“io non voglio languire in questa sonnolenza,
voglio crepare e far crepare la mia ansia,
voglio uscire dal mondo senza uccidermi
e senza morire, voglio uscire adesso,
adesso che è quasi mezzanotte,
e non c’è nessuno al mondo,
tutti uccisi dal sonno e dalla televisione,
sono l’ultimo che è rimasto in questo paese,
non c’è nessun altro,
non ci sono nemmeno i morti al cimitero,
non ci sono gli alberi e le panchine,
non ci sono nemmeno i muri delle case
e le nuvole e i fanali delle macchine,
sono rimasto talmente solo
che fuori di me l’universo
è più leggero di un ago
e questa ago è il mio cavallo, il mio aereo,
la mia nave, il tappeto volante
con cui voglio viaggiare.”
franco arminio
Le poesie di franco arminio , mi emozianano….e le emozioni hanno un effetto di stimolo alla mia sensibilità filosofica scoperta. Egli scrive,,,,,”adesso gli unici che servono a qualcosa
sono quelli che sono partiti,
quelli che sanno sparire, quelli che sanno liberarsi
e andare via, via dai paesi e dalle città, via dai partiti
e dalle chiese, dalle moglie e dai mariti, via dagli amici
via da ogni cosa vecchia e via da ogni cosa nuova,
semplicemente via, via dalla banalità
e anche dalla poesia.”
Non è così ,ovvero non è semplicemente così. I poeti,( a diffrenza dei filosofi che partono come Platone per fondare pòlis ideali o che scappano dalle loro responsabilità ),hanno la capacità di disporsi in uno spazio aperto illimitato, e «all’interno di un ‘nòmos’ nomade, senza proprietà, confini o misura» (Deleuze), di stimolare la vita nella sua erranza infinita al di fuori dei canoni precostituiti e dagli spazi e i tempi definiti e reali. L’essenza della lirica come racconto dell’ “io” ha portato alla moltiplicazione di voci che devono essere ascoltate sulla questione del senso dell’essere, della verità in direzione della trasparenza e dell’intelligibilità della vita. Non sono più le parole a contare, ma la questione del senso, e in questa ricerca l’incontro, come a un viandante disperso in un bosco (la selva delle voci), dell’evento che rifugge da ogni prevedibilità, del chiarore che lascia apparire la profondità della vita, delle «vere presenze».o delle presenze “inutili” come “… il sindaco …
il vicesindaco pure e tutti gli assessori
e tutti i consiglieri dell’opposizione,
e gli impiegati e la posta e i mastri della scuola,
e i bidelli e i contadini,
non serve a niente chi si ubriaca nei bar
e chi vede la televisione,
e chi passeggia in piazza
e chi compra il giornale…..”
Concludo con una breve poesia di Emily Dickinson, in cui, come nella celebre Ode a un’urna greca di Keats, i concetti di bellezza e di verità sono strettamente uniti………per un poeta e forse anche per un fiosofo non del tutto pentito……
Morii per la bellezza, ma ero appena
composta nella tomba
che un altro, morto per la verità,
fu disteso nello spazio accanto.
Mi chiese sottovoce perché ero morta
gli risposi «Per la Bellezza»,
«E io per la Verità, le due cose sono
una sola. Siamo fratelli» disse.
Così come parenti che si ritrovano
di notte parlammo da una stanza all’altra
finché il muschio raggiunse le labbra
e coprì i nostri nomi.
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