venerdì 10 aprile 2009

Elisir d'amore per .........l'Irpinia dei suoi" tanti cittadini che si stanno stringendo ai loro paesi e al loro paesaggio"



Di Franco Arminio

È triste che si parli dei paesi solo in occasione dei terremoti o di altre grandi sciagure collettive. La realtà è che sull’Appennino, nel midollo dell’Italia, in cui ogni paese è una vertebra isolata, la terra trema, trema sempre. È il terremoto della desolazione. Un terremoto silenzioso che non porta alla tragedia improvvisa di ritrovarsi con la polvere in bocca e una trave sullo stomaco. C’è una grande ferita italiana, la grande cicatrice appenninica che corre da nord a sud. Ed è l’emorragia mai arrestata dell’emigrazione. I paesi dell’Abbruzzo e quelli irpini sono molto simili. La stessa cultura pastorale, la stessa civiltà contadina, malamente rottamata negli ultimi decenni in favore di una modernità incivile, modernità che porta a tanti guasti, compreso quello di fare case che crollano per scosse che in ogni altro paese civile non farebbero alcuna vittima.
È di cattivo gusto tirare fuori l’Irpinia come esempio da non seguire, come se il terremoto in Irpinia fosse stato solo un esercizio truffaldino. Bisogna sempre ricordare che quel terremoto ha ucciso tante persone, bisogna sempre ricordare che una sciagura prima che un’occasione per fare discorsi e allestire processi, è un evento che ci interroga sulla fragilità del nostro essere qui, sul fatto che l’attimo terribile è sempre in agguato per ognuno di noi.
Detto questo, gli abruzzesi dovrebbero per prima cosa evitare di fare quello che si fece in Irpinia nei giorni immediatamente successivi al sisma: non si devono abbattere le case non cadute, a meno che siano palesemente irrecuperabili.
In Irpinia le ruspe buttarono giù tante cose che potevano benissimo essere recuperate perché nel caos dei primi giorni dopo la grande scossa i paesi quasi facevano a gara a chi era più distrutto.
Poi, certo, ci sono state, le ingordigie di tanti e prima di tutto di un sistema politico che usò il denaro del sisma per accrescere il suo consenso, sistema ancora vivo nello spirito e nei personaggi che lo interpretarono. D’altra parte bisogna considerare che lo scempio fu possibile perché c’era un clima culturale assai diverso da quello attuale, un clima che portava alla rottamazione del passato, alla voglia di mettersi alle spalle un passato di miserie e disagi. Quest’operazione è riuscita, ma alla fine le persone hanno capito che avere la casa nuova e perdere il paese non è un buon affare. Penso che da questo punto di vista in Abbruzzo le cose andranno assai meglio. I tecnici, i cittadini, i politici sono assai più consapevoli di allora dell’importanza di recuperare i centri antichi. In Irpinia si puntò sul binomio ricostruzione-sviluppo. Ed è proprio lo sviluppo a non aver funzionato. La ricostruzione, che comunque ancora non è stata ultimata, ha certo deformato e stravolto molti paesi, ma non rappresenta un modello replicabile anche se si volessero applicare le peggiori intenzioni.
L’Italia di oggi è un grande circo dell’orrore, ma almeno ci sono tanti cittadini che si stanno stringendo ai loro paesi e al loro paesaggio. Insomma, non si vive solo di betoniere…


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