lunedì 14 febbraio 2011

Elisir d'amore per .....l'elefante bianco





Cercare ,cercare il senso del viaggio,cercare la felicità,sapere almeno che esiste”.

La curiosità e il piacere mi hanno inghiottito in questi giorni di lontananza e ozi padani nel gorgo delle parole del bel libro di Raffaele Nigro “Fernanda e gli elefanti bianchi di Hemingway “. Il privilegio di aver conosciuto Fernanda Pivano e il retrogusto di ascoltare questo suo racconto di un viaggio tra la millenaria natura della Lucania appenninica dei “piccoli paesi della grande vita “ hanno fatto il resto dell’incantesimo.Vita di parole e racconti. Sì perché questo non è un viaggio alla ricerca della bellezza,del silenzio,dell’identità in astratto ma nelle tanto bistrattate e abusate parole della letteratura del racconto della vita reale ed autentica delle piccole cose e delle persone normali.Saper ritrovare il gusto e il senso del vivere autentico e “paesologico” in un volto,un gesto,uno sguardo , un sasso, un profumo, un gusto perché nei nostri paesi appenninici «se metti una mano nella terra o nella radice di un albero le storie vengono fuori come nugoli di mosche».Se questo accade ad uno dei massimi affabulatori delle storie più affascinanti del Novecento bisogna veramente credere che questa magia si possa ripetere nelle nostre esperienze non solo letterarie.” I miei paesi sono fungaie,piovono e nascono le storie.Nevica e nascono le storie.Escono storie dalla terra come nuvole di mosche”. Due figure di intellettuali che si confrontano con la millenaria e antica storia dell’umanità sul senso autentico della vita. Lui è l’osannato scrittore americano di Addio alle armi e Il vecchio e il mare, lei è la sua traduttrice italiana, la studiosa che lo fece conoscere e amare e che fece conoscere ad una intera schiera di intellettuali provinciali il meglio della letteratura americana tra i disatri ,le macerie e le utopie del dopoguerra. La parte più interessante di questo racconto è proprio il senso e la necessità per ognuno di noi di almeno tentare questo viaggio alla riscoperta della nostra identità individuale e collettiva non come la ricerca del “santo Graal” come un apparato ideologico o dottrinario a copertura delle nostre malposte intransigenze e inadeguatezze ai tempi complessi e ai sensi imposti al nostro vivere inquieti e irrisolti. Non abbiamo nuove cause da scoprire e nuovi catechismi da ritrovare e nuove estetiche da reinventare . Noi viviamo come un senso di colpa ,di inadeguatezza o di inattualità nel difendere “le nostre radici” .”i giovani non difendono più le radici -scrive Nigro- Non credo che le difendano. Vorrebbero essere nati tutti su un‘astronave e in fondo all’universo. Come i personaggi di Conrad, che nascono e vivono su una nave tutta la vita. Noi invece siamo rimasti appesi al nostro ombelico. Questo mi fa sentire a volte figlio di una cultura grandissima e importante, altre volte fuori dal tempo, fuori dalle mode ,vecchio”.Questa