Cercare ,cercare il senso del viaggio,cercare la felicità,sapere almeno che esiste”.
La curiosità e il piacere mi hanno inghiottito in questi giorni di lontananza e ozi padani nel gorgo delle parole del bel libro di Raffaele Nigro “Fernanda e gli elefanti bianchi di Hemingway “. Il privilegio di aver conosciuto Fernanda Pivano e il retrogusto di ascoltare questo suo racconto di un viaggio tra la millenaria natura della Lucania appenninica dei “piccoli paesi della grande vita “ hanno fatto il resto dell’incantesimo.Vita di parole e racconti. Sì perché questo non è un viaggio alla ricerca della bellezza,del silenzio,dell’identità in astratto ma nelle tanto bistrattate e abusate parole della letteratura del racconto della vita reale ed autentica delle piccole cose e delle persone normali.Saper ritrovare il gusto e il senso del vivere autentico e “paesologico” in un volto,un gesto,uno sguardo , un sasso, un profumo, un gusto perché nei nostri paesi appenninici «se metti una mano nella terra o nella radice di un albero le storie vengono fuori come nugoli di mosche».Se questo accade ad uno dei massimi affabulatori delle storie più affascinanti del Novecento bisogna veramente credere che questa magia si possa ripetere nelle nostre esperienze non solo letterarie.” I miei paesi sono fungaie,piovono e nascono le storie.Nevica e nascono le storie.Escono storie dalla terra come nuvole di mosche”. Due figure di intellettuali che si confrontano con la millenaria e antica storia dell’umanità sul senso autentico della vita. Lui è l’osannato scrittore americano di Addio alle armi e Il vecchio e il mare, lei è la sua traduttrice italiana, la studiosa che lo fece conoscere e amare e che fece conoscere ad una intera schiera di intellettuali provinciali il meglio della letteratura americana tra i disatri ,le macerie e le utopie del dopoguerra. La parte più interessante di questo racconto è proprio il senso e la necessità per ognuno di noi di almeno tentare questo viaggio alla riscoperta della nostra identità individuale e collettiva non come la ricerca del “santo Graal” come un apparato ideologico o dottrinario a copertura delle nostre malposte intransigenze e inadeguatezze ai tempi complessi e ai sensi imposti al nostro vivere inquieti e irrisolti. Non abbiamo nuove cause da scoprire e nuovi catechismi da ritrovare e nuove estetiche da reinventare . Noi viviamo come un senso di colpa ,di inadeguatezza o di inattualità nel difendere “le nostre radici” .”i giovani non difendono più le radici -scrive Nigro- Non credo che le difendano. Vorrebbero essere nati tutti su un‘astronave e in fondo all’universo. Come i personaggi di Conrad, che nascono e vivono su una nave tutta la vita. Noi invece siamo rimasti appesi al nostro ombelico. Questo mi fa sentire a volte figlio di una cultura grandissima e importante, altre volte fuori dal tempo, fuori dalle mode ,vecchio”.Questa ancora oggi la nostra “tragedia” …..per non sentirsi “vecchi” si cercano nuove corazze da indossare o vecchi alibi da cavalcare .Le occasioni delle cattive compagnie e di viaggi immaginifici ed inutili sono alla portata di tutti specialmente dei “diversamenti anziani”,perchè nelle nostre terre ancora “ i morti camminano affianco ai vivi e i cattivi pensieri si fanno creature di carne e sangue”. Oggi più modestamente ma con maggiore difficoltà non abbiamo più bisogno –spero- di andare in cerca di “elefanti bianchi” e non siamo “come lazzaro nella tomba , in uno stato comatoso…ad aspettare la resurrezione”. La storia tragica delle ideologie disatrose e le numerose e aberranti estetiche del novecento devono essere servite a qualcosa per capire come va il mondo anche se hanno scansato volontariamente la intellettualità meridionale .”Si può essere infelici di troppa esperienza e di troppa fortuna…specialmente se circa un mondo che non esiste” e non ci si accontenta di guardare in profondità il piccolo mondo preservato che ci sta intorno “come cercare un silenzio più profondo del silenzio” e capirne il senso per la propria vita e della vita degli altri. E allora ci interessa meno di questo racconto “ i pretesti e le espressioni psicologiche” per esperienze di sensi rattrappiti e ingabbiati di “ un vecchio intellettuale in disarmo” che si fanno comunque letteratura anche se buona ed onesta letteratura. Cercare ancora di rilevare e ascoltare storie e racconti senza “fuggire dalla storia, sottrarsene in luoghi perduti o ideali ….dove l’uomo non può agire sull’uomo, non può vessarlo in qualche modo, perché e fuori dal tempo e dalle passioni”. No, noi dobbiamo stare nel tempo, sfidarlo anche nelle sue tragiche contraddizioni e conflitti, nei suoi ritardi e avere il coraggio ancora di vivere,desiderare le passioni e sentimenti come esperienza esistenziale individuale e comunitaria. Questo è il viaggio che vorremmo raccontare della nostra Irpinia comunitaria di ieri e di oggi. Questo mi ha suggerito la intrigante lettura del racconto della mia amica Fernanda attraverso Raffaele Nigro facendomi sognare di trovare il mio “elefante bianco” nei silenzi , nel vento e nelle bellezze di Cairano! Nella esperienza del silenzio e del respiro del corpo e della natura dove non la fa da padrone “la ragione” con la sua freddezza ma “il sentimento” con il suo calore. Ma “negli inverni del nostro scontento” bisogna soprattutto evitare le prime incrinature senza nessuna consolazione con i sentimenti della tristezza ,dell’inquietudine e della nostalgia. Non esiste una definitiva salute dell’anima così come non esistono i medici dell’anima e del dolore. La vera salute dell’anima è la vita vissuta anche nei piccoli paesi,nei piccoli gesti .” Infatti una salute in sè non esiste…dipende dalla tua meta ,dal tuo orizzonte ,dalle tue energie,dai tuoi impulsi ,dai tuoi errori e , in particolare dai tuoi ideali….”
( Nietzsche, La gaia scienza).
mauro orlando
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