giovedì 30 aprile 2009

Elisir d'amore per ........"Fabrizio de Andrè"


.....Un ricordo che è memoria,emozione,cultura.........

il Pescatore (De Andrè) - PFM + Cristiano De Andrè + Roberto Vecchioni




"ILPESACTORE" è una delle più alte e popolari ricerche del senso comune, del senso morale del vivere assieme che la canzone d’autore abbia mai prodotto. E non solo quella. "Il pescatore" per parlare di Storia si parte da una storia comune e particolare.La Storia per De Andrè parte da un ottimismo della ragione e del cuore, da una sicurezza escatologica, da un preciso stretto manicheismo bene-male (non solo etico, ma politico, poliumano), che trascende ogni errore, ogni castroneria, ogni interpretazione parziale del passato, per assicurarci che gli uomini, noi tutti, protetti da un "elan vital", da un "pandemismo" (non panlogismo, pandemismo, uomini sopra le idee) percorreremo di sconfitta in sconfitta una vicenda universale che ci porterà alla verità. "Ilpescatore" è canzone-denuncia di falsi contingentismi, di totem momentanei, di approssimazioni, di attimi, di entusiasmi facili, di sirene e superfici, orpelli, credulità; ed è monito secco, intransigente, definitivo a chiunque voglia fare della vicenda di una intera umanità un caso di interessi particolari e personali e di porte e di potere. La Storia è tutto questo perché s’identifica con l’umanità e la sua avventura incompresa e sempre demandata ai vertici che l’hanno determinata: ovvero la storia è la ruota e la fame, la paura e il bisogno di libertà e non Napoleone o Bismark o Hitler o Saddam Hussein. Questo identificare la storia con l’umanità, con tutta l’umanità dei tanti singoli-individui, ha radici antiche, ma anche qui De Andrè prende le misure: non c’è niente di rivoluzionario, di sovversivo in quel che dice.Non c’è niente o quasi () di vichiano o idealistico, forse, un po’ più, ma nemmeno tanto di marxista.
La storia è soprattutto la storia di Bocca di rosa “ persona vera” ,” parabola semiseria della gioia, della fantasia, della libertà schiacciata dal comune pudore ,dal perbenismo, dal bigottismo borghese”. Non è preminentemente la lotta sociologico-politica tra “il diverso e il potere” che vuole raccontare o cantare Fabrizio come nella Guerra di Piero ma la rappresentazione poetica tra due essenze vere e concrete in una vita fatta di perenne conflitto non rimarginabile.
Conflitto oggettivo giocato tutto sul “silenzio magnetico ed eloquente” del Pescatore e su una intesa sapienziale di una storia profonda, grande e inspiegabile tra il pescatore e l’assassino. Il primo non ha la necessità o il dovere di rivelare l’incontro “ai gendarmi” fingendo di dormire il secondo che non avrà esigenze di dare giustificazioni o chiedere comprensione o compassione ,ma solo “pane”.
I protagonisti delle loro storie di vita non hanno niente di eroico o di santo.
“Posso dire ancora sulla Buona novella – scrive De Andrè- che dato il tipo di taglio conferito a questo argomento,probabilmente i personaggi del Vangelo perdono un poco di sacralizzazione, ma io credo e spero soprattutto a tutto vantaggio di una loro migliore e maggiore umanizzazione”.
mauro orlando

Elisir d'amore per ......Cairano ricordando Galvano

...il nostro viaggio di gioa e speranze verso Cairano non ci fa dimenticare le soffrenze e i dolori delle terre d'Abruzzo e le vecchie ferite dell'Irpina e di :

BALVANO


di Andrea Di Consoli

Tra i comuni più colpiti dal terremoto irpino-lucano del 1980 c’è sicuramente Balvano, piccolo paese a circa trenta chilometri di distanza da Potenza. Anzi, la notizia del terremoto fu lanciata proprio da questo paese, tanto che per almeno due giorni – nel mondo intero – si parlava di Balvano come dell’epicentro del terremoto. Nel 1980 gli abitanti di questo paese erano circa 2.300, attualmente, invece, sono meno di 2.000. Alle ore 19.34 del 23 novembre del 1980 la terrà tremò a Balvano per un minuto e venti secondi, con un’intensità di 11,3° della scala Mercalli. I morti furono 77, mentre nella sola chiesa di S. Maria Assunta, che crollò interamente, morirono 65 persone, soprattutto ragazzi di giovanissima età, che a quell’ora – per via della presenza in paese dei Padri predicatori – affollavano la chiesa (dove c’erano quasi 400 persone, e quindi molte si salvarono). Il sindaco di allora (democristiano, di quelli che avevano portato la DC al 78% alle elezioni comunali e regionali del 1980, per la gioia di Emilio Colombo) si chiamava Ezio Di Carlo. Di lui scrissero anche Giovanni Russo e Corrado Stajano nel libro Terremoto, che uscì nel 1981 per Garzanti. Scrisse Russo: “A Balvano, nella solita roulotte, c’è il sindaco, Ezio Di carlo, trentasette anni, medico insieme al veterinario, un commerciante, la guardia comunale e dei giovani. Il sindaco di Muro Lucano è comunista, questi è democristiano, ma si comportano allo stesso modo con la stessa efficienza brusca, senza retorica”. Oggi, a ventinove anni distanza, l’ex sindaco Di Carlo è capogruppo di minoranza nel comune di Balvano, ed è il medico più importante del paese. Dopo i primi massacranti impegni sul fronte dei soccorsi e della ricostruzione (tanto che per sei mesi, nonostante quattro figli, usciva alle 6 del mattino e vi rientrava soltanto a mezzanotte, magari mangiando scatolette di fagioli con il segretario comunale), Di Carlo ha subito alcuni processi (ben 13 capi d’imputazione), 200 firme di cittadini balvanesi contro di lui, mille accuse di appropriazione indebita di fondi destinati alla ricostruzione, alcune assoluzioni, una condanna di 8 mesi (per un recinto non autorizzato che fece intorno a casa sua, a sue spese) e ben due trionfali rielezioni. Insomma, un tipico “gliommere” di sentimenti grumosi e contrastanti del nostro litigioso e velenoso Sud paesano. Due cose sono certe, comunque: l’allora Commissario Giuseppe Zamberletti, il Guido Bertolaso di allora, prese la ricostruzione di Balvano a modello da imitare; mentre il collaboratore del Prefetto – che in quel frangente ogni sindaco aveva al proprio fianco – fu l’unico ad andarsene dopo dieci giorni, perché Di Carlo era bravo e autonomo di suo, e quindi non abbisognava di “tutor” statali. Dal terremoto, comunque, tutti ne sono usciti cambiati – in peggio, sembrerebbe – e questa è la principale lezione che Di Carlo, sulla sua pelle, ha imparato. Certo, sarà la storia a giudicare l’operato di Ezio Di Carlo, ma una cosa è certa: lui è la principale memoria storica del terremoto a Balvano: “Il terremoto lo stiamo pagando ancora oggi. 10 persone su 100 hanno disturbi ansiosi e depressivi molto gravi, e ci sono anche casi di psicosi depressive e schizofreniche. L’uso di psicofarmaci è aumentato molto, dopo il terremoto. Un ragazzo, che all’epoca sembrava sereno, e che giocava con i pompieri e con i soldati, è entrato in una depressione grave solo molti anni dopo. I danni di un terremoto si vedono soprattutto nel tempo”. Chiedo al medico Di Carlo se corrisponde al vero il fatto che i soccorsi giunsero, soprattutto nei paesi più sperduti, con colpevole ritardo – tra l’altro, l’allora Presidente della Repubblica, il socialista Sandro Pertini, lanciò la sua accusa (unico caso nella storia repubblicana fino ad allora) contro i colpevoli ritardi dei soccorsi del Governo nazionale (si era da poco insediato a Palazzo Chigi un precario Governo presieduto da Arnaldo Forlani) proprio da Balvano. Di Carlo è in controtendenza: “Assolutamente no, e le spiego perché. Quando si diffuse la notizia di Balvano epicentro del terremoto, il mio paese divenne sede di una straordinaria solidarietà internazionale. Non posso dire niente, da questo punto di vista. Le cose funzionarono bene”. Provo a punzecchiarlo su Emilio Colombo (che la sera del disastro partecipò a un cerimoniale ufficiale a Roma), ma la risposta è altrettanto precisa: “Vuol sapere una cosa? Emilio Colombo venne qui a Balvano, da solo, con la sua macchina, senza codazzo, addirittura la notte di Natale”. Ma Di Carlo ammette che un terremoto porta solo guai (“certo, circolano molti soldi, l’edilizia si sviluppa e, con l’edilizia, i commerci, ma ci si incarognisce, si dicono tante falsità. Si figuri che una volta in paese circolò la voce che io distribuivo a mano i soldi del terremoto. Ma è acqua passata, lasciamo perdere”). Molti in paese fanno notare che la ricostruzione di Balvano ha determinato un vulnus edilizio, e che le nuove costruzioni sono state fatte senza criterio, e con enormi speculazioni. L’ex sindaco Di Carlo è irremovibile: “A Balvano ci sono ancora 100 appartamenti in cemento armato che facemmo in quei mesi. Furono costruite come case di emergenza, e invece sono rimaste come case popolari. Cos’altro dovevamo fare?” Poi, prima di congedarci, mi mette a parte di uno studio che ha fatto in quanto medico: “La vuole sapere una cosa? Dopo il terremoto, nei nostri paesi, sono aumentati i casi di tumore al cervello, al polmone e all’intestino. E sa perché? Per colpa delle vernici dei prefabbricati, e dell’eternit, di cui non sapevamo ancora niente. E, ovviamente, anche per lo stress post-traumatico, e per le nostre scellerate abitudini alimentari. Il terremoto viene sempre accompagnato con altri mali, non viene mai da solo”. Infine mi detta la poesia che scrisse durante i giorni del terremoto, e che – m’informa – fu pubblicata sul “Corriere della sera” e sul “New York Times”. La ricopio integralmente: “Nell’aria immobile del primo inverno / freddo livore di luce / ombre lunghe di luna piena / sussulti improvvisi di terra impazzita / pietre di morte sulla mia gente”. Anche Pasquale Iacullo ha scritto alcune poesie sul terremoto – il suo libro più recente è Erano quasi le otto di sera, pubblicato dall’editore Arduino Sacco – e il suo punto di vista è molto più drammatico: “Dal terremoto in poi le cose sono cambiate per sempre. Non solo per i morti, 77, che per una piccola comunità come la nostra ha significato tanto. Ma per come è cambiata la comunità dopo il disastro. La gente non è più stata la stessa. Da allora la terra è stata abbandonata, e i giovani hanno preferito andare a lavorare nello stabilimento della “Ferrero” qui a Balvano, in cui lavorano circa 150 miei concittadini. Tenga poi conto che a causa dei 65 ragazzi morti, a Balvano manca all’appello un’intera generazione. Ma le voglio dire che la cosa più vergognosa è che il paese intero andò alla ricerca di un capro espiatorio, e purtroppo lo trovò. Tutti qui a Balvano diedero colpa del disastro a don Salvatore Pagliuca, che non aveva nessuna colpa. Dissero che la chiesa crollò per la sua incuria, per la sua disattenzione. Il povero don Salvatore è morto in solitudine nel 2006, a Muro Lucano, in una sorta di esilio. Una brutta storia. Subì anche dei processi, ma ne uscì sempre assolto”. Alle ore 19.34 di quella domenica sera, Pasquale Iacullo – attualmente impiegato comunale – che all’epoca aveva 22 anni, ed era disoccupato, si trovava in piazza, a pochi metri dalla chiesa S. Maria Assunta. Chissà se ha visto quello che in molti mi hanno raccontato, ovvero che per tentare di salvare qualcuno sotto le macerie della chiesa, molti, salendo sulle pietre crollate, schiacciarono ulteriormente i corpi seppelliti, magari ancora vivi. Ma Iacullo ha una sola ossessione: “Da allora il paese è cambiato. Anche la piazza, dopo quella sera, non è stata più la stessa”.

