mercoledì 23 gennaio 2013

Elisir d'amore per ....un amore perduto



L’esperienza di franco e della Comunità Provvisoria e le sue considerazioni emozionali hanno bisogno di essere meditate e discusse non per gusto agonistico o per esercizio sofistico ma per l’importanza che rivestono nella nostra possibile esperienza comunitaria nei piccoli paesi di tutte le realtà periferiche ed appenniniche dell’Italia.In questi giorni la Filosofia ufficiale si interessa del rapporto uomo-natura. Noi lo facciomo sul campo in modo militante ed esistenziale. ”La paesologia “ ha il merito di sgomberare il campo dagli equivoci malevoli , pretestuosi e modernisti di un comunitarismo e territorialismo a rischio identitario e xenofobo .Esso punta costitutivamente ad una soggettività –plurale consapevole ed attiva e non “una specie di moda elitaria per i cittadini meno granitici, un modo per assicurare alle loro coscienze una parte di assoluzione”. Non è la nuova ideologia per “spaesati” ,”terremotati” ,abbandonati e stressati dal postfordismo e dalla globalizzazione neo liberista e speculativa che nelle zone interne e nelle periferie metropolitane ha spazzato via anche il possibile mito industrialista e modernizzatore superficiale delle coscienze. Nelle vene della società si vive un senso di spaesamento depressivo (autismo corale e/o individuale) con un cambiamento antropologico di una società che non vede pur con mezzi scarsi fini certi: lavoro a vita ,possibilità di benessere,scolarizzazione per i figli più acculturati dei padri ecc. Oggi pur con maggiori ed abbondanti mezzi i fini diventano sempre più incerti. Anche se all’apparenza si può percepire e pensare “… alle certezze che la vita di pianura offre a chi la conduce”. Oggi la globalizzazione ci impone teoreticamente ossimori come “reti corte” e “pensieri lunghi “ o “reti lunghe ” e “pensieri brevi”. “ Ora comprendo meglio la calma e la silenziosa operosità di questi luoghi. Qui non c’è mai lo squarcio, da qui si può arrivare ovunque e ritornare in fretta. Si può programmare il giorno suddividendolo in decine di cose da fare in luoghi differenti e si può fare la strada al contrario quasi senza intoppi” Vivere al Nord può dare queste impressioni ma esiste un sottofondo carsico e depressivo chimicamente sedato , tutto prepolitico,segno di uno spaesamento antropologico in una sorta di distacco e di apatia che la Lega ha saputo trasformare in energia propulsiva per macinare consenso elettorale. Noi stiamo cercando di ragionare in modo completamente originale e non regressivo sulle due parole chiave del nuovo discorso politico: comunità e territorio. Il territorio non è solo lo spazio del conflitto e delle scelte politiche che afffrontano anche i grandi nodi della modernità globale e locale ( trasformazione dei lavori,nuova immigrazione ,fabbrica diffusa , fonti energetiche naturali quali acqua,aria, terra e sole ).La dissolvenza delle comunità originarie o dei nativi in comunità del rancore ,della diffidenza o del rinserramento o quella falsamente identitaria nell’esclusione dell’altro da sé. Io parlerei fuori dagli equivoci della possibilità di una costruzione delle “comunità di cura” .Fuori dai fraintendimenti possibili una comunità operosa dei cittadini attivi ,consapevoli,liberi e reponsabili che operano per la inclusione e per la difesa dei diritti fondamentali della persona ,tra cui includerei anche il diritto alla cura e alla salute.Dovremmo con più lungimiranza lavorare per una convergenza tra comunità operosa e comunità di cura come antitodo per ridurre la sindrome da comunità del rancore. A partire dalla natura plurale conflittuale del territorio per non cadere nel pericolo del populismo xenofobo dell’ “ognuno padrone a casa sua” dobbiamo pensare ad una politica del fare “nuova società e nuova cultura”. Paesologia e comunitarismo insomma .Esprimere un pensiero di tipo e respiro strategico sulla terra nel mondo da salvaguardare e da vivere profondamente oltre allo starci ed abitarlo. La paesologia è anche la presunzione e la capacità di sentire “ che la percezione delle distanze” ma sopratutto la forza di superare la “difficoltà a trovare il tono giusto per parlare a questi ragazzi di luoghi come l’Irpinia d’oriente, come l’altura, l’Appennino, la dorsale impervia e franosa che vivo e che mi attraversa da anni, da quando sono nato”. Noi sappiamo che costa fatica vivere giorno dopo giorno “ il posto per la crepa, la spaccatura” e che non rifiutiamo per snobismo intellettualistico e neoariitocratico la città dove “ non c’è lo spazio per la bruttura improvvisa, per il degrado, per lo sfregio”. Non ci convince e non ci basta più parlare “di urbanocentrismo, di policentrismo…del concetto di centro e di periferia del centro”. E le nostre esperienze comunitarie e paesologiche non sono “ visioni”, ma consapevolezze conoscitive non solo per pensare ma per vivere “i piccoli paesi” in un rapporto esistenziale alla riscoperta della “grande vita “ che si nasconde tra le pieghe delle brutture di una modernità senza anima e di uno sviluppo senza progresso. Forse un giorno ognuno di noi si sentirà orgoglioso e rivoluzionario di essere vissuto dagli urbanizzati per costrizione e necessità “una specie di indiano di una riserva, il buon selvaggio esposto alla curiosità dei cittadini civilizzati, una tigre del bengala costretta a stare nello zoo di Vienna. Insomma qualcosa di esotico”. E allora fuori dai dubbi e paura ….” la paesologia “ non sarà percepita come “ una scienza esotica, una specie di moda elitaria per i cittadini meno granitici, un modo per assicurare alle loro coscienze una parte di assoluzione. Come dire: vedo, conosco altri luoghi nei quali mai andrei a vivere e questo mi rende migliore. Solo questo” E allora anche sentirsi “….franoso, instabile, in bilico” diventerà un modo e una possibilità di rappresentare un dubbio o un sospetto che il “ loro ordine interiore che traspare nel linguaggio, forbitissimo e accorto, nelle osservazioni, nella postura” e la loro condanna ad una inconsapevole non libertà e che la loro vita ha perso di autenticità e di anima.