ancora oggi la nostra “tragedia” …..per non sentirsi “vecchi” si cercano nuove corazze da indossare o vecchi alibi da cavalcare .Le occasioni delle cattive compagnie e di viaggi immaginifici ed inutili sono alla portata di tutti specialmente dei “diversamenti anziani”,perchè nelle nostre terre ancora “ i morti camminano affianco ai vivi e i cattivi pensieri si fanno creature di carne e sangue”. Oggi più modestamente ma con maggiore difficoltà non abbiamo più bisogno –spero- di andare in cerca di “elefanti bianchi” e non siamo “come lazzaro nella tomba , in uno stato comatoso…ad aspettare la resurrezione”. La storia tragica delle ideologie disatrose e le numerose e aberranti estetiche del novecento devono essere servite a qualcosa per capire come va il mondo anche se hanno scansato volontariamente la intellettualità meridionale .”Si può essere infelici di troppa esperienza e di troppa fortuna…specialmente se circa un mondo che non esiste” e non ci si accontenta di guardare in profondità il piccolo mondo preservato che ci sta intorno “come cercare un silenzio più profondo del silenzio” e capirne il senso per la propria vita e della vita degli altri. E allora ci interessa meno di questo racconto “ i pretesti e le espressioni psicologiche” per esperienze di sensi rattrappiti e ingabbiati di “ un vecchio intellettuale in disarmo” che si fanno comunque letteratura anche se buona ed onesta letteratura. Cercare ancora di rilevare e ascoltare storie e racconti senza “fuggire dalla storia, sottrarsene in luoghi perduti o ideali ….dove l’uomo non può agire sull’uomo, non può vessarlo in qualche modo, perché e fuori dal tempo e dalle passioni”. No, noi dobbiamo stare nel tempo, sfidarlo anche nelle sue tragiche contraddizioni e conflitti, nei suoi ritardi e avere il coraggio ancora di vivere,desiderare le passioni e sentimenti come esperienza esistenziale individuale e comunitaria. Questo è il viaggio che vorremmo raccontare della nostra Irpinia comunitaria di ieri e di oggi. Questo mi ha suggerito la intrigante lettura del racconto della mia amica Fernanda attraverso Raffaele Nigro facendomi sognare di trovare il mio “elefante bianco” nei silenzi , nel vento e nelle bellezze di Cairano! Nella esperienza del silenzio e del respiro del corpo e della natura dove non la fa da padrone “la ragione” con la sua freddezza ma “il sentimento” con il suo calore. Ma “negli inverni del nostro scontento” bisogna soprattutto evitare le prime incrinature senza nessuna consolazione con i sentimenti della tristezza ,dell’inquietudine e della nostalgia. Non esiste una definitiva salute dell’anima così come non esistono i medici dell’anima e del dolore. La vera salute dell’anima è la vita vissuta anche nei piccoli paesi,nei piccoli gesti .” Infatti una salute in sè non esiste…dipende dalla tua meta ,dal tuo orizzonte ,dalle tue energie,dai tuoi impulsi ,dai tuoi errori e , in particolare dai tuoi ideali….”
( Nietzsche, La gaia scienza).