martedì 28 aprile 2009

Elisir d'amore per .......il buon gusto nella nuova Italia dei "nani e delle ballerine"

"In quella casa venivano vecchi che ormai non potevano trattare le donne come tali, e anche il dormire tranquilli con una ragazza simile poteva essere una momentanea consolazione, un inseguire le tracce dell'ormai passata gioia di vivere. C'era forse stato anche qualche vecchio che in cuor suo aveva pregato di dormire per l'eternità accanto ad una ragazza addormentata. Sembrava ci fosse qualcosa di triste nel giovane corpo delle ragazze, qualcosa che suscitava nei vecchi il sentimento della morte".
il premio Nobel Yasunari Kawabata

.........S A N T A .....
S U B I TO......

«Ciarpame senza pudore».

Così, Veronica Lario definisce, in una dichiarazione all'Ansa, l'uso delle candidature delle donne che a suo avviso si sta facendo per le elezioni europee. La signora Berlusconi ha deciso di mettere per iscritto il suo pensiero rispetto a questo 'leggero' imbarbarimentodella politca italiana.
«Voglio che sia chiaro - spiega - che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire».

LA DONNA IN POLITICA -

Alla domanda su cosa pensa del ruolo delle donne in politica, alla luce delle polemiche di queste ore, Veronica Lario risponde che «per fortuna è da tempo che c'è un futuro al femminile sia nell'imprenditoria che nella politica e questa è una realtà globale. C'è stata la Thatcher e oggi abbiamo la Merkel, giusto per citare alcune donne, per potere dire che esiste una carriera politica al femminile». «In Italia - aggiunge la moglie del presidente del Consiglio - la storia va da Nilde Jotti e prosegue con la Prestigiacomo. Le donne oggi sono e possono essere più belle; e che ci siano belle donne anche nella politica non è un merito nè un demerito. Ma quello che emerge oggi attraverso il paravento delle curve e della bellezza femminile, e che è ancora più grave, è la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte e questo va contro le donne in genere e soprattutto contro quelle che sono state sempre in prima linea e che ancora lo sono a tutela dei loro diritti».
"C' è ancora un giudice a Berlino"!

Veronica for president!
«Ciarpame senza pudore». Così, Veronica Lario definisce, in una dichiarazione all'Ansa, l'uso delle candidature delle donne che a suo avviso si sta facendo per le elezioni europee. La signora Berlusconi ha deciso di mettere per iscritto in una mail - in risposta ad alcune domande sul dibattito aperto dall'articolo pubblicato lunedì dalla Fondazione Farefuturo - il suo stato d'animo di fronte a ciò che hanno scritto martedì i giornali sulle possibili candidate del Pdl alle europee. «Voglio che sia chiaro - spiega - che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire». Io sono pazza di questa signora. Malli, che succede adesso?
di Amélie
PIÙletti
........con la famosa lettera a Repubblica. di Veronica arepubblica

Elisir d'amore per .....un ritorno di nostalgia e maliconia.


....è tempo di 'nostalgia'e di 'maliconia' per un ritorno pieno di doni e promesse........

....

Io penso che la nostalgia insieme alla maliconia fondamentalmente che sia un sentimento positivo, come sono tutti i sentimenti, perché sono impulsi che ci fanno vivere, che ci spingono in qualche modo nel futuro. Altrimenti saremmo completamente impassibili e sempre immobili. Non ci muoveremmo mai. In più la nostalgia o la malinconia, che è dentro la nostalgia, ha un doppio, una doppia tensione. Da una parte la tensione verso il ritorno a casa, che è quello di Ulisse. Ulisse piange sulla spiaggia di Calipso, l'abbiamo visto, perché vuole tornare a casa. Cosa vuol fare? Vuole tornare alla moglie, all'olivo nel quale ha scavato il letto nuziale. Il fine, il telos, direbbero i Greci, della nostalgia è quello: tornare all'olivo, perché Ulisse lì ha scavato il suo letto di nozze. E l'Odissea finisce, in un certo senso, con il ramo d'ulivo, che, non per niente è il segno di riconoscimento, ricordate, tra Penelope e Ulisse, quando Penelope non riconosce Ulisse. Finché lui non parla di questo, di come ha scavato, intagliato il letto matrimoniale dall'ulivo, Penelope non lo riconosce. Quando lui ha detto questo, a Penelope le si sciolgono le ginocchia e diventa, la similitudine di Omero, diventa come un naufrago che arriva finalmente alla riva. Cioè Penelope diventa come Ulisse, proprio alla fine. Quindi questo è un impulso della nostalgia, quello di tornare a casa, all'ulivo. L'altro impulso invece - nostalgia significa male del ritorno nostos-algos, in greco -, l'altro impulso è quello di andare via, cioè nostalgia verso l'ignoto. Ricordate che nella scena dell'Ade, quella che abbiamo visto prima, quando Ulisse tenta di abbracciare la madre, quando la madre gli parla della morte, eccetera, Tiresia gli profetizza il futuro e gli profetizza questo futuro dicendogli:
"Tu tornerai a casa, ucciderai i pretendenti, ti ricongiungerai con tua moglie - e via di seguito, però non è finita lì. "Poi devi partire per una pena infinita, un ultimo viaggio", dice.
E cosa deve fare Ulisse in questo ultimo viaggio, Ulisse, Deve prendere un remo, se lo deve mettere sulle spalle, e deve viaggiare all'infinito, finché non arriva in un paese, dove non conoscono i remi, che sono "ali alle navi" - Poi Dante riprenderà questa definizione quando dice: "dei remi facemmo ali al folle volo" -; che non conosce i remi, che non conosce il sale, che non conosce il cibo condito col sale, che non conosce il mare. Quindi prendere il remo e andare in un luogo che non conosce il mare. Andare all'infinito, perché per Omero, per il mondo, la cultura di Omero, un mondo che non conosce il mare non esiste. Dov'è? In mezzo all'Africa, al Congo, oppure in Siberia? Il mare, nella civiltà greca è comune, come a Napoli. No? Ecco questi due sono gli impulsi della nostalgia. E uno è il testo omerico, diciamo, un altro è il testo dantesco. Tutte e due riguardano Ulisse. Sembrano due poli opposti, in realtà sono due poli assieme. Se voi prendete, c'è una bellissima lirica scritta in quella, composta in quello che è il Medio Evo, cosiddetto "più buio" della nostra civiltà, cioè tra l'Ottocento e il Novecento dopo Cristo, in Inghilterra, si chiama The shiffer, cioè Il navigante, e adesso ve ne leggo alcuni versi, perché lì il personaggio centrale è un io che parla, potrei essere io di persona. Anzi io che mi identifico molto, come dicevo prima, con questo personaggio, il quale ha paura di andare via, ha paura del mare. Il mare naturalmente è un mare invernale, un mare nordico, come quello di oggi a Santa Maria di Castellabbate, per capirsi, tremendo, vento, tempesta,marosi altissimi eccetera, però nello stesso tempo vuole anche andare via. Ecco il testo, vi leggo l'inizio e poi il pezzo centrale::"Dirò di me stesso un canto vero, i viaggi narrerò. Come in giorni duri spesso ho sofferto tempi di pena, ho sentito nel cuore amara la cura, nelle chiglie trovato dimore di dolore, sulle onde in tumulto dove spesso mi tenne veglia ansiosa di notte, alla prua della nave, che rollava alle rocce. Eran dal gelo i piedi premuti, legati dal ghiaccio in fredde catene, mentre pene soffiavano calde dal cuore e fame strappava lo spirito dentro, stanco del mare. Quell'uomo non sa, cui tocca su terra di vivere bene, come miserando sul gelido oceano, d'inverno ha percorso le vie dell'esilio, privato d'amici, pendevano attorno verghe di ghiaccio. Turbinava la grandine".Questo è il senso veramente dell'assenza, del dover andare via su un mare, su un oceano fondamentalmente ostile. E però lo stesso personaggio, lo stesso poeta, lo stesso narratore dice, poco più tardi, e il paesaggio non cambia, siamo sempre in un paesaggio quasi artico, per così dire, se volete, scozzese, scandinavo, dice::"A notte l'ombre brunivano, nevicava dal nord, sulla terra ghiacciata cadeva la grandine, il più freddo dei grani. I pensieri del cuore mi turbano, ora, che sui mari profondi debba lanciarmi, nei flutti salsi in tumulto. Ogni volta però la voglia del cuore spinge lo spirito a viaggiare lontano, a cercare le terre straniere. Pure al mondo non c'è chi, sì folle di cuore, sì largo di doni, in giovinezza sì forte, sì ardito in imprese, con signore sì amico, sempre non abbia, ansia del viaggio, per il fato che a lui riserva il Signore. Non ha pensiero per l'arpa, per possesso d'anelli, né piacere di donna, né gioia mondana, né cosa alcuna fuorché l'onde rombanti, ma sempre si strugge chi si spinge sul mare, sempre si strugge chi si spinge sul mare".E questo, la parola originale in inglese, anzi in inglese antico è longung, cioè longing, che vuol dire nello stesso tempo desiderio e nostalgia, malinconia. Quindi si traduce struggere, struggimento, proprio perché è questa sofferenza delle due tensioni opposte, che uno vuole andar via e vuole anche tornare, o vuole tornare, ma vuole anche andar via.Questo è il sentimento di attrazione e repulsione tra L'Irpinia e il Lago di Garda in bilico tra malinconia e nostalgia

