mercoledì 26 febbraio 2025




 Mai come negli ultimi tempi la discussione su cosa sia l’Occidente, sulla sua “crisi”, “declino”,

“tramonto”, o addirittura “autodistruzione”, è particolarmente fervente, almeno in certi

ambienti intellettuali, quelli più o meno (ma non solo) conservatori.

Non solo in Italia (si pensi al vivacissimo dibattito culturale francese, per esempio). Non è un

dibattito nuovo, ma risale come minimo a un secolo e mezzo fa, diciamo alle spericolate

avventure intellettuali di Friedrich Nietzsche. Ma a intensificarlo è stata sicuramente

l’accelerazione che la storia sembra aver preso negli ultimi trent’anni, in seguito ai processi

che vengono generalmente etichettati come “globalizzazione”. Soprattutto alle crisi che

l’hanno costellata, da quelle generate dalla sfida terroristica sino alla crisi pandemica, senza

dimenticare quella economico-finanziaria.

D’altronde, cosa è la globalizzazione se non l’apice della modernità occidentale, il momento

in cui anche le forze portanti che l’hanno trainata (la scienza-tecnica fondata

sull’”oggettivazione” del mondo), e gli ideali connessi (il Progresso) sembrano radicalizzarsi

pronti alla battaglia finale. Radicalizzarsi, ma anche paradossalmente convertirsi nel loro

contrario: la Ragione (seppur tecnico-strumentale) in irrazionalismo e relativismo;

l’oggettivazione del mondo nella sua “immaterializzazione” o “de naturalizzazione” (a cui

sembrano alludere ideologie come quella gender).

E infatti molti ritengono che la crisi la si possa “risolvere” solo ritornando in qualche modo ai

valori premoderni (Del Noce, Macintyre), al contrario di chi insiste (come fa Habermas che

poi però contesta alcune conseguenze della sua posizione) sulla modernità come “progetto

incompiuto”.

Altri (Heidegger, Severino), più radicalmente, vedono il declino già inscritto in nuce negli

albori dell’Occidente, in idee confermate poi dallo stesso cristianesimo, nel cui orizzonte si

svilupperebbero pure, e contrario, l’illuministica modernità (è il cosiddetto paradigma della

“secolarizzazione”). Altri ancora (Esposito ad esempio) hanno messo in luce la

complementarietà fra le ideologie del “compimento” dell’Occidente (Hegel) e quelle della sua

“crisi” .

Ovviamente, in questa breve nota, non si vuole prendere posizione, ma solo sottolineare, da

una parte, la complessità del tema, non riducibile alle opposte ideologie politiche sulla “crisi”

dell’Occidente; dall’altra, fare una constatazione. Che è questa: in tutte le dispute

l’Occidente viene considerato in rapporto a ciò che è stato o a ciò che sarà, in base alla

storia. Ed è alquanto paradossale perché Occidente, il luogo dell’occàso, cioè di dove

tramonta il sole, dovrebbe essere prima di tutto un “luogo” geografico, spaziale, più o meno

esteso o estendentesi (la globalizzazione è stata anche vista come una “occidentalizzazione

del mondo”).

E se Occidente fosse invece, appunto, prima di tutto un concetto di tempo e non di spazio?

Se a farlo sorgere non fosse proprio una particolare concezione della temporalità, quella che

vede il tempo come una retta e che vuole consumare il tempo accumulando diritti,

realizzazioni, progressi, eventi, in un vortice di novità che diventano fini a se stesse? Anche i

“reazionari”, in fondo, vogliono andare avanti, seppur per tornare indietro. Una suggestione,

ma dà da pensare


 I libri di Franco sono la storia di una amicizia particolare tra chi scrive le tue idee e i tuoi sentimenti di “ irpino della diapora” a cui a volte hai voglia di farne “ la tara” “ per abundantiam cordis” Le idee che mi sono piaciute discutere alla casa della paesologia di Trevico e nei bei giorni di Aliano cercando sempre di non incorrere di fatto nel pericolo di essere catalogato tra gli “ opinionisti e i problematici militanti e disfattisti”.

Ho necessità di rilevare la generale e diffusa consumazione del tradizionale lessico della estetica ...della letteratura e dell politica e della necessità di una loro riformulazione. Tuttavia, tale riformulazione deve scavare nel contenuto del lemmi fondamentali della filosofia e della poesia occidentale non con l’intenzione di operarne una “Überwindung” un oltrepassamento niciano o heideggeriano capace solo di congedarvisi,o contrapporvisi dialetticamente ma con quella di rivelarne il lato ancora “impensato”. ...e .mettersi sul “ camino activo” dello “svelamento...percettivo o riflessivo”.Per condurre a termine questo progetto, bisogna situarsi all'incrocio di campi concettuali e linguistici differenti: la filosofia e la poesia …” sophia e poiesis” …” sorelle nemiche” della vita materiale e spirituale.
L’ esperienza paesologica ….nella categoria di
“ arrendevolezza” del suo “ sapere” si attesta su un atteggiamento di riflessività nel mondo giocato sulla triade concettuale di Communitas, Immunitas e Bios. Il nodo problematico principale di questa rivisitazione è quello della “comunità”: “comunità” è , fuori da ogni influenza comunitaristica, come ideale astratto o utopistico otto-novecentesco ma come ciò che gli individui semplicemente sono quando sono assieme. Ma che cosa vincola gli individui gli uni agli altri entro una medesima comunità? È una sorta di “debito”, di onere, a farlo: quando questa obbligazione reciproca collassa, allora gli individui si “immunizzano” reciprocamente, trasformando la originaria communitas in immunitas.Tante sono le forme di immunizzazioni anche di carattere poetico, filosofico o politico. Il che vuol dire che gli individui si associano in comunità già risentendo della possibilità della rottura del vincolo comunitario. È per questa ragione che essi stringono reciproca relazione scambiandosi oneri e doveri. La comunità, cioè, si raccoglie in sé immunizzandosi dall’immune, da ciò che è fuori della comunità e per questo la espone a un rischio. È a questo punto, si può dire, che fa il suo ingresso nel discorso la traccia biopolitica: la mancanza che segna oggi in profondità gli individui riguarda la loro stessa sostanza di esseri viventi, per cui è soltanto attraverso la biopolitica – una politica che trattenga in vita la vita – che la comunità può raccogliersi in sé immunizzandosi dall’immune. È questo a fare della comunità contemporanea, ormai pienamente globalizzata, qualcosa dal volto diverso rispetto a quello del passato.
La paesologia quindi non deve incorrere nel facile pericolo di fondare il suo “ sapere esistenziale” sulla categoria della “contrapposizione” della dialettica “ amico-nemico” tra “ percettivi e logici” tra filosofia e filosofia e accettare la reversibilità tra “poesia pensante e pensiero poetante” .Il resto viene da solo spontaneamente e riflessivamente.
mauro orlando