Sogni visionari di un paesologo postmetafisico.
di mauro orlando
Fare una esperienza della paesologia non significa passarla necessariamente nell’imbuto della filosofia. Significa piuttosto sfruttare una occasione di ripensare la stessa filosofia, la consistenza e la pretesa autonomia dei suoi principi, i limiti entro i quali essa si è perimetrata in quanto sapere universale e necessario, per provare a metterli in crisi lanciandogli un “guanto di sfida” di pensiero percettivo-poetante al suo pensiero solo logico-formale. Fare questo non significa però, certo, abbandonare la filosofia come statuto di curiosità e di dubbio. Ciò che si rende così disponibile, al contrario, è un movimento di andata e ritorno tra il suo interno e il suo esterno; un esterno fatto di processi, pratiche, conflitti, sui quali si misurano, qualora la filosofia sappia raccoglierne la sfida, il suo passo e la sua capacità di tenuta.Una “esperienza paesologica” nella pratica e nella prospettiva di “un sapere arreso” non nel senso debole o liquido , può essere praticata e pensata come ricerca esistenziale e contemporaneamente come possibile destabilizzatore e falsificatore radicale dello statuto della filosofia come sapere-potere. Una esperienza legata alla categoria della provvisorietà e inoperosità che ci offre un esempio, uno dei più radicali, di un’autentica attività “politèìa-politica” della filosofia che non vuole costruire “polis” con fossati ma “comunità” con sentieri in entrata ed uscita. Una politica di una “ filosofia paesologica” in grado di spezzare l’inerzia di una tradizione, quella della filosofia politica moderna in particolare, e la separazione tra prassi e teoria ….logos e mithos….logos e poiesis.