Elisir d'amore per .........un continuo ritorno.

Notturno Concertante - Acoustica 2008 - Grottaminarda



Si sta avvicinando il giorno del ritorno a Desenzano ,al Bar Bosio ...agli amici di sempre! Un "nostos" a rovescio come capita spesso alla mia vita di "viandante" per scelta.Torno dopo due mesi di immersione nei miei sapori,odori,sentimenti, territori di Irpinia con sbocco a mare nella deliziosa ed umana S.Maria di Castellabbate.Finalmente ho rivisto o visto per la prima volta la mia Irpinia e costruito il mio viaggio verso Cairano per l'appuntamento di Giugno.Me ne torno con gli occhi pieni del verde dolce e leggero delle terre di Flumeri,Frigento,Rocca S. Felice, Gesualdo,Lioni,Torella e.......sopratutto Cairano e nelle orecchie la musica nuova ed antica di alcuni giovani grottesi che non conosco personalmente ma che hano cantato per me a rinforzare la mia nostalgia questa estate! Un buon viatico di sentimenti,ricordi, idee come "sapore d'acqua natia....che rimanga nel mio cor esule a conforto " con un patto tacito ed intimo di ritornarci al più presto.

sabato 25 aprile 2009

Elisir d'amore per ......il 25 aprile democratico e antifascista.

"Caro papa’, peccato che non ci saro’ piu’ il giorno della pace. Ho sempre sperato di contribuire allora con tutta la mia forza ed energia alla ricostruzione, non soltanto materiale, ma anche spirituale. Il nostro lavoro propriamente detto non comincia che dopo la guerra: eliminare l’odio fra i popoli. Perche’, solo quando questo non esiste piu’, la vera pace puo’ venire. Solo allora il fondamento della pace - la fiducia - puo’ fare il suo ingresso nel mondo. Fa’ di contribuirvi anche tu come meglio potrai. Per rendere migliore il mondo dobbiamo cominciare da noi stessi".





Le Costituzioni si fondano sempre su dualità conflittuali che danno energie costituenti che nel tempo possono essere superate e portate ad unità in un ordinamento che può ottenere il consenso e il riconoscimento di tutti i cittadini se se ne danno le occasioni e le possibilità.Una unità che è sintesi comunque di lacerazioni,divisioni e separazioni di partenza.Ogni ordine politico nasce da un disordine o conflitto preesistenti, fecondo e anche sanguinoso.Pur con queste premesse e storie concrete la Carta costituzionale non può essere solo contenitore inerte,senza vita e vuoto in cui tutto e tutti possono starci legittimamente e indiscriminatamente senza una accettazione di fondo dei suoi principi costitutivi. Deve pertanto per un certo tempo continuare a preservare e conservare una sua 'rigidità' nei principi ,negli orientamenti e negli obbiettivi.
La costituzione italiana in particolare è un 'patto' storicamente determinato che nasce da una esperienza storica che vede nella Resistenza al nazi-fascismo un suo connotato materiale e non formale.Una resitenza complessa e poliedrica socialmente e culturalmente che conserva in sè un progettodi democrazia ancora da realizzare, un passato che è presente,un origine che è attuale.
Che sia 'antifascista' è un suo elemento originale e connotativo, come qualità specifica di una democrazia autentica e non virtuale nè ideologica,incluisiva e non populista,pluralistica e non conformistica, laica e non clericale, liberale e non autoritaria,umanistica e pluralistica,non etnica e o plutocratica.
Visto i tempi che corrono .....mi mancavano i sostantivi ed ho esagerato giocoforza con gli aggettivi qualificativi e non.

B U ON 25 A P R I L E .....sempre!
mauro orlando

venerdì 24 aprile 2009

Elisir d'amore per ......"la carovana nomade" verso Cairano.

......in viaggio verso C A I R A N O
con la "carovana nomade".....
21-28 giugno

Wittgentein ci dice che quello che sembra una certezza ,è “uno sfondo ereditato” qualcosa che abbiamo imparato.E anche di “noi”,gli oggetti ,le persone non sono realtà inoppugnabili ma spressioni di regole grammaticali ( linguaggio) che abbiamo appreso e che ora ci circondono come una seconda pelle.Come l’acqua per i pesci,come l’aria per noi , la cultura ci forma e ci conforma.Gli idealisti sostenevano che la realtà non è tale ma è una proiezione della mente o le cose devono tornare al loro posto,quello che il senso comune, le certezze intuitive e indiscutibili, assegnano ontologicamente?
Da tempo abbiamo imparato che a una parola corrisponde una parola,, che al racconto di un’azione corrisponde un’azione,ad una espressione del volto un moto dell’animo.Queste sono le nostre regole grammaticali.La grande verità è che “lo sfondo ereditato” è una struttura provvisoria,storica e quindi soggetto agli accidenti della storia o delle storie individuali.Le nostre regole grammaticali e sintattiche,cioè il mondo che ci informa e conforma, è soggetto al continuo cambiamento perché è una costruzione umana e come tale non ha nulla di fondamentale che permane.Va ridiscussa quindi l’intera antropologia.La nostra identità è sì una seconda pelle e la cultura è sì l’orizzonte di senso in cui fiduciosamente ci muoviamo senza farci fin troppe domande, ma anche che essa è un vestito che può essere cambiato e la nostra cultura è un orizzonte che può mutare.Il vestito,cioè l’identità, è indispensabile ma non bisogna prenderlo troppo sul serio.
Quello che conta è non perdere il centro in se stessi.E’ quello che ci permette di continuare a vivere o sopravvivere nel deserto della storia cercando di scoprire “i difficili segnavie” tra le precarie e mutabili rotte dei carovanieri viandanti nella storia o nelle storie.In una realtà che non ha strade segnate,definitive e sicure ( se ne vedi una è sicuramente o possibilmente un “miraggio”,l’uomo è sempre più un nomade o un viandante che è sicuro solo di stare in quel posto in quel preciso momento.Il suo è movimento puntuale , da un punto a quello immediatamente successivo .Il problema è non farsi prendere dalle vertigini dello spazio liscio o dalla paura della solitudine.
Educarsi a vivere senza mappe dal momento che il contesto sociale non è più in grado di dare senso alle nostre azioni.
Siamo come carovane nomadi che si muovono su un terreno liscio, e non dobbiamo lasciarci ingannare dagli orizzonti in movimento, senza enfatizzare il vestito che indossiamo, non lasciarci sopraffare dalla disperazione,quando manca l’acqua o l’oasi non corrispobnde alle indicazione della mappa o delle speranze..Vivere senza mappe è alienante solo per chi è educato a vivere di mappe e finalismi o verità eteronome.Sicuramente è un vivere con un senso di povertà antropologica e può essere faticoso ma è sicuramente meglio dell’iperattivismo dei nuovi mutanti o delle pigrizie immobilizzanti dei soparvvisuti alle mitologie ,alle metafisiche o peggio alle teologie astratte ed autoritarie.
.............è con questo spirito che abbaiamo intrapreso questo viaggio immaginifico e concreto verso C A I R A N O........

giovedì 23 aprile 2009

Elisir d'amore per .......gli "amici" a Grottaminarda.



......." la cherubina" Edda alla ricerca del 'genius loci' di Tommaso sui bastioni del Castello d'Aquino di Grottaminarda......






APPUNTAMENTO FUORI ROTTA: "la biblioteca dell'anima"

domenica 26 aprile 09

a Grottaminarda (AV)

E' finita la vacanza di Mercurzio e Edda: incontro specialissimo per salutarli.

ore 10.00 BAR-PASTICCERIA "CIOTOLA" di Grottaminarda (AV)

"cornetto e caffè filostrofico: con Mercurzio, Edda, Fabbrizio, Nannalisa e Nanosecondo, e .... "

ore 11,00 giro di salumi di Mercurzio e Edda per parenti e paesani tutti. Accompagnamento in processione per "gli uomini beati" con gioviali salumi;

ore 13,00 pranzo salutare presso ristorante localissimo (dieta specialissima e si spende poco. Si fà alla romana perchè non si puo fare alla grottama.);

ore 15,00 Passeggiatina Paseologica con ruttino e scorregina solidale;

ore 16,00 Cerchio del Council "non si può essere felici da soli" (a casa di Mercurzio e Edda - Mauro Orlando Via Minichiello, 90 Grottaminarda (AV);

ore 18,30 ABBRACCI LIBERI e saluti celistiali ai nostri angioletti Mercurzio e Edda.

mercoledì 22 aprile 2009

Elisir d'amore per ......un 25 aprile festa della memoria e della Repubblica democratica nata dalla Resistenza

ANTIFASCISMO TRA MEMORIA E STORIA



“ La memoria è una attività che esige autocontrollo oltre che severità, è materia ad alto rischio. Può destare la coscienza di un dormiente, ma anche alimentare odi insaziati quando il rammemorante si concentra sulla propria condizione di vittima. Può venire in aiuto rivelando quel che fino ad ieri era mal raccontato, e può essere adoperata infine come mezzo politico, per azzittire e sgominare un rivale” B. Spinelli ,Il sonno della memoria, Mondadori.