lunedì 14 gennaio 2013

Elisir d'amore per ......la "politica" non del nostro scontento.....

La “Politica”: non esercizio del nostro scontento.
 Nella “ comunità provvisoria” la politica in tutte le sue forme espressive gioca un ruolo accattivante ed insidioso assieme .E’ il convitato di pietra e la ammaliante sirena assieme che rischia di ingenerare equivoci,incomprensioni e conflitti inutili e distruttivi se non preventivamente chiariti nei suoi presupposti e finalità. La politica politicata o politicante nella nostra provincia anche quando ha a che fare con gli uomini o le idee, opera nella oggettività del potere, della saldezza delle istituzioni, della forza degli interessi. Questa è la funzione della politica che comunque ci interessa come cittadini con diritto di voto ma non esaurisce le nostre esigenze o pretese nello specifico della nostre iniziative culturali comunitarie sul nostro territorio. Sgombriamo il campo dagli equivoci :noi non amiamo per niente o coltiviamo “i pensieri corti” e le pratiche di potere della politica politicante e strumentale. Tuttavia non escludiamo a priori che la politica nella dimensione della parola, del pensiero, della rappresentazione, della narrazione necessita di mediarsi e legittimarsi attraverso saperi; e che accetta il rischio o la sfida cognitiva di confrontarsi con altri saperi autonomi ed aperti , ma critici quale è e deve essere il nostro nella società e sul territorio. La “paesologia” come sapere comunitario non è orientato al potere , all’ oggettività o alle “strategie di alcun tipo” ( nuova e corretta analisi o uso del territorio) che si tricerano dietro la rassicurante categoria della “razionalità” quando questi non si vivicano nello spirito della soggettività, della percettività,della creatività e esitenzialità del fare e del dire sociologicamente , letterariamente ,poeticamente o filosoficamente .”Non abbiamo idee buone sul mondo per tutta la giornata” (F. Arminio). Tuttavia non amiamo e non rifiutiamo a priori o a prescindere ,senza se e senza ma, il linguaggio e le pratiche del potere e dei contropoteri, delle istituzioni .Non è il nostro campo e non soddisfa i nostri interessi.non ci sentiamo a nostro agio ma abbiamo la forza e la capacità di smascherarli,denudarli, snobbarli. Della radice della parola “politica” prediligiamo la sua accezione di ‘pòlemos’ (mutevole,nomade,cangiante ,plurale) alla classica “pòlis” (stabile,stanziale,univoca e singolare) .Come scrive Franco” c’è da affermare il primato dell’esperienza sul lògos. Quello che c’è fuori viene prima di quello che c’è dentro. L’aria (ci) sta più a cuore delle opinioni”. A noi comunque interessano le parole e le pratiche (meglio i sentimenti, le passioni, le idee) della politica non per semplice esercizio retorico o dialettico ma per provocarle, contaminarle o vivificarle perché consumate ed abusate e metterle a confronto-scontro (pòlemos) con le nostre idee e azioni culturali che si esprimono in “idee lunghe”, sentimenti autentici ,fantasie concrete ,sogni pratici,poesie ragionanti e ragioni poetiche e racconti personali detti in libertà ma anche con qualche consapevolezza, passione,rabbia ,sconforto o apatia. Ovviamente,nessuno pensa di dare, delle parole e dei fatti della politica, una definizione o un giudizio in qualche modo univoco o partigiano sapendo che in essi si è depositata la storia vera di uomini di ieri e la vita di oggi , e vive la nostra passione (o apatia) di ieri e di oggi. Intellettualmente interessa mantenere desto e vivo il significato autentico delle parole della politica.” A partire, naturalmente, dalla coppia oppositiva ‘ politica-antipolitica’ . Il cui secondo termine è cambiato di significato, e da ‘ opposizione alla buona politica’ (qual era il suo valore originario) oggi si usa nel senso di ‘ contrarietà alla politica’ , estraneità, indifferenza alla politica, fuga dalla politica in generale; una sorta di qualunquismo, in cui i singoli si chiudono, politicamente disperati. Oppure un’ ideologica pretesa che la politica sia inutile, una truffaldina complicazione di questioni semplici, che- se non esistessero quei parassiti che sono i politici – potrebbero benissimo essere risolte col buon senso pratico, con la competenza tecnica, oppure con l’ armonia automatica del mercato” (C. Galli) . In Irpinia o in Lombardia mi piacerebbe privilegiare la cultura politica dello stare insieme di realtà e di norma, di fatti e parole, di azioni e pensieri”. Insomma una esperienza comunitaria anche autenticamente culturale e politica assieme come una “prova continua” ….. “una prova provvisoria” ma provata .. Direi che è già una buona cosa far circolare affetti, dare posto all’ammirazione più che all’accidia. Poi chi vuole può fare progetti, può delineare strategie” (F. Arminio) liberamente ma non in modo definitivo , esclusivo,fondante e prescrittivo. Culturale nel senso di recuperare la capacità di essere “in grado di riconoscere la grandezza altrui, lo splendore silenzioso di cose piccolissime o grandissime e di inchinarci di fronte a loro” (E. Martino).Di amare la nostra Irpinia e il suo paesaggio non per costruirci intorno una bella e preziosa cornice ma sapendo e spiegando che “ rivolgersi a un paese a un paesaggio è operazione che ha bisogno di grande mitezza, di gesti semplici, di menti pulite, poche parole, pochissimi concetti, molti, moltissimi dubbi” (E.Martino).Questo è il terreno,il senso e la portata di una costante e difficile “sfida cognitiva e percettiva ” alla Politica il resto è già stato fatto con nobiltà di intenti e di sapere .Noi dobbiamo essere sfacciatamente presuntuosi della sfida che proponiamo perché consapevoli che come scrive visionariamente Elda “il nostro mondo è sfinito, sta morendo. non c’è spazio per galleggiare, bisogna andare a fondo, bisogna tirare un bel respiro e provare a scendere, oppure bisogna iniziare a volare”. A me piace pensare alla nostra esperienza comunitaria come un bel e buono viaggio di ritorno (nòstos).Come Ulisse nel nostro ‘nostos’ ci prepariamo a non farci ingannare dalle ‘sirene’ utopistiche o fondanetaliste, dalle ammalianti profferte amorose della dionisiaca Circe, dalle giovanili invadenze e occasioni delle ‘Nausiche’ alla stanzialità di un talamo giovane e al potere correalato, ma sopratutto temiamo il ritorno a una possibile casa ( oikos)”Irpinia d’oriente” come fine del sogno e della esperienza nomade e delle transumanze stagionali e provvisorie…o nuova e immobilizzante “pòlis” che si dimentica della istanze ed esigenze ‘naturali’ di Cassandra per accettare le logiche formali del potere di Creonte…..e non cè tranquillizzante ,moglie-madre Penelope che tenga!Siamo antichi e nuovi “viandanti irpini” nostalgici per passione e pensiero in viaggio con la “ciurma provvisoria ” della Comunità con una consapevolezza attiva, libera,critica,leggera e convinta del momento magico e difficile di tutte le ‘fasi costituenti’ della nostra vita e delle nostre storie da inventare e raccontare.
Mauro Orlando

