sabato 24 gennaio 2009

Elisir d'amore per .......una pittura come "martirio di gioia".



L'arte è come bere un bicchiere di vino

intervista a Gaetano Orazio, di Gennaro Mele

Nell'immediato dopoguerra, nell'arte si è verificata una profonda rottura con il figurativo e si sono avviate delle ricerche che hanno avuto come oggetto la materia, l'azione, il gesto. Oggi, invece, pare esserci un ritorno regressivo al figurativo. È da ritenersi un fenomeno di ripiegamento o un momento di ulteriore evoluzione delle indagini artistiche?

Innanzitutto metterei in risalto due aspetti riguardo l'immediato dopoguerra: il contatto con l'America, ovvero l'America che è venuta direttamente da noi per "salvarci", e il "dio che è morto" nei campi di sterminio. Dunque un momento di insicurezza e frantumazione che però ha dato dei risvolti positivi. L'artista ha cominciato a prendere una posizione coraggiosa di indagine diretta e personale della verità e non ad accettare dei dogmi imposti dall'esterno. L'introduzione del "sistema mercato all'americana" nel mondo dell'arte, poi, ha contribuito ad influire negativamente in tale indagine.Sono convinto che si continui a fare arte, malgrado la gran confusione. E ciò è dovuto, paradossalmente, al fatto che, malgrado lo stato di benessere diffuso che l'occidente ha raggiunto, vi sia una condizione forte e diffusa di insicurezza: la nostra società ha paura di perdere i privilegi raggiunti. Ed è proprio nelle fasi di maggiore inquietudine che aumentano gli stimoli per mettersi direttamente in gioco.Per essere più chiaro. L'artista in quanto individuo, in questa fase storica, per tutta una serie di meccanismi del sistema, vive una crisi drammatica della qualità. C'è effettivamente un recupero del "linguaggio perduto", il figurativo: ovvero mancano quelle condizioni estreme, come può essere una guerra, che spinga a porsi delle domende e a manifestare le proprie posizioni, e quindi ad avere il coraggio di intraprendere dei percorsi del tutto nuovi e antitesi ai precedenti.

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