L’antifascismo non corrisponde a un orizzonte di valori che appartiene al passato, non è un abito vecchio e consunto, fuori moda da riporre ormai in soffitta.
Esso ,oggi, non è solo utile, ma serve alle nuove generazioni per garantire alla democrazia una fedeltà attiva , viva e profonda alle idee della Resistenza e una indiscussa adesione e difesa dei valori della Repubblica .
E’ responsabilità ed impegno di una concezione della cittadinanza attiva, consapevole e responsabile non permettere che la storia del Novecento e della nostra giovane democrazia costituzionale anneghi nella indifferenza, indistinzione e meno che meno nel “sonno della memoria”.
Giusto il monito di S. Luzzato a tutti i nuovi “custodi e sentinelle” della Carta Costituzionale nata dalla Resistenza antifascista :” Fascismo ed antifascismo si allontanano nel tempo. Le nuove generazioni sembrerebbe essere meno coinvolte da quello scontro di valori. Ma il futuro nasce dalla storia e non dalla cancellazione del passato. Un paese maturo può, forse deve, fare i conti con una memoria divisa.
Oggi non abbiamo bisogno di “memoria condivisa” ma di “storia condivisa” , in questo senso abbiamo più bisogno di storia che di memoria e nel rapporto necessario di una comunità con la sua storia, distinguere quanto riguarda la reminiscenza o le storie individuali e quanto alla memoria plurale.
Non ci è utile un : ‘revisionismo’ …”come manipolazione strumentale a sostegno delle posizioni dominanti nelle istituzioni…una funzione servile o mercenaria come adesione alle richieste provenienti dai nuovi poteri emergenti dalla società. Non come messa in questione delle nostre interpretazioni del passato (ciò che è sempre una componente fondamentale del lavoro dello storico) ma come manipolazione strumentale a sostegno dell’una o dell’altra posizione dominante nelle istituzioni, nei partiti e nel mondo del potere economico” (P. Prodi , Repubblica ,27 sett. 2004)
Noi non abbiamo comunque bisogno di “memoria condivisa” come “smemoratezza patteggiata “ o “ “comunione nella dimenticanza”.
Anche la nostra lacerata e combattuta storia civile e costituzionale non può essere diluita nell’indeterminatezza di una interpretazione storiografica ‘bipartisan’ che distribuisca equamente ragioni e torti, elogi e necrologi.
Il senso e il valore politico della nostra Costituzione perderebbe il suo significato simbolico di riferimento ideale ed etico e la sua necessaria e fondamentale funzione pattizia , scelta e condivisa, per definire e costruire una comunità sociale viva e proiettata in futuro di ulteriore sviluppo democratico.
La Storia, la nostra storia, è veramente maestra di vita proprio in quanto concede a noi, posteri ed assieme iniziatori, “beneficio di inventario”.
Il nostro inventario non può non partire dalla base ideale e storica dei primi dodici articoli dei “Principi fondamentali” della nostra Costituzione democratica e antifascista. Dove “democratico ed antifascista” non sono aggettivazione di fenomeni anagraficamente residuali o di zavorra ideologica o di senilità, di una mitologia della ritualità vuota , ma principi da praticare e difendere da tutti i piazzisti della storia e del giornalismo che quotidianamente ci propinano lezioni di relativismo storico e morale a buon mercato contro la irreversibile e ineluttabile crisi della forma-partito tradizionale, nel disagio per i limiti di efficienza della democrazia rappresentativa, nell’acquiescente e inelluttabile trionfo planetario di una ideologia capitalistica liberista e postmoderna.
Al di là dei suoi tempi , una democrazia è definita dalle sue forme e dai suoi contenuti noi ,come cittadini liberi, attivi e responsabili, noi facciamo una scelta di campo preferendo una democrazia parlamentare, pluralista e rappresentativa ad una populista, razzista e plebiscitaria. Queste nostre preferenze noi le leggiamo scritte e vive nella Costituzione italiana repubblicana ed antifascista.
Ben consapevoli – come ben ha scritto S.Luzzatto - che : “Chi ha avuto il privilegio di nascere libero non può, né deve calarsi nei panni di chi è stato schiavo dell’una o dell’altra utopia novecentesca. In compenso, farà bene a capire che neanche la più libera delle generazioni è libera del tutto, completamente separata da quelle che l’hanno preceduta e da quella che la seguiranno”.

Elisir d'amore per ........Cairano meraviglioso.

Cairano........meraviglioso!
dal 21 al 28 giugno







"Qualche volta può capitare di guardare il mondo in modo diverso, di meravigliarsi che le cose stiano in un certo modo. In questi momenti accade di guardare il mondo 'con occhi greci' ovvero con gli occhi dei Greci." La meraviglia è consapevolezza della propria ignoranza e desiderio di sottrarvisi, cioè di apprendere, di conoscere, di sapere. Ecco perché proprio la meraviglia, secondo Aristotele, è l'origine della filosofia, ovvero della ricerca disinteressata di sapere. Stato d'animo raro e prezioso, la meraviglia è la sola espressione della vera libertà. A Cairano si può anche cogliere una occasione di una esperienza 'meravigliosa' che ci può portare a rileggere autenticamente il pensiero dei grandi filosofi della classicità e costruire un sorprendente percorso attraverso le domande senza tempo che la filosofia occidentale ha continuato a porsi, formulate per la prima volta dai Greci: che cos'è l'uomo, che cos'è la felicità, chi sono gli dèi, qual è il nostro destino?
Può essere una buona e non ultima ed unica occasione.







lunedì 20 aprile 2009

Elisir d'amore per ........la democrazia.

«Il "popolo" che esercita il potere non coincide sempre con coloro sui quali quest’ultimo viene esercitato. La volontà del popolo significa, in termini pratici, la volontà della parte di popolo più numerosa e attiva - la maggioranza, o coloro che riescono a farsi accettare come tale; di conseguenza, il popolo può desiderare di opprimere una propria parte, e le precauzioni contro ciò sono altrettanto necessarie quanto quelle contro ogni altro abuso di potere».
S.Mill


Biennale Democrazia è una manifestazione culturale di respiro internazionale che si richiama alla lezione civile di Norberto Bobbio e vuole essere uno strumento per la formazione e diffusione di una cultura della democrazia. L’evento prevede cinque giorni di grandi manifestazioni pubbliche. Per il programma completo della manifestazione:http://www.biennaledemocrazia.it/
Sul concetto di democrazia seguiamo Bobbio: “Nella democrazia moderna il sovrano non è il popolo ma sono tutti i cittadini. Il popolo è un’astrazione, comoda ma anche, come ho detto, fallace; gli individui, coi loro difetti e i loro interessi, sono una realtà. Non a caso a fondamento delle democrazie moderne sono le Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino, sconosciute alla democrazia degli antichi” . Dall’astrazione popolo bisogna tornare alla realtà dei cittadini; dalla sovranità di un’entità astratta alla legittimazione dei diritti della persona, sintesi di uomo e cittadino; dalla massa, all’individuo. Non più la massa è portatrice di socialità; bensì gli individui che si aggregano in società. Se ne deduce che fondamento della democrazia degli antichi è la “comunità”; mentre, invece, fondamento della democrazia dei moderni è l’individuo. Assunto che non costituisce semplicemente uno spostamento dei centri di gravitazione dell’analisi e del giudizio di valore, ma, più precisamente, una frattura netta. Si potrebbe dire: il passaggio indica un cambio di paradigma e, nel contempo, un rovesciamento della rappresentazione della situazione politica concreta.
Il popolo può invece divenire tiranno, e in misura assai più invasiva di quanto avvenga quando si è alle prese con il dispotismo ordinario. È quello che suggerisce Mill: una volta creata la repubblica democratica, espressioni come «autogoverno» e «potere del popolo» cessano di significare quel che si sforzavano d’indicare quando erano propositi astratti se non utopici, e non esprimono più il vero stato delle cose.
È un memento che conviene tenere presente, oggi, quando ci si interroga attorno al torpore più o meno grande dell’opinione pubblica o ai benefici più o meno estesi del controllo sociale. In maniera sotterranea ma ancor più pervasiva, la tirannia della maggioranza si insinua in ogni interstizio dell’opinione pubblica e trasforma il controllo sociale in una gabbia, non appena si escludono dalle proprie valutazioni le voci dissidenti. La società stessa infatti, come il popolo, può tramutarsi in despota, e il controllo che esercita corre permanentemente il rischio di divenire, secondo Mill, più efficacemente tirannico di innumerevoli tipi di oppressione politica: «Poiché anche se generalmente non ottiene d’esser rispettata con pene altrettanto severe, \ lascia meno vie di scampo, penetrando molto più profondamente nei dettagli della vita e rendendo schiava l’anima stessa».
Proteggersi dalla tirannide tradizionale non è sufficiente, dice ancora Mill: «È necessario anche proteggersi dalla tirannia dell’opinione e del sentimento predominanti, dalla tendenza della società a imporre, come norme di condotta e con mezzi diversi dalle pene legali, le proprie idee e usanze a chi dissente, a ostacolare lo sviluppo - e a prevenire, se possibile, la formazione - di qualsiasi individualità discordante, e a costringere tutti i caratteri a conformarsi al suo modello. Vi è un limite alla legittima interferenza dell’opinione collettiva sull’indipendenza individuale: e trovarlo, e difenderlo da ogni abuso, è altrettanto indispensabile alla buona conduzione delle cose umane quanto la protezione dal dispotismo politico».