giovedì 10 gennaio 2013

Elisir d'amore per ......i dialoghi immaginifici

Dialoghi immaginifici tra l’angelo Mercuzio e il Clown Nanosecondo
Nanos: Sai Mercuzio angelo mio, pure io sono partito con la mia moto del tempo, come il sommo poeta degli arminici paesologici confini tra terra e cielo, dalla percezione del mio corpo, perché pure a me, il corpo, mi dava un sacco di pensieri. Più che rami da far salire alla testa, i miei pensieri scendevano in basso tanto da farmi scoppiettare il tubo di scappamento……..
 Mercuzio: Per te non è strano che i pensieri si posizionano in un’area bassa del corpo, a differenza dei poeti e degli gli umani colti che mettono in moto “la ghiandola pineale” dell’intelligenza con il dubbio e il sospetto….. tu, zoticone volutamente urbanizzato e storicamente post-fordista, post-politico, post-tutto richiami necessariamente l’area della “apprensione” come “passione fredda” e te ne preoccupi per il tuo meccanico e psichico ciclo naturale dei rifiuti. Mi sembra di capire che “il clown” che è dentro di te è più dietro le tue “angosce” esistenziali che sociali, somigli molto al nostro simpatico padano e zoticone Zanni che in questi ultimi anni ha molto influenzato antropologicamente “il celodurismo…leghista” con esiti politici e linguistici più che preletterari alquanto disastrosi e volgari. Ben altro stile e prassi nel vostro scoppiettante e profondo Pulicenelle! E il miracolo umano e teatrale è stato questo : che rimane se stesso, in tutte le culture che immedesima e incontra. E rimane in una forma di eternità filosofica il suo problema e la sua domanda: …‘e pecchè ? E poi nella cultura popolare mediterranea- che comunque è la tua - l’atto di produrre e di mangiare la merda non fa parte dei canovacci principali della sua Commedia dell’arte di area campana ….pur essendo un classico della satira di tutti i tempi. C’è un aspetto economico legato al produrre ( de vulgari eloquentia ….”cacare” ) e antropologico del mangiare la merda e un aspetto psicologico e comunicativo che colpisce nel profondo il popolo comune. Un certo Tommaso ed Agostino nel “giardino dei santi” proprio l’altro ieri li ho sentito discutere e affermare che anticamente questa consuetudine era un rito della clownerie religiosa insieme col bere l’urina: oscenità apotropaiche che celavano sottili valenze simboliche, filosofiche e metafisiche . Gli esempi più illustri- dicevano – si possono ritrovare normalmente in quelli che voi considerate “ classici” di Aristofane, Plauto, Rabelais, Swift e Sterne. A Milano non molto tempo fa gli artisti nella sempre viva neoavanguardia come “eterno ritorno dell’eguale”….esponevano orgogliosi e provocatori la loro radicale poetica antiborghese mettendo in mostra “la merda di artista” e non solo……..
 Nanos: sì….!, e come hai fatto a percepire questa cosa tu che non mangi da parecchio e campi d’aria fresca la sù? ……A me quest’area così bassa del mio corpo mi porta a disperarlo, il profumo, specialmente quando è “incapace di avvenire” di pensieri alti. Lo so ogni corpo ha una sua idea di stitichezza d’avvenire, e anche nel mio caso a volte è bruciante, spero che non mi siano uscite le emorroidi, a me non sono mesi, ma solo pochi giorni, che mi si è chiusa la voglia di fare….
 Mercuzio: a parte l’aspetto fisiologico e gastroenterologico è il risvolto linguisticamente grasso, puzzolento e colorato che ti riguarda ….. è l’accenno al rapporto filosofico-estetico che il tuo corpo sente con la percezione poetica delle cose e l’elaborazione filosofica del pensiero che sembrano dover interessare poco alla tua forma sociale di comunicazione clownesca. Come tu ben sai le maschere da me preferite tra voi umani sono quelle dei filosofi, dei poeti, dei folli, dei sognatori e…..dimenticavo: i clowns ! … Nanos: Ancora una volta come si suol dire mi hai “smascherato”! Certamente a me sta a cuore rilevare uno sconcerto e una certa apprensione nella nostra umana esperienza comunità e provvisoria nella nostra piccola terra dell’Irpinia d’Oriente…. e non solo….. nei loro belli paesi abbandonati dallo sviluppo e dal progresso ma ricchi di vita, sacralità e spiritualità…oserei dire a te con termini che quotidianamente frequenti. Una bella famiglia di poeti, filosofi, diversamente … artisti che pensavano a un museo dell’aria, del vento, della luce, del canto su un piccolo e abbandonato palcoscenico naturale con le “cento anime” di Cairano……e anche lì un vostro cattivo collega “Lukifer” ha malpensato di inviarci un po’ di archietti, osti, commercianti e ciarlatani dell’identità etnica che nel giro di qualche tempo ci hanno scacciati ancora una volta come quelli di “Sodoma e Gomorra” …..
