martedì 4 dicembre 2018


CANTO NOTTURNO DI UN POETA ERRANTE
Ho sempre lo spavento,
il pensiero perenne che si muore.
Davvero altro non sento
se non questo tremore:
io vivo sulla punta del mio cuore.(F. Arminio)

di mauro orlando

La filosofia “sophia” da sempre è quella pratica di pensiero che tende alla “universalità”….come ispirazione,vocazione,missione…professione.La poesia “poiesis” è quella pratica di pensiero che ricerca i suoni, i colori, gli odori delle cose  che si sono perdute col tempo.  ”Dono dei vincoli “ la filosofia …nel senso che il “logos”  dall’inizio dei tempi produce vincoli, ha vocazione di ordinare il molteplice secondo “nomos-legge” e rapporti  “ethoi” indefinibili e provvisori  con il mondo delle cose e degli uomini . Il molteplice…”polloi-molti”….diversi o contrari…sente la necessità  di ritrovarsi in “un ordine” anche  a livello di percezioni, intuizioni, visioni, misteri con la “poiesis”. Gli atti percettivi non sono  atti del pensare solo estemporaneo , caotico, disordinato ,occasionale, provvisorio ma parti di strutture immanenti  della realtà stessa  non legati al caso  o all’occasione o al sentimento e alle passioni .Esse stesse  sono strutture particolari comunque di ordine noetico. La percezione ad esempio si presenta  comunque sotto  l’ “ordine” di versi , strofe, parole ispirate, particolari nella forma della “poesia”. Una esigenza “sintetica”  delle forme della sensibilità…”spazio e tempo” (Kant) di ordinarsi secondo forme apriori trascendentali non è solo una esigenza  di un ordine strutturato ,logico ed ontologico….comunque “a priori”. E’ una esigenza di “pensiero poetante” da non disperdere nelle nebulosità dei sogni e dei desideri. Noi apparteniamo  a questa tradizione del sentire, pensare ed  agire  che parte  dalle origini-archè  nella “sacra Grecia” alla ricerca  dell’”arkè panton” …principio di tutte le cose nel mondo delle sensibilità naturali   fino all’idealismo classico dell’ottocento  come fenomenologia scalata  della vetta invalicabile dello Siprito  assoluto  e  invalicata….come  inizio di discesa  e   del crollo  della “grande crisi” della filosofia  stessa stressata  nella sua presunzione ed  esigenza  di uno statuto metodologico, ontologico e metafisico. Una “crisi” non episodica…non evolutiva  e di crescita. La filosofia  e l’occidente  senza più “forza propulsiva” e capacità di pensare e soprattutto  vivere il mondo in tutte le sue complesse articolazioni tecniche e  retoriche. Non una “parentesi” come la definiva il Croce con una visione miope ingabbiata nel labirinto logico formale  del suo storicismo idealistico da fiato corto tutto italiano. Una rottura  nella filosofia dopo Hegel    si può rappresentare non “in commedia” con atteggiamenti scettici o relativistici ma in una vera  e propria “tragedia” dell’Occidente  tout court.. Neanche si può indulgere a richiamarsi all’  “idealismo eroico” o all’idealismo democrati co di De Sanctis in alternatica aquello conservatore di Croce .Dopo l’accentuazione della crisi  dopo la prima metà del “secolo breve” ma ricco di “fatti e misfatti” anche filosofici… “Nessun Dio ci può salvare” e si sente la necessità  di “naufragare esteticamente e dolcemente   in questo mare “.Dopo aver consumato  nelle ideologie totalitarie  tutte le esigenze di “speranze ed utopie” oggi ritorna il bisogno tutto nuovo   di un  “Mosè” che risalga con spirito concreto al monte Sinai non solo per contestare le forme del “sistema” come hanno fatto  Kirkegaard o Adorno  uno in cerca del “singolo” l’altro con l’assertivo “tutto è falso”.Una nuova forma di profetismo  per non finire nei “buchi neri”  dei pionieri del “nihilismo sistematico ” con un aiuto consapevole o non a far  avanzare  il deserto nella pratice e nel pensiero della vita stessa .E le soluzioni  non venivano neanche dallo scientismo positivista o il ritorno  nel caldo abbraccio dello storicismo. La filosofia dopo la sua “crisi epocale ” andava rifondata paradossalmente ancora  come “sistema” non più dottrinale, ideologico   ma sistema di vita che ritrova le sue essenze  e non si attarda sulle sue esistenze individuali depressive .Una fondazione come procedura  filosofica  indipendente da ogni presupposto o principio eteronomo  ma  con un “fondamento” autonomo , ritrovato in sé stessa .Un sapere  di essenze universali  che costituiscono il significato ideale  di tutti i fatti e le esperienze individuali, essenze che nascono  dagli atti e dai fatti, di percezioni individuali, intuitivamente evidenti, incontrovertibili nella loro esperienzialità. Una ”Evidenza” che non rinnega  ma che si sente orgogliosa di essere parte della famiglia classica  che va da Paltone a Cartesio. Ripartire quindi dalla “filosofia” stessa senza le semplificazioni,  e gli accomodamenti di un modernariato filosofico “prete a porter” .Una filosofia in pantofole, nei salotti buoni  con vestaglie di seta e un buon wiski. E una “riduzione” che non mette in dubbio