giovedì 11 agosto 2011

Elisir d'amore per ......mente e paesaggio.....



Lo spazio è una società di luoghi come le persone sono punti di orientamento del gruppo. C. Lèvi-Strauss

La cultura è il momento in cui il rapporto tra l’uomo e la natura,tra mente e paesaggio,tra ideale e reale si esprime e si realizza in sistemi di segni e di azioni.Ma bisogna sempre ricordarsi che da sempre abbiamo abitato luoghi e che oggi fa parte della moderne riscoperta del sé che sempre più si rifugia nell'isolamento e nell'autismo.
Il paesaggio è un presente ‘remoto' e interseca gli strati biologici e culturali della esperienza per liberarci dai labirinti che da solo ci siamo costruiti per paura o per comodità.
Il paesaggio scappadalle cornici e diventa appunto un fascio di gesti di appropriazione spaziale- materiale,simbolica, semiotica e mitica,creativa e distruttiva, che caratterizza e costruisce la storia culturale della nostra specie umana.




La nostra vocazione di ‘homo sapiens’ è soprattutto di verificare il nostro pensiero in quella terra di nessuno che delimita ogni discorso con la comunicazione di esso. Immettendolo nella sua esteriorità personale in una scelta pubblica con un libro si accetta di esporsi al rischio del più grave e doloroso fraintendimento e incomprensione. Questo accade semplicemente perché costitutivamente siamo avvinghiati culturalmente a visioni e convinzioni egocentriche in un abitudinario esercizio categoriale,lessicale e stilistico finalizzato o a una sapienza sistematica e pacificata in vista di opere scritte per la posterità o alla frammentarietà conflittuale, quotidiana e praticata senza destinatari e quasi senza autore. Accettiamo supinamente assenze o possibilità limitate di relazioni e uno svuotamento alleggerito di senso che ci trascina in un gorgo di “violento e dolorante silenzio”.
Mentalmente ci costringe a spezzare definitivamente ogni possibilità di dialettica formale o reale tra origine e compimento,perdita e ritrovamento, diversione e ritorno, ‘lògos’ rigido e “mithos” leggero, bellezza e bruttezza, ‘poièsis e teknè’ ……..Facciamo fatica a coltivare nella attraente e fascinosa incompletezza del superficiale non tanto il socratico “saper di non sapere” ma un “ non-sapere”attivo e responsabile se pur in una dimensione autonoma,libera e saparata dal sapere corrente ancora prigioniero delle rotture,lacerazioni,distinzioni e contrasti dialettici tra conosciuto e conoscibile,essere e non-essere,essere e divenire,bene e male,giusto sbagliato ……. Si tratterà di “passare dalle approssimazioni vacillanti dei filosofi dell’esistenza alla determinatezza oggettivamente fornita dall’esperienza” (Bataille).Il libro di Ugo Morelli, Mente e paesaggio (ed .Boringhieri) che sarà discusso al Castello d’Aquino di Grottaminarda (venerdì 12 ore 21)ci costringe ad abbandonare convinzioni e categorie consolidate nei labirinti della logica, dell’etica e di tutte le forme di metafisica della mente. Ci riporta in campo o mare aperto alle radici del nostro pensare vivibile. Le nostre tanto amate e rassicuranti categorie filosofiche che si sono esercitate per secoli di pensiero occidentale a risolvere l’intrigato rapporto tra pensiero e realtà viene riportato problematicamente alle sue radici non per riscoprire a ritroso “eden cognitivi e paesologici” ma a riconsegnare alla nostra mente la responsabilità e la sfida a ritrovare il nodo ,”il luogo del cuore”, che ci vincola alle nostre emozioni e alle nostre identità esistenziale prima che antropologiche ,etniche, filosofiche o politiche .Il paesaggio come futuro e come patrimonio visivo e intellettivo per dare senso e attualità al nostro essere sociale “hic et nunc” con una “mens” relazionale costruita e strutturata in una cultura specifica e personalizzata. Questo libro ci ripropone in modo concreto una sorta di “nuova ed antica paideia” non eteronoma e prescrittiva ma esclusivamente autonoma,conflittuale,aperta ,critica ed attiva. Tutti i saperi (etici,estetici sociologici,politici)vengono riportati al loro nocciolo cognitivo ed epistemico per riportare l’uomo e il suo “umanesimo” alla sua natura evolutiva e non dogmaticamente ingessata per riscoprire una specie umana “parte del tutto” e non come una “parte sopra le altre”.Ritorniamo al senso di fondo e non di sfondo del paesaggio che ci impone non solo il rigore della conservazione ma soprattutto la sfida cognitiva e politica della trasformazione. Ed il fatto che l’Autore ci propone questa sua ricerca in Irpinia e a Grottaminarda ,terra delle sue radici biologiche e culturali ,non è scelta a caso o di nostalgia regressiva. Richiama le nostre identità paesologiche e filosofiche a ricostruire le nostre soggettività nomadi, sismiche e divise a recuperare una unità nell’essenza-esitenza cognitiva e propulsiva delle proprie identità mortificate e terremotate nell’animo in nuove e conflittuali forme di esperienze. Consapevoli,però, che l’esperienza stessa porta il soggetto fuori di sé e la depriva di ogni “soggettività” leggera o pesante che sia.“Rimettere in questione il soggetto- spiega Foucault- significa sperimentare qualcosa che sbocca nella sua distruzione reale, nella sua dissociazione, nella sua esplosione, nel suo capovolgimento in tutt’altra cosa”. Può essere difficile e doloroso per le nostre inossidabili e comode convinzioni ma resta l’unica strada per poter costruire “Comunità libere ed aperte” e non “enclaves identitari e autoritari” e sopratutto non invischiarsi affascinati in una “microfisica dei poteri” come puro esercizio egoistico, retorico o sofistico.Discorso già archiviato e senza futuro per gli “irpini” di tutti i paesaggi appenninici del mondo emarginati da una “modernizzazione” disumanizzante ed epigonale.
Mauro Orlando



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