 Mercuzio: La conosco molto da vicino questa storiella e me ne sono fatto un cruccio anche con il mio “Mast” (come tu simpaticamente osi chiamarlo nel tuo colorito e sfottente gergo napoletano) ora scanso con sufficienza i tuoi insipidi e puzzolenti itinerari e i sepolcri dei tuoi vasi di espansione imbrattanti e riprendo a consigliarti la strada sui sentieri del sogno, della fantasia, della poesia, della musica, del gioco sempre nuovo e sempre diverso che non porta da nessuna parte ma che porta……in pensieri conclusi per dare sicurezza agli uomini da sempre impauriti del caos, molteplice, del divenire, del diverso, del folle ….provvisorio percepire dei poeti….. io…..dopo averci girato a lungo intorno, giocato con passione provo a stimolarti una riflessione dell’avvenire ….senza abusare, se non nello stile … di sedute… non di quelle fisiologiche …… ne di quelle per possedere, ma per andare oltre (“ metà”, “ uber”….”oltre”…”anche”…) delle mie ali incerate di Icaro e andare a conquistare anche per te una parte del sole ….scottante verità metafisica… per fantasticare una utopia liberatoria …….. anche per la tua parte basse del corpo…….e alla fine senza autorità, aristocrazia …. Cercare faticosamente di penetraci e viaggiarci dentro fin in fondo nelle sue pieghe, nei secreta, negli arcana …anche nelle crepe non per scoprire ‘in interiore hominis ….Veritas’ (di Principio) ma per sentirla….. percepirla anche se provvisoriamente ….. uno stimolo che permetta anche a te Nanos di non venire qua a parlarmi di merda…..
 Nanos: noooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!! Mercuziooooooooooo!!!!!……….. Che Dio mi fulmini!!!!!!!!!!!!!……….. Io ti volevo chiedere solo sé è complicato una volta che il corpo si è appuzzolentito cosi come il mio, riuscire ancora a percepire la presenza di un angelo……della bellezza, della poesia …. e come posso fare io così malconcio …… a percepire la presenza ancora di tutto ciò in questo mondo, così lontano. Sai, anch’io rischio di navigare in un mare di merda…..e adesso però smettila con le prediche perché anch’io rischio di morire a marcia indietro andando a sbattere …..per evitare di finirci tutto dentro…..ora mi dici come si fa con questa puzza sotto al naso percepire la presenza degli angeli?
Mercuzio: Solo per confortarti e ricordarti che anche il tuo linguaggio non necessariamente deve confondersi con una tua identità o peggio con una tua funzione sociale o comunitaria. Puoi anche solo restare nell’ambito della produzione artistica o letteraria e avere buoni compagni al gioco. Il premio Nobel per la letteratura Dario Fo, intervistato durante la trasmissione Satyricon, ha citato come esempi dell’uso della merda nella satira e nel teatro: La fame dello Zanni di Ruzante, un canovaccio in cui Arlecchino si cala le brache e lancia la cacca (finta) addosso al pubblico, e un pezzo in cui Francesco d’Assisi usa la cacca come termine morale elevato, in contrasto con l’avidità e la violenza del potere di papa Innocenzo III. Come vedi hai dei precursori illustri che sapevano fare bene il loro mestiere senza pensare di mettere a repentaglio la propria identità o la propria finzione sociale e politica ed anche la propria esperienza esistenziale e comunitaria nella Irpinia d’Oriente o d’Occidente che sia. Voglio altresì ricordarti a conferma di quanto ti consiglio. Ti ricordo un uso comune dei lavoratori di teatro in vari paesi del mondo, sia per quanto riguarda gli attori che per quanto riguarda il personale