Il canto paesologico .....alla ricerca dello "io"
di
mauro orlando
Noi pensiamo che degli elementi essenziali
alla sua struttura (musica, parole, voce ) di questa forma - canzone “leggera”
sia la voce ad essere l’elemento centrale e determinante per una sua comprensione
e definizione.Senza voler enfatizzare la
sua funzione ,come scrive Grace Paley: “ La parola che esce dalla bocca è un
suono nell’eco di Dio”; una voce
significa questo , scrive Calvino : “C’è una persona viva, gola ,torace
,sentimenti, che spinge nell’aria questa voce diversa da tutte le altre voci”.
Nel suo racconto “Un Re in ascolto” ci parla di un Re che seduto immobile nel
suo trono tende ad educare l’orecchio per intercettare e decifrare i suoni che
lo circondano in funzione soltanto del suo potere e della paura di perderlo. La
logica dell’esercizio del suo potere diventa un controllo acustico meticoloso e
ossessivo del suo regno. Ogni suono, rumore, voce diventa indizio di fedeltà o
congiura. Tutto è da interpretare con inquietudine e sospetto: sussurri, grida,
rumori, vibrazioni, tonfi, lunghi silenzi e soprattutto voci. Voci nemiche,
fredde, o allegre, compiacenti, cortigiane, false e artefatte. Un re
prigioniero del suo stesso sistema di “potere”, fatto di paura e di una insicurezza costruito sull’ossessione,
violenza, persecuzione e sospetto.Una vita potente , piena, ma triste
,infelice ,non umana.Ma un bel giorno…….. l’incanto, la magia. Una
persona, un “io” di una “voce” . “quando nel buio una voce di donna s’abbandona
a cantare, invisibile, al davanzale di una finestra spenta”.Al re insonne
capita finalmente di udirla nella sua umana unicità.Allora si riscuote , si
ricorda finalmente della vita e ritrova
piacevolmente un oggetto, una persona per i suoi antichi desideri. Una voce
vera e inconfondibile di vita che si offre liberamente e naturalmente nel
canto. La voce nel canto,quindi.Nessuno
si può permettere, neppure lo scaltro e sagace Ulisse, di togliere il canto
alle sirene! Nessuna mutezza o silenzio è stato più tragico per l’uomo occidentale
che aver imposto il silenzio delle sirene nella vita dell’uomo. Sia quando
prendono il nome di ‘utopia’,’speranza’,’sogno’, o anche ’religione’ e perfino
‘ideologia’. “Ma se tu prendi la mia voce- disse la piccola Sirena- che cosa mi
rimane?” Scriveva Andersen nella sua famosissima “Sirenetta”. Nella nostra
cultura il canto (mèlos) è considerato naturalmente (fùsei, per natura)
femminile, leggero, caldo e lieve tanto quanto la parola( lògos) è considerata
naturalmente maschile.La voce degli uomini tende generalmente a sparire nel
lavoro insonoro, pesante,freddo della mente, ossia del pensiero logico e
razionale (lògos). Roland Barthes ricorda che non è più possibile definire
"l'ascolto come un atto intenzionale di audizione (ascoltare significa
voler sentire, in modo pienamente cosciente), attualmente gli si riconosce il
potere, quasi la funzione, di esplorare terreni sconosciuti: nel campo
dell'ascolto è incluso non solo l'inconscio, nel senso topico del termine, ma
anche, se così si può dire, le sue forme laiche: l'implicito, l'indiretto, il
supplementare, il differito. L'ascolto si apre a tutte le forme di polisemia,
di sovradeterminazione, di sovrapposizione, disgregando la Legge che prescrive
l'ascolto diretto, univoco. L'ascolto è stato per definizione, applicato; oggi
gli si chiede piuttosto di lasciar manifestare". L'abilità di colui che
pratica l'ascolto, l'analista, sarà quella di distinguere, differenziare ciò
che si sente, si ode, da ciò che si ascolta. Alberto Zino scrive: "L'udito,
ciò che viene udito, non è l'ascolto, anche se fra i due c'è dell'implicazione.
Ciò che è considerato udibile, è l'unico modo di rendere transitivo l'ascolto,
di soggettualizzarlo, di trovarne un autore. L'ascolto, in tal modo astratto
dal vuoto che comporta, non può che con-fermare,a un tempo connettere e
chiudere il conto."
Karen Blixen nel suo splendido racconto, “I sognatori”, racconta la storia di
una famosa soprano che,perdendo la voce,sente di aver perso identità e se ne va
in giro per il mondo cambiando ripetutamente nome . Nel momento clou del
racconto fa dire ad un devoto ammiratore della cantante per esprimerle il suo
amore :”…il mio cuore si mescola al suono della sua voce, finchè pensavo : questo è troppo; la dolcezza mi
ucciderà, non resisto più. Oggi ho capito il senso del cielo e della terra,
delle stelle ,della vita e della morte, dell’eternità..Ho voglia di piangere di
gioia”.
Nella rappresentazione teatrale ,comunitaria e
musicale nei paesi della
paesologia non sono importanti solo la storia sociale, la trama o il senso della storia,ma la “voce”
che da sola è capace di esprimere ciò
che le parole puntualizzano.
La voce degli uomini,in occidente, si è esercitata a sparire nel lavoro insonoro e pesante della
mente, ossia del pensiero ,il lògos. Dopo l’esperienza e la fine della metafisica…noi finiremo per ascoltare
solo noi stessi e a rincorrerci o interpretarci nei nostri sogni sempre più
freddi, lontani e nevrotici, mentre lentamente diventiamo ciechi e sordi per
l’esterno e per gli altri. A questo
proposito si potrebbe far riferimento ad una lettura “di parte” ma
particolarmente interessante del fenomeno: il contrasto tra il principio
femminile del “vocalico” e quello maschile del “semantico”.Ne La sera del dì di
festa una voce che canta nella notte, che prima non si udiva, poi si sente
avvicinarsi, di cui infine si percepisce l'allontanamento, il passare, lo
svanire nel nulla, è la cifra del divenire, e della sua percezione tragica in
Leopardi: le cose escono dal nulla per ritornarvi. La scena notturna del poeta
recanatese mi è venuta in mente leggendo queste parole a pag. 48 di A più voci
(Feltrinelli, Milano 2003) di Adriana Cavarero.…i suoni sono eventi dinamici,
non qualità statiche, e perciò sono transeunti per natura. Ciò che li
caratterizza non è l'essere bensì il divenire.Affermare che il suono è
caratterizzato dal divenire non è, tuttavia, un atto innocente: significa
situarsi in pieno nella tradizione dell'Occidente. Tutto il libro della
Cavarero sta dentro la filosofia occidentale, che comprende negli ultimi secoli
un vigoroso filone antimetafisico, che nel Novecento è germinato in vari modi,
dei quali il filone del pensiero della differenza è uno.
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