mauro orlando

venerdì 11 febbraio 2011

Elisir d'amore per ......una ossessione dolce





Tragedia di un progetto utopico
non realizzato
che sembra morto
senza essere mai nato.

M.C.Baroni

Chi l’avrebbe mai detto o immaginato che in questi tempi di tristezza del pensiero e deriva postribolare della politica-politicata il pericolo più insidioso al nostro spirito individuale ,alla democrazia e alle piccole comunità specie se provvisorie ….. potesse venire da un pensiero troppo innamorato di sé stesso,operativamente declinato sulla quotididianeità operativa e ancora una volta impaurito dalla spiritualità e la oniricità della poesia,del sogno che si fa comunitaria e non si chiude in sé stessa ma osa puntare il dito anche verso di noi e gli altri che ci sono vicini.Noi ci siamo imposti una occasione di “bellezza,silenzio, nostalgia,grande vita,sogno, poesia……per sette giorni a Cairano non come obiettivo salvifico o utopico ma per segnare una distanza ,una vicinanza, una leggerezza e una profondità da chi quotidianamente ci impone un superficiale stile di vita e di pensiero. Qualche commentatore intelligente ha scritto che l’agonia della nostra società non va misurata a partire dall’esibizionismo banale,superficiale di tutto ciò che oggi si dice “cultura”, cioè di una crescita quantitativa di un “sublime” diffuso e massificato , nel fare arte, poesia, spettacolo..La comunicazione eccessiva ,trasversale ,politicamente corretta e caciarona vuole imprigliare il nostro “io” in un autismo privato deluso, empirico,infelice, solitario y final o in una rimozione o autismo corale di un territorio violentato e emarginato. Paradossalmente si sottolinea la denuncia di “nuove invasioni barbariche “ e contemporaneamente la dichiarazione del crollo della poesia,del sogno edella bellezza nell’epoca in cui la stessa poesia rischia di farsi edonistica indifferenza o eccessiva esposizione e si omologa ad un mondo istupidito e superficiale. Mai come oggi esiste un aumento demografico di poeti e di intellettuali che si ritrovano nelle vetrine –riserve di una democrazia sempre più involgarita mediaticamente .Potrebbe risolversi in una sorta di isteria nazionale che qualcuno ha chiamato ”autarchia creativa del sublime” a cui viene dato o la libertà di sovraesporsi o di relegarsi in regime di innocenza o narcisismo territoriale, storico e politico come una specie in via di estinzione o che dia voce ad una malinconia collettiva o autismo corale che rimargina ( cioè esalta e falsifica) lo sbandamento di una comunità che non c’è più o che non ci mai stata se non nella menta di Platone ,Rousseau o peggio Marx.Niente di tutto ciò si pensa di fare a Cairano a patto che ognuno di noi continui a coltivare negli angoli più riposti del proprio spirito la scintilla “comunitaria e paesologica” che ci fa diversi ed originali rispetto ai notevoli apporti della tradizione culturale del passato e agli “spiriti animali” del presente che rischia di confonderci e omologarci nella massa delle buone e pratiche intenzioni.Pensiamo sempre al “meglio”…….non dimentichiamoci di pensare a Cairano nelle piccole e grandi occasioni dei nostri incontri!
mauro orlando

venerdì 4 febbraio 2011

Elisir d'amore per .......Cairano 7X 2011


c’è una desolazione che è anche beatitudine. c’è un paese piantato come un meteorite nell’irpinia d’oriente, un paese che guarda a un mare d’erba, ai monti picentini, alle alture lucane. cairano guarda a sud dalla sua rupe. non ci sono cose da vedere, nel senso strettamente turistico del termine, ma da cairano si vede molto, ma bisogna arrivare alla nuca silenziosa del paese: il paese ha letteralmente la testa tra le nuvole. alla fine di giugno, quando ad occidente c’è più luce, cairano7x è una settimana per parlare e ascoltare. non un festival, non è un evento, è una cerimonia dei sensi. non è un´adunata di specialisti. è una festa del silenzio e della luce, un cantiere delle arti e del buon vivere. artisti, architetti, archeologi, artigiani, poeti, musicisti, teatranti, registi, gastronauti, pensatori, contadini, nullafacenti, tutti insieme tutti a intrecciare i fili di un nuovo modo di abitare i luoghi considerati più sperduti e affranti. è un´esperienza per i liberi, per i non affiliati, per chi sente il dolore e la bellezza di stare al mondo, per chi ancora vuole provare a fare un buon uso, un uso semplice e profondo, di noi e del mondo. cairano come luogo d’intreccio, capitale dei confini. ogni arte, ogni persona si sporge sul bordo di se stessa, si pone in bilico, in ascolto di altre arti, altre persone. portiamo a cairano chi lavora per la bellezza, chi ancora crede al mondo come a un luogo per amare ed essere amati. non si viene qui per esporre le proprie mercanzie artistiche o dialettiche e andare via. non si viene qui per fare un numero, per eseguire uno spartito confezionato altrove. si viene qui per fare cultura e politica, per farle insieme. è il momento di smuovere l’immaginazione, costruire progetti che usano la gomma più che la matita. andiamo sulla rupe per cucire in una nuova alleanza il vuoto e il silenzio e la luce e il cibo e il pensiero e l’arte di trascorrere il tempo su queste schiene di terra che si abbassano verso il mare e in cui ogni paese è una vertebra isolata. da questo isolamento vogliamo offrirci e offrire un’esperienza di comunità, una comunità necessariamente provvisoria in questa stagione di autismo corale. non siamo paesanologi, non nutriamo nostalgie dei paesi com’erano una volta. ci sporgiamo verso il futuro partendo da una fonte che sia solo nostra. siamo stufi di pensare a questi luoghi con le categorie degli altri. non cerchiamo turisti, ma nuovi residenti. e si verrà in questi luoghi non solo per lo loro bellezza, ma perché qui si può sperimentare un diverso modo di vivere, lontano dall’affollata insolenza dei centri urbani. (f.arminio)