tecnico, è augurarsi il successo con le parole “Merda, merda, merda!” Questa usanza deriva dal fatto che, in passato, agli spettacoli di successo accorrevano molti nobili con le loro carrozze e cavalli, riempiendo di escrementi i dintorni del teatro. Quindi, più merda c’era per terra, maggior successo aveva lo spettacolo. Nel tuo caso chi frequenta i tuoi “cerchi” o le tue performances non rientra nel rango di spettatori ma l’esempio qualcosa chiarisce…..dell’uso o l’abuso culturale della …..”merda”…..Nel tuo caso della Clownerie che tu pratichi e ricerchi …tu ben sai… che anche il linguaggio diretto pur legato alla tua vita personale “stiticamente increspata e incresciosa” può creare malintesi e anche problemi. Ti ricordo – a mo’ d’esempio- una scena esilarante e efficace …citata goliardicamente dagli Amici miei del film di Monicelli (un grande esempio di commedia del cinema italiano degli anni settanta) nell’aria della “cacatella longa longa… filulella squacquarella” cantata a squarciagola dai quattro amici nell’ospedale dov’erano allora pazienti, e indirizzata alle sorelle di quel ricovero. L’uso che ne viene fatto in questo caso ha solo del provocatorio e del goliardico: il loro comportamento li spinge a rompere due tabù, cioè a parlare di merda davanti a delle suore (con l’intenzione di sembrare realmente malati di testa, o semplicemente stupidi). Ciò è solo per compiere costantemente delle bonarie e gratuite trasgressioni. Nella scena seguente questo loro comportamento farà scattare l’ira e la vendetta del primario, che si rivelerà più goliardico e sadico di loro altri. Credo che la “fabula de te narrat” e lascia stare quella fuorviante e impraticabile del ……………Sovrano Kakka’it…. Nanos: E, va beh! Mi arrendo, non te la raccontò più la favola del Sovrano Kakka’it però mi è sembrato, leggendo questa favola, di capire che solo quando si assapora un certo profumo “primordiale” si può percepire la presenza degli angeli. Insomma, solo quando tocchi….. “il basso”…., solo quando puoi camminare come dici tu ma al contrario, in puzzolenti itinerari, sepolcri di vasi imbrattanti, puoi percorrere i sentieri del sogno, della fantasia, della poesia, della musica, del gioco sempre nuovo e sempre diverso, che portano ad incontrare la bellezza ed ascoltare la musica degli angeli ?
Mercuzio: Ti capisco e ti “compatisco”ma non vorrei chiudere questo “dialogo immaginifico” con un pistolotto finale .Ti voglio solo riferire ciò che si discute qui tra i “saggi”.Si parla di un umano operante in terra bresciana che cerca disperatamente tra voi di parlare di “morte e terra”….scrive nel suo ultimo libro “L’attesa della terra che salva continua anche dopo la morte ( e che cosa appare in questo dell’attesa?,sonno ,sogni.Incubi?), oppure con la morte ha compimento anche l’attesa?”Come vedi si cerca di usare lo sguardo oltre ogni confine della mortalità della terra parlando di eternità,gioia, gloria…oltre la metafisica e la teologia…..ma voglio ricordarti che tra di noi si parla molto di un certo “poeto della paesologia” che non si preoccupa di andare “oltre l’umano” ma “nel profondo dell’umano” in una sorta di privilegiato tempo e spazio immobile preservato dalle follie della “modernità” e scrive : “Bisogna apprendere l’arte di farlo passare il tempo, lasciare che attraversi i giorni e il proprio corpo. C’è tanto lavoro per un artigiano temporale”.Anche per te si pone il problema di “un artigiano temporale” che ama lavorare con il linguaggio della gioia e dell’allegria per non “….. solo vagare lungo l’orlo del proprio confine che, dopo ogni tramonto, si raffina e diventa confino” come ben scrive il tuo poeta irpino che tu ben conosci ….ma di tutto ciò in un’altra puntata ..........
Nanos: …..e va beh! …. ti fai sempre più misterioso……ancora non mi spieghi come si fa a percepire la presenza degli angeli ……io sono sempre stato un artigiano: elettromeccanico, patafisico, dello spazio temporale e con i tuoni e i lampi della mia moto del tempo riparto, ……..prrrmmm , prmmmm, a dopo……a prima, ma?……. sgarrup….sgarrupp…..sssssssss………..

