domenica 27 dicembre 2015


’ Angelus novus e la paesologia di mauro orlando . “Lo stato di eccezione, che eravamo abituati a considerare una misura provvisoria e straordinaria, sta diventando sotto i nostri occhi un paradigma normale di governo…… che determina in misura crescente la politica tanto estera che interna. Si direbbe, anzi, che la creazione di uno stato di emergenza permanente (anche se non necessariamente dichiarato in senso tecnico) sia divenuta una delle pratiche essenziali degli stati contemporanei, anche di quelli cosiddetti democratici” .Agamben Viviamo in “uno stato d’eccezione” non solo “politico” ma anche teoretico, estetico e filosofico toutcourt.”Una emergenza permanente” che obbliga la persona ad uno stato di necessità pratico dove la coscienza di sé e la cura di sé e dell’altro-da- sé diventano problemi di secondaria importanza. L’esperienza paesologica si propone in modo concreto di riappropriarsi del “maltolto” e pone il proprio “io” in un territorio che l’antropologia culturale, la filosofia e la politica hanno concretamente lasciato all’incuria drammatica e all’ abbandono dell’uomo a cominciare dalla modernità. L’io da “esistente” si fa soggetto “cogitans” e accampa pretese egemonico sul mondo “extensus”…..fino alla pretesa hegelo-marxiana di dotarsi di un “pensiero” che imbrigliasse o spiegasse il divenire del mondo, delle cose e degli uomini in una struttura logico- dialettica che tutto comprendesse e cambiasse ….senza nulla comprendere e cambiare a partire uno dal “pensiero-principio” , l’altro dalla “realtà-principio” e il resto si risolve ad essere “sovrastruttura” …..secondaria e marginale. La “paesologia” come per Bejiamin intende muoversi all’interno di categorie sovrastrutturali strutturali materialistiche ma non dialettiche che non coincidono coercitivamente con quelle marxiste.E’ un sapere “arreso” a cui non interesse la ricerca o il recupero di possibili presupposti storico- filosofici ad un pensiero che è essenzialmente esistenziale e pratico o al massimo come stimolo euristico- metodologico.Insomma non ci interessa ricreare le difficoltà culturali della sinistra tedesca di Adorno-Horkheimer-Benjamin nel discorso struttura –sovrastruttura.Adorno accusava Benjamin di “rappresentazione stupita della fatticità” e “ il tentativo di fissare l’immagine della storia nelle cristallizzazioni meno appariscenti dell’esitenza, nei suoi cascami” culturali e poetici del surrealismo di Baudelaire, Rimbaud e Mallarmè.Benjamin aveva una passione per le piccole, piccolissime cose, amava i margini e gli aspetti periferici….per lui le dimensioni di un oggetto …due granelli di frumento …erano inversamente proporzionali al loro significato e importanza storica.Una passione che corrispondeva alla sua “visione del mondo” che prediligeva una “esistenza fattuale” da rinvenire e nel mondo delle apparenze, dei sentimenti e delle passioni in cui confluiscono significatoe apparenza, parola e cosa,idea e esperienza.Ciò che affascina e interessa non sono le idee, i concetti, le opinioni ma le cose, i paesaggi, le persone come “fenomeni” che ci appiano percettivamente.E’ il miracolo e il mistero dell’epifania che diviene che interessa non “la rotonda perfezione” dell’Essere “che è e non può non essere”. E’ “il viandante-flaneur” la figura di riferimento che vaga oziosamente e senza meta non solo nelle metropoli ma soprattutto nei “piccoli paesi” per scoprire gli angoli sacri, i genius loci, i piccoli segni della vita abbandonata per dare senso ad una esitenza mentale ed attiva….fuori dalla folla frettolosa e indaffarata e scoprire i significati segreti e nascosti delle cose e delle parole.Le parole che paradossalmente come in Benjamin …avvertendo che “….dietro ad ogni sua frase il passaggio repentino dalla massima mobilità a qualcosa di statico,, quasi la rappresentazione statica del movimento stesso” (Adorno).Atteggiamento considerato di fatto “antidialettico” secondo il quale “l’angelo della storia” non avanza dialetticamente volgendosi al futuro ma ha “il viso rivolto al passato.Dove a noi appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Vorrebbe sostare , destare i morti e ricomporre l’infranto…..Ma una tempesta dal paradiso (…) lo spinge irresistibilmente verso il futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine s’innalza al cielo davanti alui.Quello che noi chiamiamo il progresso, è questa ‘tempesta”. Quando la paesologia parla di “modernità incivile” non per gusto retro antimoderno con pretese ideologiche vincolanti e esteticamente militanti.Un sapere che non si fa mai dottrina prescrittiva e vincolante in strutture materialistiche o idealistiche che ingabbiano l’io in labirinti imprescrutabili e assoluti.Un sapere che quando pensa ,pensa poeticamente dove anche una metafora diventa un dono per lo stesso linguaggio che si usa e la trasposizione linguistica ci consente di dare forma materiale e vitale a ciò che appare o anche all’inivisibile, al misterioso , al sacro…..alla totalità dei dati esperiti dai sensi. Un sapere sostanzialmente poetante non necessariamente dialettico meno che meno metafisico

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