mercoledì 10 febbraio 2016

....visioni paesologiche


Sogni visionari di un paesologo postmetafisico. 
di mauro orlando 

Fare una esperienza della paesologia non significa passarla necessariamente nell’imbuto della filosofia. Significa piuttosto sfruttare una occasione di ripensare la stessa filosofia, la consistenza e la pretesa autonomia dei suoi principi, i limiti entro i quali essa si è perimetrata in quanto sapere universale e necessario, per provare a metterli in crisi lanciandogli un “guanto di sfida” di pensiero percettivo-poetante al suo pensiero solo logico-formale. Fare questo non significa però, certo, abbandonare la filosofia come statuto di curiosità e di dubbio. Ciò che si rende così disponibile, al contrario, è un movimento di andata e ritorno tra il suo interno e il suo esterno; un esterno fatto di processi, pratiche, conflitti, sui quali si misurano, qualora la filosofia sappia raccoglierne la sfida, il suo passo e la sua capacità di tenuta.Una “esperienza paesologica” nella pratica e nella prospettiva di “un sapere arreso” non nel senso debole o liquido , può essere praticata e pensata come ricerca esistenziale e contemporaneamente come possibile destabilizzatore e falsificatore radicale dello statuto della filosofia come sapere-potere. Una esperienza legata alla categoria della provvisorietà e inoperosità che ci offre un esempio, uno dei più radicali, di un’autentica attività “politèìa-politica” della filosofia che non vuole costruire “polis” con fossati ma “comunità” con sentieri in entrata ed uscita. Una politica di una “ filosofia paesologica” in grado di spezzare l’inerzia di una tradizione, quella della filosofia politica moderna in particolare, e la separazione tra prassi e teoria ….logos e mithos….logos e poiesis.

,,,esperienza e aspettativa

Viviamo una “crisi epocale” dove un'unica certezza  si presenta verosimile e praticabile : l’orizzonte è un dato incerto.Siamo ancora dentro la parabola moderna dell’illuminismo filosofico  e  politico e nella  sua vocazione alla temporalizzazione e al principio realtà  e all’utopia e al principio speranza.Siamo portatori sani di “modernità”  e critici radicali della “modernità incivile” vivendo in modo provvisorio la necessità di un scommettere  su un “nuovo tempo storico” che chiamiamo ancora “umanesimo” in presenza di pratiche  sentimentali e passionali che indagano vivendo il rapporto tra esperienza e aspettativa.Evitando l’inganno del confondere la “secolarizzazione  della teologia” con la distruzione  del “sacro”  nelle esperienza umana e naturale. Altresì “en attendent un Godot”  poetico-percettivo dopo le metafisiche dualistiche  della filosofia della storia che avevano de-erotizzato il corpo  nella morsa universale e dicotomica “io-altro” o nel recupero del “logos-ragione” nella sua vocazione e capacità critica di produrre politica come messa in  crisi dello Stato.Resta comunque l’esigenza di costruire  una critica  della modernità, partendo dalla scommessa  su un nuovo tempo storico di “umanesimo delle colline” nel rapporto esperienza paesologica e aspettativa personale.Ribadendo alcuni punti fermi: l’orizzonte futuro è indeducibile solo  dalle esperienze passate, dal momento che tutto cambia in maniera inedita e una esperienza di  pensiero che parte dai conflitti politico-sociali, che coglie il presente come frutto di una lotta mai completamente mediata, che scopre gli equilibri dati alla luce delle precondizioni contraddittorie che li hanno prodotti, che intende tali equilibri come mai originari, originari essendo il conflitto, l’eccezione, la crisi, antropologicamente connaturati all’esistenza umana