o sospetta  della obbiettività naturale del mondo ma cessa di valere  come momento essenziale dello stesso pensiero. Una messa a tacere  non solo della “realtà esterna” ma anche  di tutto il variegato mondo della “realtà interiore”.Assieme: oggettivismo e psicologismo  come nuove forme  del “trascendente”  come “atto del pensare che va oltre ogni determinato ambito delle esperienze  individuali e comunitarie nella loro stessa immanenza. Come al solito un ossimoro può servire : “una trascendenza dell’immanenza”. Cioè la capacità di  ritrovare in un “io”…trascendentale la sua fenomenologia  come sapere  che nasce  solo dell’esperienza. Questa è la nuova forma di sapere che sappia riconiugare il trascendentale  di un “io” storicamente determinato  nelle possibili esperienze provvisorie della sua “vita activa” teoreticamente determinata.
Dalla “grande crisi” epocale  e non locale  si esce non solo costatando  la fine delle “filosofie determinate”  caratterizzate da suffisssi  dei “post e degli ismi”. Ritrovare un sapere  che scopre  i momenti della pura coscienza essenziale non superficiale  nella “intenzionalità activa” che non si rivolga alla “cosa o alle persone” per salvarle, ammirarle ed amarle  per lo loro bella  empiricità ma per riscoprire  il gusto eil senso  di  ritrovare la sua “eideticità”essenza…che ama  nascondersi nel profondo delle parole e della realtà naturale ed umana .Ritornare ad  un visione eidetica che è della “poiesis” attraverso le intuizioni  percettive  che scandaglia il profondo delle cose e degli uomini ..Una percezione  che non commette l’errore  del “logos”  di  tendere  al “compimento” della ontologia o delle metafisica …ma conservi come “fuoco vitale” il  compito infinito ed eterno  di “vedere” la cosa  secondo la sua essenza  (visione eidetica).Apertura ad uno sguardo e un campo visivo potenzialmente infinito ed eterno. Gli “eidai” che non si fanno “idee” da relegare in un “mondo” olterumano  ma che  si nascondono  nei buchi, nelle frane, nei dirupi, nei solchi, nelle crepe …della terra come forme essenziali di visioni che fondano tutte le ragioni di una esperienza .Un progresso infinito  e razionalmente ordinato del sapere  anche arreso ma che  si ripropone come opera di sistemazione del sapere stesso  in tutti campi fatto ad immagine ed uso dell’uomo stesso.  Una reazione non solo risposta alla epocalità della “crisi” che ci  obbliga nelle nostre esperienze sul campo ad una ripresa del senso autentico di “sophia” come curiosità e ricerca  con termini e parole radicale privi di ogni pallido sentore di compromesso al luogo comune popolare e inautentico . In medio non stat virtus ….l’intuizione, la percezione,la  visione di essenze…le riduzioni eidetiche  sono i segnavie del nuovo cammino. Un logos non avalutativo e neanche  creatore di gerarchie di valori che si trasformano in potere dell’uomo sull’uomo per capacità economiche e politiche .Essere però capacità di accettare, di vivere  e risolvere una “nuova contraddizione tra valori universali  e valori operativi  come “sfida cognitiva e politica” . Riportare “sophia” nel tumulto della vita in un nuovo ordine intellegibile di libertà con la sua “sorella….poièsis”. Costringere insomma  la filosofia a prendere in considerazione la filosofia stessa  come bellezza  e la poesia  a non farsi ingabbiare nelle forme piacevoli di un estetismo  volgare  del “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”. “Il mondo-della-vita, scriveva Husserl in riferimento alla “crisi”,  che comprende in sé tutte le formazioni pratiche, è immerso nella costante evoluzione della relatività ed è in costante riferimento alla soggettività. Ma per quanto evolva e per quanto continuamente si rettifichi, esso mantiene la sua tipologia essenziale, a cui rimangono legate la vita e tutte le scienze, di cui essa è “terreno”. Perciò esso ha anche un’ontologia che deve essere attinta soltanto in una pura evidenza”. Difficile da capire nella sua essenzialità  ma ….vero.
“Sophia e poiesis” sorelle diverse sono insieme  e un cammino …viandanti  che non hanno destinazioni se non come  sapere  che è destinato a qualcuno, qualcuno a cui rivolgersi attraverso “i sentieri interrotti” accogliendo “i segnavie” come doni…e riposandosi nelle “radure “ delle comunità provvisorie per dialoghi di riconoscimento e di reciprocità. Il filosofo e il poeta  devono  forse venire dalle solitudini della montagna, ma poi devo scendere in pianura, a parlare fra la gente. Percepire, sentire , intuire in solitudine …pensare.. ideare e comunicare  in comune con la   destinazione che  in questo senso impone certamente degli obblighi: impone una presa di posizione che si precisa come un richiamo alla linearità di “sophia”  che deve infine prevalere sulle tortuosità e i tormenti del pensiero di “poiesi”, un richiamo al filo di Arianna il cui ricordo deve prevalere sull’apologia del labirinto.


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