lunedì 22 dicembre 2014

....la buona novella del Natale......


Nel 1969 scrivevo La buona novella. Eravamo in piena rivolta studentesca; i miei amici, i miei compagni, i miei coetanei hanno pensato che quello fosse un disco anacronistico. Mi dicevano: “cosa stai a raccontare della predicazione di Cristo, che noi stiamo sbattendoci
perché non ci buttino il libretto nelle gambe con scritto sopra sedici; noi facciamo a botte per cercare di difenderci dall’autoritarismo del potere, dagli abusi, dai soprusi.” …. Non avevano capito – almeno la parte meno attenta di loro, la maggioranza – che La Buona Novella è un’allegoria. Paragonavo le istanze migliori e più ragionevoli del movimento sessantottino, cui io stesso ho partecipato, con quelle, molto più vaste spiritualmente, di un uomo di 1968 anni prima, che proprio per contrastare gli abusi del potere, i soprusi dell’autorità si era fatto inchiodare su una croce, in nome di una fratellanza e di un egualitarismo universali.”
Il sogno della giovane donna Maria ....investita da un misterioso obbligo di ricominciare la storia del mondo allevando nel suo grembo ingenuo "il principio" stesso dell'universo mondo....Mistero e fascino del sacro che vuol fasi umanamente vita nel ciclo naturale della vita nel ciclo della natività. Un Natale misteriosamente umano e divino nel ventre inconsapevole di una fanciulla.
Questo ed altro ci ha insegnato la poesia di De Andrè...sopratutto a non subire il fascino della tirannia della presente, quotidiana e anche tragicamente, coinvolgente storia, né tantomeno la prigione mentale delle ubriacature ideologiche,della religioni storiche, della morale, della storia. Ce lo ha insegnato, come diceva lui, con una specie di sorriso, il sorriso del pescatore, che è emblematico e fondamentale per cogliere il suo modo di comunicare. Non ha avuto l’esigenza di rappresentare il vissuto storico delle persone o i fatti pesanti di quel tempo se non nella loro indecifrabile nudità e universalità, evitando la saccenteria di chi propone categorie etiche o storiche, troppo generali ai limiti della metafisica. Evitando anche il pericolo di rifugiarsi in isole di creatività tra i luoghi indecifrabili dell’essere e le voci assordanti e rumorose di un esserci nel tempo, di un tempo esagitato e fuori le righe. Ci ha suggerito l’immagine del poeta combattuto tra la necessità di non smarrirsi nella realtà, di
non farsi prendere, di non farsi ingabbiare il cuore, di non lasciarsi catturare negli archetipi universali che sono oltre la storia.
mauro orlando 


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