Elisir d'amore per .........un passato che ci fà capire il presente.

“Il profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo”.



venerdì 17 aprile 2009

Elisir d'amore per .......l' I N T E R


Pazza Inter.........


L'Inter non è un concetto,un idea......o solo una passione


è..........una "categoria dello Spirito ........assoluto.


"Un amore nasce, ha un'intensita', sfiorisce, muore, puo' e non puo' dare un colore a tutto il resto. La storia sentimentale rimane invece anche dopo la fine, e l'uomo, il mondo, la parola, i vigili urbani, le prostitute, i sassi vivono in funzione di quella speranza prima, di quel ricordo poi; non solo, ma si trasformano. Ogni valore, ogni sensazione nascono, hanno un'intensita', muoiono nella speranza prima, nel ricordo poi."R. Vecchioni




Si diventa interista col tempo nello lo scontro tra il fordismo padano e prosastico del 'ragioniere' Rocco e l’edonismo poetico e creativo del 'mago' Herrera . Diventa un fatto antropologico,culturale ….filosofico.”Tertium non datur” ….mi dispiace per i “parvenus” juventini che di fatto sono storicamente e culturalmente fuori dalle dicotomie essenziali della nostre radici culturali e filosofiche dell’Occidente calcistico classico e moderno . Essi sono tuttalpiù espressione ‘sociologica’ e come tale vanno agonisticamente affrontate nella sfera del ‘tattico’ mai dello strategico .Essi sono l'esistente noi l'essenza del calcio. Potranno nell’eventualità essere reali ‘avversari’ del momento mai assurgere alla categoria cognitiva del “nemico” sistemico. Essere interista è sopratutto avere e vivere un particolare stile o visione della vita o del mondo. I tedeschi che sono pensatori seri e profondi la chiamano in modo discriminatorio ed originale “ weltanschaung”. E’ nel dna biologico naturale per i darwiniani e un ‘dono’ e una ‘fede’ per i credenti o diversamete credenti , pur restando aperti agli influssi occasionali della cultura , della sociologia o della storia . Per un interista non c’è Presidente tecnocrate,mediatico o economicamente potente che possa manipolare questa sua passione o sentimento in gregarismo o sottomissione stumentale politica. L’interista è un ‘animale pensante’ che si nutre soprattutto dell’ arte dell’imprevisto,dell'estro, del caso ,del sogno ma sopratutto dela libertà.Vola alto e ama e si nutre di iperbole e paradossi.
L’interclub “Roberto Vecchioni” di Stradella é il microcosmo paradigmatico del polimorfo e polifonico popolo interista nella sua composizione singolare-plurale e nel suo aspetto liquido , poetico,musicale e creativo nella figura del Presidente Roberto Vecchioni e in quello solido , pragmatico,operativo, del suo conduttore e factotum Mario Filipponi. Un organismo vitale con una comune identità , racconti e una sua lingua che è soprattutto un modo di stare insieme , per sognare e soffrire insieme , per capire e farsi capire. Non è disamore o leggerezza di innamoramento il fatto che nella sua storia Suarez,Jair, Corso, Baggio, Ronaldo , Adriano o Ibra possono aiutarci volta per volta a sublimare le nostre tristezze di fondo o a enfatizzare le nostre gioie profonde come fatto momentaneo e mai eslusivo o definitivo .Sono utili al nostro sogno mai indispensabili alla sua realizzazione. E quando cambiano professionalmente casacca ci possono fare tristezza o pena mai ….rabbia o rancore! Noi siamo quelli delle passioni calde non di quelle finte o fredde nelle vittorie come nelle sconfitte . Perché noi sappiamo che le nostre tristezze,sofferenze,rabbie sono solo nostre e sappiamo anche che le gioie ritornano perchè noi abbiamo una visione ciclica, profonda, non superficiale della vita e del calcio e assieme siamo anche dei realistici sognatori. Sì siamo gli ossimori naturali del calcio e abbiamo bisogno di chi di volta in volta continui ad alimentarci o rappresentare al meglio le nostre contraddizioni, le nostre passioni , il nostro sogno: il sogno interista. Per noi il calcio non è solo una forma espressionistica ed epica che racconta con la sue storie passate,presenti e future la nostra identità ma è soprattutto una forma impressionistica e lirica dove l’ “io”, fatto di estro, imprevedibilità, scoramenti e creatività, la fa da padrone assoluto .Siamo una monarchia non costituzionale a propensione individuale. Siamo aristocratici,intellettuali e popolari assieme nella naturalezza e nella semplicità, nella leggerezza e nella profondità ma soprattutto nella autenticità e esclusività. Non abbiamo mai pensato al calcio e ai nostri club come un accolita o congrega di fedeli ad una religione sostitutiva di tipo laico, con una sua ritualità, i suoi simboli, le sue cattedrali, le sue sette. E nello stesso tempo il nostro rapporto è di tipo ‘sacrale’ anche se consapevoli che i nostri ‘riti’ sono sempre di evasione, gioia, teatro, sogno anche nei momenti tristi delle sconfitte momentanee e innaturali che risaldano viepiù il nostro amore, il nostro attaccamento, la nostra identità.
Noi siamo consapevolmente convinti di partecipare a una rappresentazione moderna della vita passionale , personale e collettiva che si sviluppa in un tempo ed uno spazio non galileiano ma eisnteniano dove undici calciatori titolari interpretano al meglio delle loro possibilità e capacità, una piece corale con le sue trame e i suoi linguaggi. Cifratori e dicitori di questi linguaggi sono i giocatori ,noi, sugli spalti , a casa, al bar siamo i sentimentali ,eslusivi e legittimati decifratori .In comune possediamo un codice, fatto di un' unica identità e amore : per gli uni professionale e momentaneo per tutti noi gli altri naturale e eterno.

Mauro Orlando


giovedì 16 aprile 2009

Elisir d'amore per ........'un nuovo mondo'.

"......E lacrime lacrime lacrime. Di emergenza in emergenza. Ma tra l'una e l'altra liberi tutti. Liberi di costruire sul bordo dei fiumi e dei vulcani. Liberi di impastare il cemento con la sabbia del mare. Liberi di lesinare sulle armature di ferro. Liberi di scempiare il paesaggio. Liberi di violare i piani regolatori. Un popolo di eroi, di navigatori e di abusivi. Sempre condonati. Spesso incitati ad abusare. Come accade quando il fare diventa un fine a se stesso e sgomita per farsi largo, egoismo che lotta con altri egoismi.

Sono queste le invasioni barbariche del nostro tempo, in testa alle quali ha cavalcato e cavalca gran parte della classe dirigente di ieri e di oggi. Anche di domani?"
Eugenio Scalfari



intorno a noi
di Franco Arminio

abbiamo questi uomini e queste donne
dentro di noi
e intorno a noi
abbiamo questi paesaggi
dentro di noi e intorno a noi,
non sappiamo fino a quando
guarderemo questa scena
fino a quando ci illuderemo
di cambiarla.
in ogni caso l'anima delle cose la trovi
solo se vuoi baciarla.
il mondo ti riesce vicino
solo se gli corri dietro come un bimbo
il suo palloncino.

Elisir d'amore per .......le emozioni.


"Domandarsi perchè
quando cade la tristezza
in fondo al cuore
come la neve non fa rumore "
.......proviamo anche con L. Battisti..........non si sa mai!





Quante emozioni in questi ultimi tempi di "terremoti" della terra,del cuore,della mente per il nostro paese.Cerchiamo di ripensare a questa nostra attitudine come una risorsa contro gli "inverni del nostro scontento" che i nostri tempi culturali e politici ci stanno imponendo in nome della legittima e democratica 'tirannia della maggiornaza".
Le emozioni distruttive sono emozioni dannose a sé e agli altri.Ma che cosa intendiamo esattamente con il termine “dannose”? Quali sono le sfumature, i gradi, il modo in cui qualcosa può sembrarci di essere dannoso pur senza esserlo.Oltre che alla loro natura ci interessano i fattori che le catalizzano:eventi,backgraund genetico,funzioni cerbrali e qualsiasi altro elemento potenzialmente coinvolto.
Qual è la fonte delle emozioni distruttive? Da dove sorgono?
Quali sono gli effetti su di sé,sull’ambiente,sugli altri? Una volta identificate e visti gli effetti nocivi ci chiadiamo quali sono gli antidoti contro queste sofferenze.medicina per contrastarle.Dobbiamo rivolgerci ai farmaci,alla chirurgia,alle terapie genetiche,a quelle psicologiche o alla meditazione?
Ultima questione è possibile comunque essere completamente e irreversibilmente liberi da alcune o da tutte esse.
Per prima cosa cercare di tracciare un quadro generale di come noi occidentali, ed inparticolare i filosofi, hanno pensato al ruolo delle emozioni- il ruolo delle virtù- nel creare una vita buona.
Non vi è ramo della filosofia , almeno non in Occidente,, nel quale si parli di emozioni isolatamente.In filosofia parliamo di emozioni nei termini delle condizioni per vivere bene l’esistenza.In che modo le emozioni possono aiutare o danneggiare il processo attraverso il quale si diventa persone buone?

Elisir d'amore per........il suicidio della Democrazia

"Non è solo e non è tanto la "faziosità politica" - colpa opinabile per definizione - a essere sotto tiro. È la sostanza stessa del medium più importante e penetrante, la televisione, che trasmissioni come Annozero e Report interpretano come un contro-potere strutturalmente autonomo (tale è l'informazione nella tradizione delle democrazie), e questo potere politico intende, invece, come cingolo di trasmissione dei propri scopi: non per caso è un potere al tempo stesso politico e mediatico. Anche tecnicamente. "
Michele Serra
Pubblico 'volentieri' la vignetta di Vauro ....incriminata!