Perchè tutto non ritorni alla routine,alla normalizzazione e …alla omologazione.La nostra esperienza comunitaria e paesologica va curata e vivificata .Non possiamo permetterci il lusso di “annacquarla”,minimizzarla o omologarla con dosi di buon senso o di pragmatismo senza anima.Il rischio e il danno è per tutti….i sognatori e i pratici! .E’ per questo che voglio ribadire, prima di tutto a me stesso, il senso autentico e coerente della mia esperienza nella Comunità provvisoria come percorso intellettuale e esitenziale di vita vissuta non come fatto ossessivo e mentale ma come esigenza di coerenza concreta identitaria personale e comunitaria assieme.Avevamo pensato una provocazione ossimorica possibile che recitava : è’ difficile e un po’ presuntuoso parlare di “ un mondo antico morto e di un mondo nuovo ,sfinito e senza radici” , suggerire di “non guardare in nessuna direzione….con lo sguardo del cane anche se prolungato affettuoso e clemente.Duro far passare l’idea di “avere paura di costruire certezze e di praticare esercizi di perplessità non come esercizio di stile….” Raccontare che noi lavoriamo per pensare ad un nuovo tipo di comunità. Non una comunità anacoretica di quelli che amano allontanarsi dal mondo , di singolarità solitarie con vocazioni a ritirarsi in una sorta di slegamento sociale senza appartenenze e legami.Mentre il mondo massificato fuori impazzatra rumori assordanti di clacsons nevrotici e il cervello si spappola tra il velenoso ‘co2′ e la insidiosa frenesia di una ‘operosità’ malposta e imposta a un individualismo nevrotico e cinico . Non siamo per una ‘singolarità” qualunque in nome di una identità comune al di la della forma in cui essa sia modulata. .La esperienza della Comunità provvisoria, di Cairano 7X , la ricerca conoscitiva della “paesologia” rispecchia lo spirito leggero,provvisorio,creativo, che vuole espressamente evitare finalità,modelli,formalismi già consumati nel passato.” Un luogo per chi ha due minuti tra le dita per sè”.Un luogo dove si possa comunicare e “conversare non sotto il peso delle nostre parole e dove si possa passeggiare con la naturalezza e la leggerezza di un passero sopra il ramo” .Dove viviamo la vita e …noi che ci conficchiamo in essa istante per istante”…Nell’impazzare ‘ideologico’ dell’uomo del fare come il ‘passepartout’ di tutte le pigrizie,le lentezze,arretratezze di un umanesimo che confligge con una idea di modernità che ci vede non solo sospettosi ma contrariati e resistenti.La nostra parola magica è ….inoperosità comunitaria .”andare all’aperto,fuori di noi e non rinserrarsi impauriti nella “coscienza” su qualche comodo lettino di analisi o sedando il nostro corpo”.
E avendo scelto concretamente la parola «comunità», ci accorgiamo che essa è riconducibile, in definitiva, ad un duplice senso: ciò che è in comune ed essere-in-comune.. L’essere-in-comune rappresenta la modalità di esistenza del libero individuo che partecipa direttamente, insieme agli altri, a ciò che è in comune. . L’essere-in-comune è appunto riferito ai componenti della comunità. Ma gli stessi componenti, sebbene fondamentali per l’esistenza della comunità, possono essere gli artefici di un ribaltamento dialettico, un cambiamento di visione che li deve condurre da una modalità disgregativa a una aggregativa. È una dimensione plurale della comunità in cui la “molteplicità” fa intravedere una dimensione in cui la persona non è separata dalla vita, o da se stessa, ma coincide con essa in un sinolo inscindibile di forma e forza, di esterno e d’interno, in cui il soggetto è