domenica 6 gennaio 2013

Elisir d'amore per ......il primo dell'anno....

Franca Mancinelli. In ascolto
Racconto di Capodanno

01 Gennaio 2013

a Vito

Non so come faccia ogni anno a sopravvivere a questo giorno. È un giorno di guerra. Una guerra in cui nessuno sa contro chi combatte e si affronta disperato. Esce alla cieca e poi, non trovando il nemico, finisce per volgersi contro se stesso, affannosamente, e cadere sconfitto. Bisogna restarsene rintanati nell’angolo più sicuro della casa, tra le proprie cose, con una distrazione qualunque. Come guardare la televisione; ma neanche quello si può perché in tutti i canali sono lì, riuniti nel clamore, pronti al conto alla rovescia, al brindisi finale. Magari fosse una fine davvero, ma è ricominciata sempre. Non so come. Potrei mettermi a scappare all’improvviso, alla cieca, come un cane spaventato dagli spari, prendere una strada qualsiasi e correre correre per le vie fino a raggiungere la periferia, oltrepassare la circonvallazione, fermandomi soltanto di fronte all’umido freddo che sale dalla terra: il fiato ansante, le mani appoggiate sulle ginocchia, il corpo ripiegato come una sigaretta. Resterei a guardare il fumo uscire dalla bocca, aspettando che mi consumi, che mi spenga la notte. È così limpido il cielo di dicembre da essere spietato. Bisogna offrire alla sua divinità almeno il viso per ricevere in cambio il bruciore di quelle sottilissime punture di stelle.
Soltanto i cani e i gatti mi sono vicini in questa notte. E come loro vorrei essere chiuso bene bene tra le pareti, e accarezzato per non ululare di terrore, per non fuggire dall’unica imposta lasciata aperta. Ma qui non c’è nessuno che possa accarezzarmi. Non c’è più da quando Milena se ne è andata. Ho deciso di non tenere nessuna foto di lei. Sarebbe troppo vederla sorridere sui muri, guardarmi da un comò con il viso leggermente inclinato, come se seguisse i miei passi avanti e indietro nella stanza. Se avessi ceduto alla tentazione di conservare la sua immagine questa casa dove abbiamo vissuto insieme per cinque anni, dopo l’Università, sarebbe diventata il suo santuario. E io mi sarei lasciato seppellire vivo accanto a lei, qui, sul sofà, in questa stanza dove ora staremmo a parlare senza emettere alcun suono, guardandoci negli occhi, sfiorandoci appena nei gesti che ci portano ora da una parte ora dall’altra, sempre di nuovo incontro, come due pesci in una piccola vasca rotonda. Quel giorno in cui l’ho guardata per ore, fin quasi a non vederla più, prima che la fiamma ossidrica la sigillasse, appena tornato a casa, con la forza della disperazione ho raccolto tutti i suoi oggetti, i libri, i vestiti, le scarpe, i trucchi, nei grandi sacchetti neri per quel lutto intollerabile, infinito, e ho buttato tutto nel bidone alla fine della via. Non c’è più niente di lei, nessuna immagine, niente che ne conservi il ricordo oltre a queste stanze, a questo spazio diviso da pareti che non ho potuto demolire perché sono ancora in affitto. I mobili li ho disposti in un altro modo e, quelli che non ho potuto spostare o buttare, come la lavatrice e la televisione, perché non posso permettermi degli elettrodomestici nuovi, li ho ricoperti con un telo che alzo in parte solo quando li uso, come in un piccolo teatrino di casa. Così sembro sempre arrivato da poco o sul punto di traslocare. E invece non me ne andrò mai da qui. E poi così i mobili non prendono la polvere, mi dico. Non ho tempo per fare le pulizie; mi limito a spalancare ogni tanto tutte le finestre, perché cambi l’aria ed entri luce. La luce disinfetta e guarisce, dicono. E poi da solo non sporco tanto. Mangio a volte anche in piedi, qualcosa che mi compro nel forno sotto casa. E d’altronde oltre a me non entra più nessuno. La signora del condominio e il postino non vanno oltre la soglia, non potrei permettere a nessuno di calpestare questo pavimento, queste piastrelle rosate che ha sorretto e tenuto insieme Milena, che ha pulito ogni fine settimana, inginocchiandosi ogni tanto, per sfregare le piccole incrostazioni. A volte mi fermo ad accarezzare le pareti. Lisce e chiare come la sua pelle. Non mi resta altro di lei, solo questo spazio che posso ancora abitare e dove lei, liberata da cornici, e dalla ristrettezza degli oggetti, è dappertutto.
Sono stato fortunato, la via in cui abbiamo preso casa è tranquilla. E di fianco all’appartamento non c’è nessuno, né a destra, né a sinistra. C’è soltanto lui, di sopra, in una piccola mansarda. Si sveglia alla mia stessa ora ma rincasa dal lavoro più tardi. Lo sento allora che cammina, da questa parte della casa. Va verso la cucina che deve essere sopra la mia camera da letto. Allora io mi ritiro nella sala. Ho spostato i mobili quando ho capito la collocazione delle sue stanze. Eppure anche da qui, con le porte chiuse e la libreria che mi isola dai rumori non posso fare a meno di sentire degli improvvisi scrosci sul soffitto, come rovesci di pioggia che mi manda lui, il mio piccolo e sconosciuto dio che determina la mia pace e la mia inquietudine, che mi dona la grazia del silenzio e poi, ad un tratto, quelle imprevedibili scariche di proiettili e di spilli che si infilzano proprio qui, sullo stomaco. Stasera fortunatamente è uscito già dal tardo pomeriggio e credo che non ritornerà. È andato nella guerra che stanno combattendo di fuori, tra forzati sorrisi e incivili cene vomitate agli angoli della strada. È andato in un posto dove sarà costretto a divertirsi o a riconoscere di avere speso soldi inutilmente. Da quando si è trasferito l’ho intravisto solo una volta, pochi secondi, nel pianerottolo mentre entrava in casa, ma credo di sapere di lui molto di più del suo migliore amico o di quella ragazza che ogni tanto mi costringe a vegliare la notte, nel silenzio violato, fino a che torna la pace. Lui è l’antenna che collega al mondo questo mio schermo frusciante, perennemente grigio. È forse l’unico peso che mi tiene a terra. Quando non c’è, il silenzio è spesso così fondo che oltrepassa la soglia dell’udito: allora arrivano fischi sottilissimi come quelli che credo sentano i cani. Il mio orecchio è così allenato che è diventato quello di un animale notturno. Il mio orecchio è sfondato dall’amore per Milena. Arrivo a sentire il suo respiro, in certi istanti in cui sta aspettando le parole da dirmi. Ma non posso starle così vicino a lungo, possiamo concederci solo brevi momenti, e lei lo sa, altrimenti la raggiungerei subito, ma lei non vuole. Vuole che resti ancora altri anni qui, ad ascoltarla da una distanza, a custodire questa casa come fosse il suo corpo. Allora quando il silenzio inizia ad aprirsi, la ascolto alcuni momenti e poi accendo il televisore sul canale grigio e mi metto a leggere un libro.
La guerra sembra si stia avvicinando. Deve essere per l’ora. La mezzanotte che aspettano. Hanno tutti così paura che non vogliono prendere sonno. Hanno ragione. È un giorno terribile. Il compleanno di tutti. Bisognerebbe accucciarsi sulla terra, a un lato della strada, come investiti.

