domenica 14 gennaio 2018


Il filosofo come "dono": l'esempio di Socrate 

di mauro orlando

 Il "dono" e l'"atto di donare", nella loro comune e banale ricorrenza, attraversano i Dialoghi di Platone in molteplici luoghi , disegnando un panorama che merita di essere analizzato con cura.Per ora prendiamo in considerazione solo alcuni passi, a partire da quella che, nell'economia narrativa dell'opera platonica, può essere ben definita la "scena originaria" della filosofia. Si tratta del "processo a Socrate" raccontato nell'Apologia. Nel corso di questo testo che, com'è noto, racchiude l'appassionata autodifesa del filosofo nei confronti dell'accusa di non venerare gli dèi della città e di corrompere l'educazione dei giovani (l'accusa - lo sappiamo - avrà successo e questo processo si concluderà con una condanna) Socrate, verso la fine del discorso che precede la prima votazione dei giudici (le votazioni saranno due) rivendica il suo ruolo e afferma di essere il "dono del dio"(dòsis toù theoù) alla città di Atene e alla comunità di appartenenza. Ciò che il dio dona è il filosofo e la sua incessante attività critica descritta, nelle pagine del dialogo platonico, con la celeberrima immagine del tafano che pungola i fianchi della città. Questa attività critica - Socrate lo diceva all'inizio della sua autodifesa - consiste nient'altro che nel "dire la verità"....senza se e semza ma ...si direbbe oggi . La vocazione del filosofo, il dono del dio alla città, è il "dire la verità alla città". Il filosofo, cioè, non è soltanto colui che cerca la verità - un analitico della verità, diremmo, come il sapiente presocratico o lo scienziato moderno -, ma è colui che trasforma questa ricerca e i suoi risultati in un'azione, in un'incalzante opera di verità offerta agli altri, in una provocazione degli altri. Il dono del dio è, quindi, la funzione critica della verità. Questa non è soltanto un dono nella prospettiva della sua origine (il dono del dio), ma ha anche la caratteristica di gratuità del dono "in actu exercito", ovvero nella dedizione con cui Socrate si prodiga nell'opera di verità. Socrate trascura tutti i suoi affari e, lo stanno vedendo i cittadini di Atene, rischia persino la sua stessa vita in nome della vocazione critica a cui è stato chiamato. La funzione critica della verità è, dunque, un atto disinteressato, che non si sottopone al registro dell'avere e del possesso. Le pratiche di verità di Socrate sono il suo "stile di vita" modellato secondo la verità scoperta non una volta per tutte e da donare agli altri.la ricerca della verità è un modo di guardare, intelligere, scrutare, scrutare il mondo esterno e viverlo nella sua sua provvisorietà di scoperta.La "verità-aletheia" è un doino per sempre che , non produce, per Socrate , né profitto, né compenso. Il testimone della verità di Socrate è la sua povertà (penìa), così come, di qui a poco, testimone di verità sarà la sua capacità di rimanere nel carcere e di rispettare le leggi, benché ingiuste (Critone) e, in seguito, di affrontare la morte senza cercare di mettersi in salvo (Fedone). La rinuncia alla libertà e la rinuncia alla vita, che accompagnano la parabola finale dell'esistenza di Socrate, sono il seguito stilistico di una vita improntata sul registro del disinteresse e dell'abnegazione. Benché altrove, come nel Teeteto (dove Socrate dichiara di aver ricevuto in dono dal dio l'arte maieutica della madre (Teeteto 210c) o nel Liside (dove Socrate afferma di aver ricevuto dal dio il dono di capire al volo chi ama e chi è amato (Liside 204c) il filosofo sia colto anche come benficiario di doni, il contraltare del dono di Socrate alla città è la sua povertà e la sua radicale rinuncia al registro dell'avere.

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