Volentieri proprio perchè non corrisponde appieno al mio modo di pensare al terremoto degli Abruzzi e al raconto che ne se fà sulla stampa italiana e nelle nostre televisioni.Parafrasando Voltaire sono talmente geloso del principio della libertà di espressione e d informazione che ....darei la mia vita per difenderlo anche in chi la pensa diversamente da me.
In Italia poi il problema è particolarmente complesso in presenza di un potere politico che strumentalizza la necessità di regole e comportamenti definiti e condivisi ad 'usum Delphini' e per strumentalità di schieramento che niente hanno a che fare con una vera democrazia libera,attiva e responsabile.In democrazia non deve esistere una informazione di maggioranza e di opposizione.C'è l'informazione e basta come diritto e dovere di ogni cittadino al di là del ruolo che temporaneamente svolge al servizio della comunità.E invece esiste una verità della informazione che o è al servizio feudale del Manovratore di turno o è semplice gioco di disturbo da vietare o comprimere.......il resto è la cronaca di questi giorni con gli attori di sempre e purtroppo con gli oppositori di di sempre.E noi come cittadini viviamo oltre al danno la beffa di venir esproriati di un diritto in nome di un dovere di governabilità che è marcio alla radice.

Così vanno le cose in Italia ......anche nel XXI secolo!


IL COMMENTO Guai alla tv che rema contro di M. SERRA

martedì 14 aprile 2009

Elisir d'amore per .......la dignità e l'onestà degli abruzzesi.





di Roberto Saviano

.......Non permetteremo che ci siano speculazioni, scrivilo. Dillo forte che qui non devono neanche pensarci di riempirci di cemento. Qui decideremo noi come ricostruire la nostra terra...". Al campo rugby mi dicono queste parole. Me le dicono sul muso. Naso vicino al naso, mi arriva l'alito. Le pronuncia un signore che poi mi abbraccia forte e mi ringrazia per essere lì. Ma la sua paura non è finita con il sisma. .....
......Qui in Abruzzo mi è tornata alla mente la storia di un abruzzese illustre, Benedetto Croce, nato proprio a Pescasseroli che ebbe tutta la famiglia distrutta in un terremoto. "Eravamo a tavola per la cena io la mamma, mia sorella ed il babbo che si accingeva a prendere posto. Ad un tratto come alleggerito, vidi mio padre ondeggiare e subito in un baleno sprofondare nel pavimento stranamente apertosi, mia sorella schizzare in alto verso il tetto. Terrorizzato cercai con lo sguardo mia madre che raggiunsi sul balcone dove insieme precipitammo e io svenni". Benedetto Croce rimase sepolto fino al collo nelle pietre. Per molte ore il padre gli parlava, prima di spegnersi. Si racconta che il padre gli ripeteva una sola e continua raccomandazione "offri centomila lire a chi ti salva".......
......Gli abruzzesi sono stati salvati da un lavoro senza sosta che nega ogni luogo comune sull'italianità pigra o sull'indifferenza al dolore. Ma il prezzo da pagare per questa regione potrebbe essere altissimo, ben oltre le centomila lire del povero padre di Benedetto Croce. Il terrore di ciò che è accaduto all'Irpinia quasi trent'anni fa, gli sprechi, la corruzione, il monopolio politico e criminale della ricostruzione, non riesce a mitigare l'ansia di chi sa cosa è il cemento, cosa portano i soldi arrivati non per lo sviluppo ma per l'emergenza. Ciò che è tragedia per questa popolazione per qualcuno invece diviene occasione, miniera senza fondo, paradiso del profitto. Progettisti, geometri, ingegneri e architetti stanno per invadere l'Abruzzo attraverso uno strumento che sembra innocuo ma è proprio da lì che parte l'invasione di cemento: le schede di rilevazione dei danni patiti dalle case. In questi giorni saranno distribuite agli uffici tecnici comunali di tutti i capoluoghi d'Abruzzo. Centinaia di schede per migliaia di ispezioni. Chi avrà in mano quel foglio avrà la certezza di avere incarichi remunerati benissimo e alimentati da un sistema incredibile.......
......Il silenzio de L'Aquila spaventa. La città evacuata a ora di pranzo è immobile. Non capita mai di vedere una città così. Pericolante, piena di polvere. L'Aquila in queste ore è sola. I primi piani delle case quasi tutti hanno almeno una parte esplosa.
Avevo un'idea del tutto diversa di questo terremoto. Credevo avesse preso soltanto il borgo storico, o le frazioni più antiche. Non è così. Tutto è stato attraversato dalla scossa. Dovevo venire qui. E il motivo me lo ricordano subito: "Te lo sei ricordato che sei un aquilano..." mi dicono. L'Aquila fu una delle prime città anni fa a darmi la cittadinanza onoraria. E qui se lo ricordano e me lo ricordano, come un dovere: presidiare quello che sta accadendo, raccontarlo. Tenere memoria. Mi fermo davanti alla Casa dello studente. In questo terremoto sono morti giovani e anziani. Quelli che a letto si sono visti crollare il soffitto addosso o sprofondare nel vuoto e quelli che hanno cercato di scappare per le scale, l'ossatura più fragile del corpo d'un palazzo.........
..........La dignità estrema di queste persone me la raccontano i vigili del fuoco: "Nessuno ci chiede niente. È come se per loro bastasse essere rimasti in vita. Un vecchietto mi ha detto: mi puoi chiudere le finestre sennò entra la polvere. Io sono andato ho chiuso le finestre ma alla casa mancano tetto e due pareti. Qui alcuni non hanno ancora capito cosa è stato il terremoto".
Franco Arminio uno dei poeti più importanti di questo paese, il migliore che abbia mai raccontato il terremoto e ciò che ha generato scrive in una sua poesia: "Venticinque anni dopo il terremoto dei morti sarà rimasto poco. Dei vivi ancora meno". Siamo ancora in tempo perché in Abruzzo questo non accada. Non permettere che la speculazione vinca come sempre successo in passato è davvero l'unico omaggio vero, concreto, ai caduti di questo terremoto, uccisi non dalla terra che trema ma dal cemento.

© 2009 by Roberto Saviano -

lunedì 13 aprile 2009

Elisir d'amore per .........tre amici che si 'espongono' per amore.


.....fabrizio, roberto e franco
persone che sanno vivere 'il slenzio' e la solitudine non come mancanza o costrizione sapendo far stare assieme visione,ascolto,parole e musica sfidando l'neffabile ......




intorno a noi
di Franco Arminio

abbiamo questi uomini e queste donne
dentro di noi
e intorno a noi
abbiamo questi paesaggi
dentro di noi e intorno a noi,
non sappiamo fino a quando
guarderemo questa scena
fino a quando ci illuderemo
di cambiarla.
in ogni caso l'anima delle cose la trovi
solo se vuoi baciarla.
il mondo ti riesce vicino
solo se gli corri dietro come un bimbo
il suo palloncino.

Elisir d'amore per ........una 'pasquetta paesologica'.



PAESI GIGANTI/1
CAIVANO
di franco arminio

Da tempo vagheggio di fare un giro nei paesi giganti che stanno intorno a Napoli. Comincio oggi da Caivano perché da qualche parte bisogna pur cominciare e perché qui conosco una persona che si è offerta di farmi da guida. Mentre percorro la Nola-Villa Literno mi imbatto in una freccia che indica il termovalorizzatore di Acerra. Vado a vedere. Nei dintorni
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domenica 12 aprile 2009

Elisir d'amore per ....." una buona Pasqua ...nonostante tutto"





di FERZAN OZPETEK


.......Sono stato varie volte in Abruzzo. Ho molti amici lì...... Riusciamo ad arrivare al piazzale dove oggi sono esposte le bare delle vittime. Alcune hanno sopra una piccola bara bianca. Genitori con i figli. Mi viene da piangere, ma non lo faccio, c'è qualcosa di più forte che mi trattiene. Sarei l'unico. Perché intorno a me ci sono tantissime persone, e nessuna piange. Non riesco a respirare. Voglio allontanarmi. ..... Mi viene in mente che le persone che ho incontrato oggi devono essere così. Non mostrano il dolore, lo tengono dentro. Sono come questa facciata apparentemente integra, e dietro, dentro, devastata. Sono forti, e rimangono gentili con chi incontrano. Al campo, due donne parlano fra di loro. Sono andate alla Caritas a prendere dei vestiti. Commentano quello che è successo, dicono che non si sarebbero mai aspettate di trovarsi in quella situazione. Ma le loro parole sono piene di pudore e di dignità. Mi sporgo a guardare all'interno di una tenda del campo. Una signora in sottoveste è impegnata a rassettare, sta sistemando le sue cose, cerca un ordine nella precarietà. A un tratto i nostri sguardi si incrociano, e senza dirmi una parola mi fa vergognare, come se avessi violato il suo spazio. Poco lontano, vedo un enorme uovo di cioccolato. Sopra c'è scritto. "Nonostante tutto... Buona Pasqua". Non so se le promesse fatte in questi giorni dai politici verranno mantenute. Comunque sento, capisco oggi, che il popolo abruzzese con la sua tenacia, con la sua forza, troverà il modo di ricominciare, di ripartire, di ricostruire. Più tardi, sulla strada del ritorno comincio ad avere i primi cedimenti. Trattengo le lacrime e la tristezza è più forte ora, che mi sono lasciato dietro tutto. Arrivo a casa e sento che tutto quello che ho intorno ha un altro peso, un altro colore. Accendo il cellulare. Tra gli altri, ricevo un messaggio del mio amico medico. Dice: "Un bacio forte e gentile, anche se velato di tristezza".

sabato 11 aprile 2009

Elisir d'amore per ........un buona Pasqua.



