domenica 8 febbraio 2015


POLITE'IA-TEKNE ' POLITIKE'


Non sempre il  meta­fi­sico è anche poli­tico (quando «poli­tica» signi­fica «fare» e non sem­pli­ce­mente stro­lo­gare sul domi­nio, alla maniera dei giu­ri­sti e degli ideo­logi)La teologia  è più consustanziale  alla politica nella sostanza, nel metodo ma soprattutto nel linguaggio .E’ politico  porsi il problema   de La comu­nità che viene.In questo testo molto utile  per sfrondare  o sondare dal di dentro la parola “comunità” che ci cammina accanto e a volte si attarda nel passato e a volte  corre innanzi al nostro itinerario paesologico. Agamben  il problema  ce lo pone  ma  in senso inverso, rove­sciato. Il pro­blema è sem­pre quello di una vita felice da con­qui­stare poli­ti­ca­mente, non  una  ricerca non si conclude  né una  costru­zione di una comu­nità pos­si­bile né la defi­ni­zione di una potenza o come possibilità  del pensare, sentire, percepire,vivere ed agire  umano. Si può accettare come  “possibilità esistenziale” come pro­spet­tiva…..dove  la feli­cità ( eudaimonia …ordine nei demoni interiori) con­si­ste­rebbe nella sin­go­lare con­tem­pla­zione di una «forma di vita» che ricom­ponga zoé e bíos e d’altra parte nella disat­ti­va­zione della loro sepa­ra­zione, impo­sta dal dominio politico e tecnico. Nella «forma di vita» così defi­nita, la potenza si pre­senta come uso ino­pe­roso; la «nuda vita» non sarebbe allora più iso­la­bile da parte del potere; qui invece sta­rebbe il prin­ci­pio del comune: «comu­nità e potenza si iden­ti­fi­cano senza resi­dui, per­ché l’inerire di un prin­ci­pio comu­ni­ta­rio in ogni potenza è fun­zione del carat­tere neces­sa­ria­mente poten­ziale di ogni comu­nità». Solo allora avremmo di nuovo una poli­tica della feli­cità. E qui comin­cia il dif­fi­cile: quel «solo allora», quel futuro… Se tutto ciò si svolge nel tempo, in un tempo non ancora finito – richiede una strana teleo­lo­gia, que­sto per­corso: una forma di vita che è anche una forma di spe­ranza?Ma noi  abbiamo coltivato dubbi e sospetti verso le teleologie anche  profane e umane troppo umane . Comun­que Agam­ben  ci toglie qualsiasi imbarazzo di metodo e di merito al riguardo e ci svezza  e immunizza da ogni illu­sione dichiarando il tema «né un nuovo ini­zio né una con­clu­sione», la teo­ria «sgom­bera solo il campo dagli errori», e quando li ha ridotti all’inoperosità, la teo­ria apre alla pratica. Se le cose stanno così, occor­rerà in primo luogo fis­sare uno stru­mento, costruire un punto di vista che inse­gua quell’orizzonte non ancora finito. Come dare futuro alla forma di vita e potenza all’inoperosità: alla «potenza desti­tuente»?Come evitare  il vizio assurdo del pensiero cartesiano e moderno  delle “potenze costituente” che ci fa diffidare  anche  di una “casa” come demoniaca sfida alla stanzialità, routine, universalità, etiche, politiche del “nomos e del logos” sotto mentite spoglie.  C’è un invito a ritornare  un momento indie­tro. Si sa che nella nuda vita risiede la con­di­zione dell’esercizio del potere. È nell’eccezione che l’homo sacer è incluso/escluso dalla città ed è sull’eccezionalità che il potere si fonda. Lo snodo teorico-pratico  è “lo stato d’eccezione” Su que­sto snodo, tut­ta­via, l’insistenza deve essere chiara e  estrema. Come uscire da que­sta con­di­zione? Ne “La comu­nità che viene nel ’90 ci mostrava il nega­tivo, la man­canza, risco­perti e coperti dal desi­de­rio – oggi invece vi è solo potenza desti­tuente, la con­vin­zione che non vi sia alter­na­tiva alla fuga nel con­fronto con il potere. Il potere è domi­nio. Esso non ha interna dina­mica né rela­zione, sostiene Agam­ben. Nes­sun movi­mento: quindi, per esem­pio, ogni potere costi­tuente non è ete­ro­ge­neo ma con­su­stan­ziale al potere costi­tuito; ed ogni arché è insieme ori­gine e domi­nio, sor­gente e ordine – quindi que­sti rap­porti vanno in ogni caso disin­ne­scati per­ché in quella pro­spet­tiva l’archeologia filo­so­fica può solo rag­giun­gere un punto di ori­gine ambi­guo, e si tratta, secondo Agam­ben, di disat­ti­vare que­sta ori­gine. La sua disat­ti­va­zione è l’inoperosità. Resta il pro­blema: e se invece il rap­porto arche­tipo, origine-comando, fosse solo modello di misti­fi­ca­zione, di legit­ti­ma­zione di un potere sovrano? È a que­sta que­stione che deve rispon­dere il filo­sofo poli­tico: che fare? Come aprire la temporalità? Agam­ben si era a que­sto scopo in pas­sato affi­dato a Hei­deg­ger – ora non più……e ci lascia un grande compito  non nella ontologia  ma nelle esistenza “nuda e cruda” in comunione con l’altro  evitando la salvezza  della “immunizzazione”e “distinzio” dall’altro che si fa politico politicante .

mercuzio

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