Franca Mancinelli


venerdì 4 gennaio 2013

....le parole sono lì pronte ,sempre giovani ,leggere, mobili e ruffiane,pronte a farsi violentare o violare con dolcezza...parsimonia ma anche ......ingabbiare in opinioni mutevoli o pensieri conclusi per dare sicurezza agli uomini impauriti del chaos,molteplice....provvisorio..... io.....dopo averci girato a lungo intorno,giocato con passione ho cercato inutilmente ... di sedurle per possederle definitivamente temendo di andare oltre (metà) per una verità metafisica... .....una utopia liberatoria ma autoritaria,aristocratica e .....dogmatica ora sto cercando fatcosamente di penetraci e viaggiarci dentro fin in fondo nelle sue pieghe, nei secreta ...anche nelle crepe non per scoprire 'in interiore....Veritas' ma per sentirla..... percepirla la verità provviosria e istantanea....nell'istante in cui sembra nella grazia o nel dolore apparire nella sua concretezza e poi vederla tranquillamente ....scomparire inesorabilmente .....prima di poterla verificare nei laboratori freddi della ragione della scienza o mitizzare nella ragione del sacro......la sua immagine...mi resta impressa nella retine che porta alla ragione percettiva o poetica..... scanasando gli "insipidi e mentali itinerari del turismo filosofico" o i "sepolcri imbiancati " dei monoteismi autoritari.... sul sentiero del sogno,della fantasia, della poesia,della musica, del gioco sempre nuovo e sempre diverso che non porta da nessuna parte ma che porta......