In giardino il ciliegio è fiorito
agli scoppi del nuovo sole
il quartiere si è presto riempito
di neve di pioppi e di parole.
All'una in punto si sente il suono
acciottolante che fanno i piatti
le Tv sono un rombo di tuono
per l' indifferenza scostante dei gatti;
come vedi tutto è normale
in questa inutile sarabanda,
ma nell' intreccio di vita uguale
soffia il libeccio di una domanda,
punge il rovaio d' un dubbio eterno
un formicaio di cose andate
di chi aspetta sempre l' inverno
per desiderare una nuova estate.

Son tornate a sbocciare le strade
ideali ricami del mondo
ci girano tronfie la figlia e la madre
nel viso uguali e nel culo tondo,
in testa identiche, senza storia
sfidando tutto senza confini
frantumano un attimo quella boria
grida di rondini e ragazzini;
come vedi tutto è consueto
in questo ingorgo di vita e morte
ma mi rattristo o io sono lieto
di questa pista di voglia e sorte?
Di questa rete troppo smagliata
di queste mete lì da sognare
di questa sete mai appagata
di chi starnazza e non vuol volare.

Appassiscono piano le rose
spuntano a grappi i frutti del melo
le nuvole in alto van silenziose
negli strappi cobalto del cielo;
io sdraiato sull'erba verde
fantastico piano sul mio passato
ma l'età all' improvviso disperde
quel che credevo e non sono stato;
come senti tutto va liscio
in questo mondo senza patemi
in questa vista presa di striscio
di svolgimento corretto ai temi
dei miei entusiasmi durati poco
dei tanti chiasmi filosofanti
di storie tragiche nate per gioco
troppo vicine o troppo distanti.

Ma il tempo, il tempo chi me lo rende?
Chi mi dà indietro quelle stagioni
di vetro e sabbia, chi mi riprende
la rabbia e il gesto, donne e canzoni
gli amici persi, i libri mangiati
la gioia piana degli appetiti,
l'arsura sana degli assetati
la fede cieca in poveri miti?
Come vedi tutto è usuale
solo che il tempo stringe la borsa
e c'è il sospetto che sia triviale
l'affanno e l' ansimo dopo una corsa
l'ansia volgare del giorno dopo
la fine triste della partita
il lento scorrere senza uno scopo
di questa cosa che chiami vita.


Dall'album:
Buona Pasqua di Luisa Capitani


Elisir d'amore per ........un hallelujah dell'amore, della solidarietà e dell'impotenza.





Le ombre bianche
le fronti scoppiate dall’impotenza
Davanti a nature beote
Smorfie di muri.
Eluard
Hallelujah - Leonard Cohen

Elisir d'amore per ......il sorriso dei bambini terremotati.

......un'allegra "banda di aquilotti clowns" capitanati da Nanos.....e la sua magica "moto del tempo" si aggira tra le tende dei bambini abruzzesi........per portare un rumore di una risata che dia ancora la voglia di "volare".......




Mercurzio , angioletto mio sei triste e lo so perchè con queste disumane avventure umane rischiamo solo di essere, come dice un mio vecchio amico orlando limone "maestri d'asilitudine".Ma proprio tu parli del silenzio? Ultimamente fai una baccano di parole. E, poi la filosofia?Uaooo! Adesso ti racconto un "idea del silenzio".....in una raccolta di favole "tardo-antiche" , si legge questo apologo: " Era costume presso gli Ateniesi che chi volesse essere considerato filosofo doveva lasciarsi frustare a dovere e, se sopportava pazientemente i colpi, allora poteva essere considerato filosofo.Un tale una volta si era sottoposto alla fustigazione e, dopo aver sopportato in silenzio le busse , esclamò: "sono ben degno, dunque, di essere chiamato filosofo!". Ma gli fu risposto a ragione: "Lo saresti stato, se solo avessi taciuto".Ora con questo che voglio dire che ultimamente ti sento un pò trapazzato e credo che qualche colpo lo hai ricevuto anche alle tue ali e non riesci più a volare....nel silenzio?Ma, sta cosa non mi convince adesso.Io, domani parto e vado a trovare i miei aquilotti in compagnia di altri 13 clown "dottori". Devo andare a curare il silenzio facendo sorridere i bambini.C'è troppo silenzio e pianto li adesso e un pò di sollievo rumoroso e gioviale non guasterebbe, perchè non vieni pure tu?Lascia stare adesso la filosofia del silenzio c'è bisogno di ricostruire tutti i rumori di una città troppo silenziosa.Dove non si sentono più i clacson delle macchine, dove non si sentono gli scampanelii delle biciclette. Sai, per il momento io isnieme ai miei amici clown e clownesse domani vado a portare il rumore almeno di una risata, per "resuscitare" in loro la voglia di volare.
nanos

Elisir d'amore per ........il silenzio delle parole vuote.

"I vivi non hanno niente, non hanno le case ma soprattutto
non hanno i loro oggetti che non possono più afferrare"

di PAOLO SORRENTINO






........Mentre, poche ore fa, viveva tutto. Viveva dentro i sorrisi e dentro le parole che, in un attimo, sono state annientate. Per questo è tutto morto. Perché nessuno parla, nessuno ride, e anche i pianti sono brevi e improvvisi, a volume ridotto, appartati e composti. Sono pianti di una gente orgogliosa che, questa è l'impressione, non è abituata a piangere. Dal momento che anche il pianto sa essere una forma di spettacolo, ma lo spettacolo è un repertorio che appare del tutto estraneo alla dignità di queste persone. I vivi non hanno più niente. Non hanno le case, ma, soprattutto, non hanno l'interno delle loro case, non possono più afferrare quella visione d'insieme fatta d'oggetti, odori, che compongono la vita e la quotidianità. Non hanno i punti di riferimento minimi che attrezzano gli individui per la sopravvivenza al dolore. Hanno solo i morti. Anche per questo sono morti. E hanno un fiume indefinito d'estranei che si aggira per la loro città. Perlopiù in divisa. E anche questi estranei, eroici e tenaci, sembrano muoversi in una sorta di lutto attivo. Ma sempre di lutto. Mentre gli abitanti, nella loro sovrumana compostezza, sembrano attraversati da una forma dolorosa ancora sconosciuta. Un lutto freddo. Che incute un rispetto assoluto. E nessuno, neanche per sbaglio, si sogna di tradire il rispetto per il loro lutto. Una famiglia piange davanti alla casa dello studente e le televisioni vincono l'irresistibile tentazione. Li lasciano in pace.
Una delle ragazze più belle viste negli ultimi dieci anni attraversa un gruppo di almeno cinquanta giovani in divisa. Nessuno commenta. Nessuno solleva uno sguardo di troppo su di lei. Ciascuno ha ritrovato il rispetto e la dignità. Nell'orgia del dolore, il mondo va come dovrebbe andare. E poi regna la paura, perché niente è finito e tutto è solo cominciato. Tutti i pensieri, anche quelli più elementari, sono violentati dalle scosse d'assestamento. La paura e il dolore, uniti e inscindibili, formano un'unica entità. Un'entità insopportabile. Che congela questo lutto, per farsi cosa attonita, ed impressionante. E, su tutto, il silenzio. Un silenzio nuovo e indefinibile. Interrotto, di tanto in tanto, da un elicottero lontano. Da un aereo militare. E tutti a comporre lo stesso pensiero, ma nessuno lo comunica, perché è banale: la sensazione di un'altra, più piccola, ma simile, guerra mondiale. ........

Elisir d'amore per ...........i bambini del terremoto.



........Silenzio, solo silenzio alle case popolari. Anche qui non c'è più nessuno, solo freddo: è un fermo immagine che si ripete..........
di mimmo calopresti


.......Il terremoto ha una forza tremenda, una forza che ti fa traballare, ti strattona, ti spinge fin quando ti fa cadere. Ti abbatte, ti mette a terra. Tutto diventa fragile, qualcosa resta in bilico, ma tutto quello che ti sembrava così solido adesso è a terra, frantumato. Ti lascia da solo con i rimasugli di tutto quello che sino a quel momento ti sembrava il progetto di un'esistenza. Un ragazzo risale in quella che non sarà mai più la sua casa, recupera la chitarra. Davanti alla tenda dove passerà la notte insieme alla madre e alla nonna, che si è aggregata a loro perché anche la sua casa è crollata, il ragazzo suonicchia qualcosa e pensa al suo futuro. Avrebbe voluto iscriversi a ingegneria elettronica, ora non sa più se resterà qui, pensa che si vorrà trasferire a Roma o a Milano e, mentre suona, forse si immagina quella nuova vita senza certezze e con pensieri confusi. Dio è certezza, invece, per un gruppo di giovani frati benedettini. Anche loro in cerca di qualcosa da recuperare nel loro convento. Loro credono che Dio ogni tanto metta in discussione le nostre vite: ci chiede prove della nostra capacità di avere fede, ci obbliga a pensare alla nostra essenza. Li vedo andare via insieme, nei loro sai, mi sembrano anche loro bambini smarriti, nonostante la certezza della fede.......

venerdì 10 aprile 2009

Elisir d'amore per .........l'Irpinia dei suoi" tanti cittadini che si stanno stringendo ai loro paesi e al loro paesaggio"