finalmente norma a se stesso e non deve nulla ad istanze trascendentali o trascendenti. In altre parole, un unicum, o singolarità, che coniuga il singolare e il plurale nella stessa persona.. Ed ecco allora il paradigma o la categoria originale e diversa della provvisorietà e ….della inoperosità !Difficile spiegare evitando la spocchia dottrinaria o la ingenuità visionaria e inattuale. L’improduttivo spazio e tempo dell’inoperoso non è delimitabile da un opaco dispositivo di miscelazione di desideri arcani, pulsioni di fuga, resistenze inerziali, eremitaggi esistenziali, silenzi e rifiuti assoluti, immobilismi estremi, estetismi letterari ed artistici . Volendo far uso di un lessico più squisitamente filosofico, possiamo peculiarmente qualificare l’inoperoso come la prevalenza dello stare dell’essere sul divenire dell’essere: esso è il sottrarsi giocato contro l’esporsi. In tal senso, è la faccia speculare e contraddittoria del potere: l’abbandono simmetrico alla cattura e alla diaspora possibile . Noi vorremmo scongiurare l’abbandono delle emigrazioni,le fughe nella propria autosufficienza intellettuale o sociale,la cattura nelle neoideologie postmoderne del “fare” come variabile indipendente della producibilità umana universale e necessaria. Dobbiamo pensare per non disperare che possa esistere o essere pensata una possibile nuovo modo di fare economia.Si parla di economia ‘noetica’. Una possibile nuova situazione in cui le visioni, i miraggi, le speranze segrete e inconfessabili, le introflessioni integrali, i mutismi e gli arresti incondizionati, le resistenze estreme e l’estrema inarticolazione dell’inoperoso diventano la prassi possibile per vivere e pensare “i piccoli paesi” dell’abbandono, e dei “terremoti”,delle emergenze o delle urgenze naturali o meccaniche. Essa, grazie alla sua razionalità metapoietica, fa dell’inespresso,del fantasioso,del sogno e del non pianificabile il suo oggetto perspicuo, che non lega le proprie sortie le sue finalità alla esplosione consumistica e sublimazione riproduttiva . L’inespresso e l’inarticolato non necessariamente devono essere letti nell’ottica sublimato, modificato e riprodotto. Attenti e sospettosi che anche l’inoperosità può essere trasformata in mercato operoso che mette in scena il fantasmagorico teatro della fruizione consumistica dell’inespresso. Che l’inerzialità, l’inespressività e l’inappagabilità dei desideri possono diventare sempre riproducibili, attraverso sequenze/figure immaginifiche: replicanti che si spacciano per mutanti. In queste condizioni inedite e nuove rifiutarsi di pensare che non v’è alcuna speranza di poter ingabbiare anche l’inoperosità nel ciclo o della salvezza o nell’orizzonte della linea di fuga. Anche per questo scriviamo in questo Blog e ci prepariamo per Cairano!Qualcuno ci consiglia di : Primun vivere e fare deinde …….philosofare !E’ difficile, complesso, barocco ? E sia !”per aspera ad astra ” era scritto nella mia aula ginnasiale del Liceo “Parzanese” di Ariano e ,fuori retorica, concretamente mi va bene ancora oggi insieme ad una certa leggera e praticata irresponsabilità antidogmatica , antiautoritaria e anarchica …nel senso profondo e non ideologico del termine. Ricordiamoci sempre ,però, che la comunità provvisoria sopravvive solo se alimenta la sua anima “paesologiaca” e Cairano 7X ne è la declinazione più autentica e profonda….il resto è routine,abitudine ….,deja vu, omologazione.Mi piacerebbe che ognuno di noi ptesse dire come Flaubert per la sua “Madame Bovary” …….Cairano 7X ….. ” c’est moi”!

mauro orlando