ricerca dell’”arkè panton” …principio di tutte le
cose nel mondo delle sensibilità naturali
fino all’idealismo classico
dell’ottocento come fenomenologia
scalata della vetta invalicabile dello
Siprito assoluto e invalicata….come inizio di discesa e del crollo della “grande crisi” della filosofia stessa stressata nella sua presunzione ed esigenza
di uno statuto metodologico, ontologico e metafisico. Una “crisi” non
episodica…non evolutiva e di crescita.
La filosofia e l’occidente senza più “forza propulsiva” e capacità di
pensare e soprattutto vivere il mondo in
tutte le sue complesse articolazioni tecniche e
retoriche. Non una “parentesi” come la definiva il Croce con una visione
miope ingabbiata nel labirinto logico formale
del suo storicismo idealistico da fiato corto tutto italiano. Una
rottura nella filosofia dopo Hegel si può rappresentare non “in commedia” con
atteggiamenti scettici o relativistici ma in una vera e propria “tragedia” dell’Occidente tout court.. Neanche si può indulgere a
richiamarsi all’ “idealismo eroico” o
all’idealismo democrati co di De Sanctis in alternatica aquello conservatore di
Croce .Dopo l’accentuazione della crisi
dopo la prima metà del “secolo breve” ma ricco di “fatti e misfatti”
anche filosofici… “Nessun Dio ci può salvare” e si sente la necessità di “naufragare esteticamente e
dolcemente in questo mare “.Dopo aver
consumato nelle ideologie totalitarie tutte le esigenze di “speranze ed utopie”
oggi ritorna il bisogno tutto nuovo di
un “Mosè” che risalga con spirito
concreto al monte Sinai non solo per contestare le forme del “sistema” come
hanno fatto Kirkegaard o Adorno uno in cerca del “singolo” l’altro con
l’assertivo “tutto è falso”.Una nuova forma di profetismo per non finire nei “buchi neri” dei pionieri del “nihilismo sistematico ” con
un aiuto consapevole o non a far
avanzare il deserto nella pratice
e nel pensiero della vita stessa .E le soluzioni non venivano neanche dallo scientismo
positivista o il ritorno nel caldo
abbraccio dello storicismo. La filosofia dopo la sua “crisi epocale ” andava
rifondata paradossalmente ancora come
“sistema” non più dottrinale, ideologico ma sistema di vita che ritrova le sue
essenze e non si attarda sulle sue
esistenze individuali depressive .Una fondazione come procedura filosofica
indipendente da ogni presupposto o principio eteronomo ma con
un “fondamento” autonomo , ritrovato in sé stessa .Un sapere di essenze universali che costituiscono il significato ideale di tutti i fatti e le esperienze individuali,
essenze che nascono dagli atti e dai
fatti, di percezioni individuali, intuitivamente evidenti, incontrovertibili
nella loro esperienzialità. Una ”Evidenza” che non rinnega ma che si sente orgogliosa di essere parte
della famiglia classica che va da
Paltone a Cartesio. Ripartire quindi dalla “filosofia” stessa senza le semplificazioni,
e gli accomodamenti di un modernariato
filosofico “prete a porter” .Una filosofia in pantofole, nei salotti buoni con vestaglie di seta e un buon wiski. E una
“riduzione” che non mette in dubbio o sospetta
della obbiettività naturale del mondo ma cessa di valere come momento essenziale dello stesso pensiero.
Una messa a tacere non solo della
“realtà esterna” ma anche di tutto il
variegato mondo della “realtà interiore”.Assieme: oggettivismo e psicologismo come nuove forme del “trascendente” come “atto del pensare che va oltre ogni
determinato ambito delle esperienze
individuali e comunitarie nella loro stessa immanenza. Come al solito un
ossimoro può servire : “una trascendenza dell’immanenza”. Cioè la capacità di ritrovare in un “io”…trascendentale la sua
fenomenologia come sapere che nasce
solo dell’esperienza. Questa è la nuova forma di sapere che sappia
riconiugare il trascendentale di un “io”
storicamente determinato nelle possibili
esperienze provvisorie della sua “vita activa” teoreticamente determinata.