Di Franco Arminio

È triste che si parli dei paesi solo in occasione dei terremoti o di altre grandi sciagure collettive. La realtà è che sull’Appennino, nel midollo dell’Italia, in cui ogni paese è una vertebra isolata, la terra trema, trema sempre. È il terremoto della desolazione. Un terremoto silenzioso che non porta alla tragedia improvvisa di ritrovarsi con la polvere in bocca e una trave sullo stomaco. C’è una grande ferita italiana, la grande cicatrice appenninica che corre da nord a sud. Ed è l’emorragia mai arrestata dell’emigrazione. I paesi dell’Abbruzzo e quelli irpini sono molto simili. La stessa cultura pastorale, la stessa civiltà contadina, malamente rottamata negli ultimi decenni in favore di una modernità incivile, modernità che porta a tanti guasti, compreso quello di fare case che crollano per scosse che in ogni altro paese civile non farebbero alcuna vittima.
È di cattivo gusto tirare fuori l’Irpinia come esempio da non seguire, come se il terremoto in Irpinia fosse stato solo un esercizio truffaldino. Bisogna sempre ricordare che quel terremoto ha ucciso tante persone, bisogna sempre ricordare che una sciagura prima che un’occasione per fare discorsi e allestire processi, è un evento che ci interroga sulla fragilità del nostro essere qui, sul fatto che l’attimo terribile è sempre in agguato per ognuno di noi.
Detto questo, gli abruzzesi dovrebbero per prima cosa evitare di fare quello che si fece in Irpinia nei giorni immediatamente successivi al sisma: non si devono abbattere le case non cadute, a meno che siano palesemente irrecuperabili.
In Irpinia le ruspe buttarono giù tante cose che potevano benissimo essere recuperate perché nel caos dei primi giorni dopo la grande scossa i paesi quasi facevano a gara a chi era più distrutto.
Poi, certo, ci sono state, le ingordigie di tanti e prima di tutto di un sistema politico che usò il denaro del sisma per accrescere il suo consenso, sistema ancora vivo nello spirito e nei personaggi che lo interpretarono. D’altra parte bisogna considerare che lo scempio fu possibile perché c’era un clima culturale assai diverso da quello attuale, un clima che portava alla rottamazione del passato, alla voglia di mettersi alle spalle un passato di miserie e disagi. Quest’operazione è riuscita, ma alla fine le persone hanno capito che avere la casa nuova e perdere il paese non è un buon affare. Penso che da questo punto di vista in Abbruzzo le cose andranno assai meglio. I tecnici, i cittadini, i politici sono assai più consapevoli di allora dell’importanza di recuperare i centri antichi. In Irpinia si puntò sul binomio ricostruzione-sviluppo. Ed è proprio lo sviluppo a non aver funzionato. La ricostruzione, che comunque ancora non è stata ultimata, ha certo deformato e stravolto molti paesi, ma non rappresenta un modello replicabile anche se si volessero applicare le peggiori intenzioni.
L’Italia di oggi è un grande circo dell’orrore, ma almeno ci sono tanti cittadini che si stanno stringendo ai loro paesi e al loro paesaggio. Insomma, non si vive solo di betoniere…


Elisir d'amore per ...........una nuova Italia.

"Andate sulla costa, è Pasqua, prendetevi un periodo che paghiamo noi. State tranquilli, noi facciamo l’inventario delle case danneggiate e voi vi spostate sulla costa. Sarete serviti e riveriti. Bambini, dite alla mamma di portarvi al mare". Silvio Berlusconi, tendopoli di San Demetrio (L’Aquila), 7 aprile
...........Se Berlusconi pensa che siamo in vacanza in campeggio, lo invito a fare cambio. Lui può venire qui a dormire e io faccio il premier. Voglio vedere quanto gli piace passare la notte al gelo e senza acqua calda.
Vincenzo Braglia, cittadino de L’Aquila, intervistato da The Times, 8 aprile








“Benché gl’italiani, come ho detto, sieno incirca a livello delle altre nazioni nella conoscenza generale della realtà delle cose relativamente ai fondamenti dei principii morali, per quanto almen basta a influire e dar norma alla condotta pubblica e privata di ciascheduno; tuttavia è ben certo e da tutti gli stranieri, non meno che da noi, conosciuto e consentito che l’Italia in fatto di scienza filosofica e di cognizione matura e profonda dell’uomo e del mondo è incomparabilmente inferiore alla Francia, all’Inghilterra, alla Germania, considerando queste e quella generalmente. Ma contuttociò è anche certissimo, benché parrà un paradosso, che se le dette nazioni son più filosofe degl’italiani nell’intelletto, gl’italiani nella pratica sono mille volte più filosofi del maggior filosofo che si trovi in qualunque delle dette nazioni”.
(Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani, 1824)

giovedì 9 aprile 2009

Elisir d'amore per ........un silenzio di preghiera e di amore.




............“Se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire"..........F. Fellini




.... un dialogo immaginifico sul"silenzio" tra l’angelo Mercuzio e il clown Nanos.

- Ah che solitudine ,che dolori, che soffrenze...che bella e triste compagnia e…..che silenzio!
- “Silenzio”!Non cominciamo con i paradossi e le stranezze in una situazione di tragedia reale. Hai voglia di meravigliarmi o confondermi?Io consiglierei concretezza ,operosità e decisioni.
- Ascolta ,prima di tutto voglio farti una confidenza importante per questa occasione.Prima di diventare 'angelo' -come tu dici- io vivevo in Irpinia. Non so se ti dice qualcosa questa parola in presenza di queste nuove ferite della carne e della terra che ha colpito gli abbruzzesi.Ma torniamo a noi ....ma veramente non senti una musica o una armonia in questo silenzio addolorato e ferito che sa di eterno?
- Mi dispiace ,no!Sa io sono solo un 'fool' e per il resto io sono 'campano'ma di città e a dirti la verità non ho mai sopportato i vostri silenzi irpinie le vostre introverse e astiose separatezze e orgogliose solitudini anche nella soffrenza.
-Lasciamo stare queste vecchie e inutili 'querelles' da "intellettuali della Magna Grecia". La serietàe la drammaticità del momento ci impone leggerezza e serietà ma sopratutto autenticità.... Ascolta meglio: il silenzio non è assenza di suoni,come di dolore non è assenza di vita. Quello che tu non hai udito è la totalità dei suoni e e per la soffrenza le ricchezze delle varietà del vivere. C’è una differenza che i ‘filosofi’ usano chiamare ‘ontologica’: una cosa è zero,un’altra cosa è “ infinito meno infinito uguale zero”. Io so che proprio così il mio “Signore e padrone” ha fatto il mondo nell'atto che voi umani chiamate 'creazione': dal niente,anche senza il dolore, come impropriamente usi dire tu, e che invece era un infinito di suoni e di azioni ingarbugliati tra loro e giustamente muti, vuoti ,incorporei.Con la musica si sono separato accordi ,toni, armonie,note quella che normalmente chiamate musica....con la vita ......il bene e il male,il bello e il brutto....il giusto e l'iingiusto e giù di lì in nome della vostra 'libertà'.. Insieme ha creato il verme e l’uomo, i pensieri e le cime di rape, Beethoven e Pupo…..
Creare in fondo è dividere l’incorporeo dal corporeo e quindi il dolore e le soffrenze,l’insostanziale dal sostanziale e quindi la politica e l'economia e.... dargli dei confini,dei limiti,delle qualità con tutto quello che ne viene per le vostre vite terrene.
Questo “silenzio della soffrenza è pieno di musica e di speranza” ....è una modulazione di una gamma spropositata e infinita di non-suoni,di non azioni e fatti che però nella tua incolpevole ‘ignoranza’ e perdita non riesci ad avvertire ,a percepire, sentire se non con questi capolavori comprensibili……come questo di Beethoven che voi chiamate ‘opera 73 o Imperatore’.
- Ah ma io ho comprato anche il cd e la ascolto spesso e la conosco benissimo. Io amo soprattutto la “nona”, il concerto in Do minore di Rachmaninoff, ‘Un bel dì vedremo’, Gershwin…….e anche De Andrè, Guccini,De Gregori, Vecchioni,Cohen,Dylan e altri……
-Certo hai imparato ad amare pate del 'bello' ma a non capire il dolore e ....sopratutto il morire.Per tornare all’autore che vi ho proposto con una sua opera particolare….. Qualcuno di voi che ama chiamarsi ‘critico musicale’ha scritto che Beethoven sa ascoltare e riprodurre il canto candido e leggero dell’esistente, ne ha inseguito il movimento ritmico accarezzandone il silenzioso brusio per trasformarlo in rigoroso linguaggio di una musica assoluta ma ha saputo riprodurre anche la tragica pesantezza e profondità della sofferenza e del morire. Ma in quello che scrive sembra non capire che le due cose non sempre erano indistinguibili,conseguenza una dell’altra. In ‘origine’ per esempio canto e parola erano carichi di una sola potenza che solo il divino avrebbe potuto sopportare o sentire. La lingua era musica e il dire degli uomini riusciva farsi carico di questo di questo mistero poetico,mitico e religioso assieme .Era la prova di una perfetta innocenza che si è trasformata in algida concettualità per esigenze comunicative dimenticando persino la bellezza del libero cinquettare degli uccelli o del sibilo del vento tra le foglie o i capelli della donna amata o dei luminosi chiari di bosco in primavera.
Ma il vero problema è che tu fai fatica oggi …a sentire questo “silenzio” nel vento ,nella luce nei colori ,nelle parole leggere o nelle grida strozzate di dolore che girano per l'Abruzzo in questi giorni! Ecco io penso che per arrivare e vivere veramente un terra martoriata e ferita bisogna prima di tutto rieducarsi a casa ai “silenzi”, ai “vuoti” nei rapporti comuni ma soprattutto in quella disciplina tutta umana che usiamo chiamare filosofia e che ci siamo costruiti nella testa e nel suo linguaggio,o da questo richiamarsi alla poesia ,al racconto ,alla narrazione. E per vostra fortuna nella nostra martoriata Italia ci sono buoni poeti ,affabulatori,clowns o contastorie che hanno qualcosa di vero e di bello da dire a chi soffre anche se alcuni ancora non sanno o hanno paura di esserlo .Ma mi raccomando tenete lontani da questi luoghi sacri toccati nella carne e nel cuore da un Dio che ancora una volta ha voluto parlarci con dolorosa severità almeno gli sciacalli,le iene,le volpi e i serpenti della "politica e della informazione"!!!
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