Viviamo una “crisi epocale” dove un'unica certezza  si presenta verosimile e praticabile :
l’orizzonte è un dato incerto.Siamo ancora dentro la parabola moderna dell’illuminismo
filosofico  e  politico e nella  sua vocazione alla temporalizzazione e al
principio realtà  e all’utopia e al
principio speranza.Siamo portatori sani di “modernità”  e critici radicali della “modernità incivile”
vivendo in modo provvisorio la necessità di un scommettere  su un “nuovo tempo storico” che chiamiamo
ancora “umanesimo” in presenza di pratiche 
sentimentali e passionali che indagano vivendo il rapporto tra
esperienza e aspettativa.Evitando l’inganno del confondere la
“secolarizzazione  della teologia” con la
distruzione  del “sacro”  nelle esperienza umana e naturale. Altresì “en
attendent un Godot”  poetico-percettivo
dopo le metafisiche dualistiche  della
filosofia della storia che avevano de-erotizzato il corpo  nella morsa universale e dicotomica
“io-altro” o nel recupero del “logos-ragione” nella sua vocazione e capacità
critica di produrre politica come messa in 
crisi dello Stato.Resta comunque l’esigenza di costruire  una critica 
della modernità, partendo dalla scommessa  su un nuovo tempo storico di “umanesimo delle
colline” nel rapporto esperienza paesologica e aspettativa personale.Ribadendo
alcuni punti fermi: l’orizzonte futuro è indeducibile solo  dalle esperienze passate, dal momento che
tutto cambia in maniera inedita e una esperienza di  pensiero che parte dai conflitti politico-sociali,
che coglie il presente come frutto di una lotta mai completamente mediata, che
scopre gli equilibri dati alla luce delle precondizioni contraddittorie che li
hanno prodotti, che intende tali equilibri come mai originari, originari
essendo il conflitto, l’eccezione, la crisi, antropologicamente connaturati
all’esistenza umana
mercoledì 10 febbraio 2016
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