Dalla “grande crisi” epocale
e non locale si esce non solo
costatando la fine delle “filosofie
determinate” caratterizzate da suffisssi
dei “post e degli ismi”. Ritrovare un
sapere che scopre i momenti della pura coscienza essenziale non
superficiale nella “intenzionalità
activa” che non si rivolga alla “cosa o alle persone” per salvarle, ammirarle
ed amarle per lo loro bella empiricità ma per riscoprire il gusto eil senso di
ritrovare la sua “eideticità”essenza…che ama nascondersi nel profondo delle parole e della
realtà naturale ed umana .Ritornare ad un visione eidetica che è della “poiesis”
attraverso le intuizioni percettive che scandaglia il profondo delle cose e degli
uomini ..Una percezione che non commette
l’errore del “logos” di tendere
al “compimento” della ontologia o delle
metafisica …ma conservi come “fuoco vitale” il
compito infinito ed eterno di
“vedere” la cosa secondo la sua
essenza (visione eidetica).Apertura ad
uno sguardo e un campo visivo potenzialmente infinito ed eterno. Gli “eidai”
che non si fanno “idee” da relegare in un “mondo” olterumano ma che
si nascondono nei buchi, nelle
frane, nei dirupi, nei solchi, nelle crepe …della terra come forme essenziali
di visioni che fondano tutte le ragioni di una esperienza .Un progresso
infinito e razionalmente ordinato del
sapere anche arreso ma che si ripropone come opera di sistemazione del
sapere stesso in tutti campi fatto ad
immagine ed uso dell’uomo stesso. Una
reazione non solo risposta alla epocalità della “crisi” che ci obbliga nelle nostre esperienze sul campo ad
una ripresa del senso autentico di “sophia” come curiosità e ricerca con termini e parole radicale privi di ogni
pallido sentore di compromesso al luogo comune popolare e inautentico . In
medio non stat virtus ….l’intuizione, la percezione,la visione di essenze…le riduzioni eidetiche sono i segnavie del nuovo cammino. Un logos
non avalutativo e neanche creatore di
gerarchie di valori che si trasformano in potere dell’uomo sull’uomo per
capacità economiche e politiche .Essere però capacità di accettare, di
vivere e risolvere una “nuova
contraddizione tra valori universali e
valori operativi come “sfida cognitiva e
politica” . Riportare “sophia” nel tumulto della vita in un nuovo ordine
intellegibile di libertà con la sua “sorella….poièsis”. Costringere insomma la filosofia a prendere in considerazione la
filosofia stessa come bellezza e la poesia
a non farsi ingabbiare nelle forme piacevoli di un estetismo volgare
del “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”. “Il
mondo-della-vita, scriveva Husserl in riferimento alla “crisi”, che comprende in sé tutte le formazioni
pratiche, è immerso nella costante evoluzione della relatività ed è in costante
riferimento alla soggettività. Ma per quanto evolva e per quanto continuamente
si rettifichi, esso mantiene la sua tipologia essenziale, a cui rimangono
legate la vita e tutte le scienze, di cui essa è “terreno”. Perciò esso ha
anche un’ontologia che deve essere attinta soltanto in una pura evidenza”.
Difficile da capire nella sua essenzialità
ma ….vero.
“Sophia e poiesis” sorelle diverse sono insieme e un cammino …viandanti che non hanno destinazioni se non come sapere
che è destinato a qualcuno, qualcuno a cui rivolgersi attraverso “i
sentieri interrotti” accogliendo “i segnavie” come doni…e riposandosi nelle
“radure “ delle comunità provvisorie per dialoghi di riconoscimento e di
reciprocità. Il filosofo e il poeta
devono forse venire dalle solitudini
della montagna, ma poi devo scendere in pianura, a parlare fra la gente.
Percepire, sentire , intuire in solitudine …pensare.. ideare e comunicare in comune con la destinazione che in questo senso impone certamente degli
obblighi: impone una presa di posizione che si precisa come un richiamo alla
linearità di “sophia” che deve infine
prevalere sulle tortuosità e i tormenti del pensiero di “poiesi”, un richiamo
al filo di Arianna il cui ricordo deve prevalere sull’apologia del labirinto.
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