mercoledì 2 gennaio 2013

Elisir d'amore per .......un amico paesologo

Caro Franco,

ti avevo preso in parola quando scrivevi….“La paesologia è l’illusione di trovare anime mute, anime sconvolte dal clamore di un attimo qualsiasi e non dagli spettacolini del tubo catodico o del pianeta google.”Quanto lavoro ancora bisogna fare soprattutto sulle nostre coscienze vittime e carnefici di una libertà in “una società di oppressi.La libertà positiva positiva per me è la libertà come autonomia e accettazione disinteressata dell’ Altro …..pimaditutto libertà “di”e “per”più difficile della praticata o reclamata libertà “da” .Anche da tutte le nuove e vecchie situazioni di sudditanza che tu così efficacemente descrivi nei tuoi libri .Io avvertivo da tempo le tue stesse preoccupate sensazioni riguardo il degrado o l’uso degradato che si fa delle parole. Anch’io ho dichiarato guerra all’ipocrisia del non detto anche a rischio di scegliere per me il classico campo di battaglia che meglio conosco:la mia esposta ,debole , turbata e esacerbata anima. Tu hai scelto un campo più vasto,ricco ma anche più insidioso.Ed io sempre invidiato la tua forza,tenacia e coerente determinazione. Io mentalmente avevo limitato il senso ermeneuitico della tua analisi a ciò che dinamicamente si sviluppava nel nostro Blog e nella intera esperienza della Comunità provvisoria ( o almeno in quello che ognuno di noi pensava di essa) .Nella precedente esperienza avevo notato spesso individualismi ostentati o reperssi….”guerre di parole”, la “pratica della maldicenza” ad uso interno ed autoreferenziale e del “vittimismo e lamenti “su bersagli prossimi senza fini degni di essere comunque vissuti . Ecco allora …. Che mi sono sono convinto o fatto convincere dalle tue indicazioni o percezioni intuitive che bisognava darsi obiettivi limitati ma definiti … per creare comunità stabili,formalizzate e definite ….Mi piaceva pensare con te che “La paesologia è in guerra con le parole, è in guerra con le astrazioni.” Concentriamoci sulla tua diagnosi…”Io so che la parola ormai è come infiammata, non è più il distillato verbale della carne, non è la meraviglia con cui possiamo dire il mondo, ma un’affezione, una sorta di tubercolosi elettronica che ci fa tossire nell’aria verbi inutili e aggettivi che non spiegano niente. È una malattia che cresce consumandosi, più parliamo e più la nostra mente diventa un luogo intossicato”. Ma noi che sentiamo o percepiamo – come tu senbri ultimamente preferire- l’urgenza liquida del pensiero ad un richiamo solido di una realtà ‘effettuale’ abbiamo sempre il dovere di soppesare e chiarire bene prima di tutto a noi stesso la necessità di una ‘terapia’ e il suo senso non solo nel nostro cuore ma anche nel nostro territorio o terra e con i nostri uomini con le loro storie non sempre libere ed encomiabili. Perchè a noi sembrava non bastasse “il mondo universale ”(“astrazione”) perché sentivamo l’urgenza e la presenza materica e amorevole “una terra” non solo come esercizio di pensiero, di astrazione ,di utopia ma come sfondo di azione e di vita che chiamavamo “Comunità provvisoria” con diritto di interpretazione,sogno e di definizione. Partendo ognuno dal “piccolo paese “ che si cresceva dentro o intorno…..Paesi insomma “che sono rattrappiti o quelli che crescendosi si sono perduti” e “ forme di esistenza in cui qualcuno sappia dare un filo di beatitudine al proprio fallimento”.Nel mio caso con il dubbio,il sopetto e un avvertimento che ci viene dalla favola filosofica della Volpe e del Riccio….La volpe rappresenta quelli che perseguono molti fini spesso disgiunti e contraddittori…è comunque pluralista e libera.Il Riccio riferisce tutto ad una visione unica e centrale ,onnicomprensiva col rischio del narcisismo,egotismo, fondamentalismo,del fanatismo ( temo ed evito sempre gli “ismi”)e della chiusura. La volpe sa molte cose ma il Riccio ne sa una grande! Monismo o pluralismo …..questo è il problema. Il monismo crea problemi che il pluralismo comunque cerca di evitare……E’ meglio seguire le volpi …sapendo che mentono bene e diffidare e sospettare del Riccio anche quando si veste di democrazia e di tolleranza.Ma in fin dei conti mi sono sempre salvato con il pensiero che il problema non ci riguardava ……..noi siamo “Lupi” e abbiamo ben altre e profonde qualità consapevoli di tutti i difetti che tu ben descrivi ed affronti nei tuoi scritti anche come avvertimento per la nostra vita personale e pubblica.I tuoi scritti non sono solo un dovere verso te stesso e “puro distillato di carne” ma un obbligo affettuoso , amichevole e politico verso di noi.. Tutto questo preambolo per dire che ultimamente mi sento perso e smarrito più del solito…ed ho cominciato a sentire sottili e impercettibili “segni” di disamore e diffidenza verso le mie proiezioni costruttivisti che mi imponevo come metodo per le mie esperienze paesologiche in Irpinia.Ho cominciato a percepire distanza, dissapori e ostilità ( meglio percezione di essere di fastidio ed inciampo) nei nostri incontri Comunitari provvisori. Anche le mie complesse ,articolate, considerazioni le sentivo estranee o devianti rispetto alle nuove sensibilità che circolavano nel nostro blog….i commenti si diradavano non solo per la complessa sintassi dei miei scritti…percepivo che c’era altro e non mi sentivo a mio agio.Alcuni riscontri tecnici di cancellazione o cestinazione sicuramente involontari toccavano e alimentavano sempre più gli aspetti monomaniaci del mio spirito irpino….e alla fine …il silenzio e la mortificazione delle parole scritte mi sono sembrate la scelta più appropriata e conseguente per me.Niente di tragico …in fin dei conti siamo italiani e da noi “ il tragico” è sempre stato soppiantato dal “farsesco” che è preferibile al “ridicolo”.Leggo sempre volentieri quello scrivi e sempre più mi convingo della genialità delle tue percezioni cognitive e che comunque che la difficoltà di una loro pratica operativa e concrete dipende solo dalle limitate o deviate capacità ermeneutiche di noi tutti che avevamo aspettative libere, gregarie o cortigiane. Sappi comunque che quando sono in Irpinia farò l’impossibile per seguire i tuoi incontri e soprattutto leggerò meglio e in modo più approfondito i tuoi scritti….

Con immutata amicizia…….

mauro orlando