venerdì 17 dicembre 2010

Elisir d'amore.....per la "terra"





Sul voltare le spalle alla terra


Viviamo nell’epoca dell’impotenza. Nessuno sembra poter fare molto per la propria vita e per quella degli altri. È una condizione di tutto il pianeta. Forse è vero che qui in Irpinia abbiamo più problemi che altrove, ma è altrettanto vero che le opportunità qui ci sono, a cominciare, per esempio, dalla grande disponibilità di spazio e di terra. Il guaio è che nessuno ci insegna a vederle. Mia suocera ha quasi novant’anni e quando arriva il mese di aprile ricomincia a prendere la via della campagna per rimettere in vita il suo orto. Il clima di Bisaccia non consente grandi raccolti, ma il suo conforto sta nel fatto che la terra non si perda. In Irpinia gli orti spariscono via via che muoiono gli anziani. I ragazzi se ne occupano, piantano zucchine e cipolle, ma soltanto nel mondo virtuale. Ogni volta che vedo un ragazzo fare l’ortolano davanti al computer ho la misura esatta della bancarotta antropologica causata dal delirio modernizzatore che ha colpito le nostre contrade. Nei supermercati si incontrano normalmente persone che comprano l’insalata nelle buste, pronta per l’uso. Per i ragazzi la campagna esiste due giorni all’anno: il giorno di Pasquetta e quello di Ferragosto. Sono anche i giorni in cui si aprono molte delle case che abbiamo disseminato lontano dai centri. In molti paesi dove c’erano orti fiorenti, penso a Gesualdo, per fare un esempio, togli le antiche masserie in pietra sono state abbattute per far posto a penose villette in cemento, grandi e sgraziate. Abbiamo tanta terra, abbiamo prodotti straordinari, ma di agricoltura si parla pochissimo. La parola contadino è vissuta con vergogna e quando si parla dello sviluppo dell’Irpinia si parla di tutto, mai della campagna. Adesso nei paesi è impossibile trovare un uovo fresco. Se qualcuno tiene le galline immediatamente parte un ricorso dei vicini. Una volta c’era un maiale davanti a ogni porta. Adesso gli unici animali che si vedono in giro sono i cani randagi. E la gente non vuole vedere neanche quelli. C’è questa idea di sterilizzare i luoghi, di sentire soltanto la puzza delle automobili. Mi chiedo a cosa serva un paese senza mucche, senza pecore, senza galline. Mi chiedo a cosa serva vivere in un paese se non si ha voglia di coltivare un orto. Nei miei giri quando vedo qualcuno nei campi è sempre una persona anziana. Non ci sono piani strategici che possano funzionare se voltiamo le spalle alla terra. Un paese in cui nessuno sa potare un albero o fare un caciocavallo non è un paese moderno, è semplicemente un paese perduto. Non ho nessuna nostalgia per la civiltà contadina. Grandi fatiche e pochi piaceri, risse, miseria, grettezza. Se quel mondo è morto non si può non vedere che è la civiltà consumista quella che ci sta uccidendo. E allora, in attesa che nel mondo maturi un’altra via, riprendiamo i nostri sentieri, torniamo nelle nostre campagne. Non ci consentiranno di comprarci la macchina nuova o di andare in vacanza ai tropici, ma almeno avremo qualcosa di buono da mangiare. Vino, olio, castagne, nocciole, pane, formaggio, broccoli, insalata, noci, mele, ciliegie, non ci manca niente. Siamo noi la cosa che manca, è la nostra stupida pretesa di essere altro da quel che siamo.

arminio17@gmail.com

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